In Europa si sono registrati numerosi focolai di morbillo e finché la malattia non verrà debellata i reciproci contagi incrociati tra un Paese e l’altro saranno inevitabili. A ricordarlo, in un comunicato congiunto, il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità Walter Ricciardi e Duncan Selbie, Direttore di Public Health England che sottolineano come l’eradicazione del morbillo sia un obiettivo, fissato anche dall’OMS, da perseguire con forza sempre maggiore.
La malattia può causare complicanze gravi, incluse encefaliti, polmonite, insufficienza respiratoria e persino la morte, e la sua eliminazione è un obiettivo in tutte le regioni dell’OMS. Quella Europea ha adottato l’obiettivo di eliminazione della malattia entro il 2015, ma senza raggiungerlo. Secondo i dati dell’OMS nel 2017 sono stati documentati 22.373 casi e 35 morti nella regione europea. Focolai di morbillo sono attivi in diversi Paesi, tra cui Ucraina, Serbia, Russia, Albania, Italia, Francia, Grecia e Regno Unito, con un totale di 21.478 casi riportati da gennaio 2018 ad oggi. In Italia si sono verificati 5.400 casi nel 2017 e 1716 tra l’1 gennaio e il 31 maggio 2018. La maggior parte ha coinvolto giovani adulti, ma l’incidenza maggiore è stata vista nei bambini sotto l’anno di età. In totale otto morti legate al morbillo sono state accertate in Italia dal gennaio 2017 ad oggi. L’analisi genetica del virus ha confermato che in tutti questi casi erano coinvolti gli stessi ceppi appartenenti ai genotipi B3 e D8, gli stessi che attualmente circolano nel resto dell’Europa.
Corretto uso dei farmaci e riduzione degli sprechi, lotta alla contraffazione e tutela dei consumatori negli acquisti on line, trasparenza dei prezzi e diffusione dei farmaci generici/equivalenti: è su queste principali direttrici che si indirizzeranno le "iniziative concrete di collaborazione tra le farmacie e i consumatori per dare attuazione ai principi della sostenibilità consumeristica”.
A prevederlo è il Protocollo d’intesa sulla Sostenibilità Consumeristica siglato oggi tra Federfarma e 11 associazioni: Adiconsum, Adoc, Asso-Consum, Assoutenti, Casa del Consumatore, Confconsumatori, Lega Consumatori, Movimento Consumatori, Movimento difesa del Cittadino, Ui.Di.Con., Unione Nazionale Consumatori.
Il documento promuove progetti di collaborazione tra consumatori e farmacie sulla base degli obiettivi di sostenibilità di Federfarma e di queli contenuti nel Manifesto per la Sostenibilità Consumeristica, realizzato nell’ambito di Consumers’ Forum, associazione di cui sono soci tutti i firmatari del protocollo.
Si scrive ticket ma si legge "giungla" o "tesoretto", a seconda che lo si guardi con gli occhi dei cittadini o delle Regioni.
A riesplorare con dati aggiornati (quelli del Rapporto nazionale appena pubblicato da Aifa) il fantastico mondo delle compartecipazioni alla spesa sanitaria, che nel 2017 ha quotato un totale di 2,9 miliardi di euro, è un Report diffuso oggi dalla Fondazione GIMBE, che analizza in dettaglio composizione e differenze regionali. Analisi che lascia emergere appunto una vera e propria “giungla", visto che le differenze regionali riguardano sia le prestazioni su cui vengono applicati (farmaci, prestazioni specialistiche, pronto soccorso, etc.), sia gli importi che i cittadini devono corrispondere, sia le regole per le esenzioni.
«La compartecipazione alla spesa dei cittadini – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – introdotta come moderatore dei consumi si è progressivamente trasformata in un consistente capitolo di entrate per le Regioni, in un periodo caratterizzato dal definanziamento pubblico del SSN». Nel 2017 le Regioni hanno incassato per i ticket quasi € 2.900 milioni che corrispondono ad una quota pro-capite di € 47,6: in particolare, € 1.549 milioni (€ 25,5 pro-capite) sono relativi ai farmaci e € 1.336,6 milioni (€ 22,1 pro-capite) alle prestazioni di specialistica ambulatoriale, incluse quelle di pronto soccorso. L’entità della compartecipazione alla spesa nel periodo 2014-2017 si è mantenuto costante ma, se nel 2014 la spesa per farmaci e prestazioni specialistiche erano sovrapponibili, negli anni successivi si è ridotta la spesa per i ticket sulle prestazioni (-7,7%) ed è aumentata quella per i ticket sui farmaci (+7,9%).
Dalle analisi emergono notevoli differenze regionali sia rispetto all’importo totale della compartecipazione alla spesa, sia alla ripartizione tra farmaci e prestazioni specialistiche: in particolare, se il range della quota pro-capite totale per i ticket oscilla da € 97,7 in Valle d’Aosta a € 30,4 in Sardegna, per i farmaci varia da € 34,3 in Campania a € 15,6 in Friuli Venezia Giulia, mentre per le prestazioni specialistiche si va da € 66,2 della Valle d’Aosta a € 8,6 della Sicilia.
Un dato estremamente interessante – sottolinea in proposito Cartabellotta – emerge dallo “spacchettamento” dei ticket sui farmaci, che include la quota fissa per ricetta e la quota differenziale sul prezzo di riferimento pagata dai cittadini che preferiscono il farmaco di marca rispetto all’equivalente: nel periodo 2013-2017, a fronte di una riduzione della quota fissa da € 558 milioni a € 498 milioni (-11%), la quota differenziale per acquistare il farmaco di marca è aumentata da € 878 milioni a € 1.050 milioni (+20%).
In dettaglio, dei € 1.549 milioni sborsati dai cittadini per il ticket sui farmaci, meno di un terzo sono relativi alla quota fissa per ricetta (€ 498,4 milioni pari a € 8,2 pro-capite), mentre i rimanenti € 1.049,6 milioni (€ 17,3 pro-capite) sono imputabili alla scarsa diffusione in Italia dei farmaci equivalenti come documentato dall’OCSE che ci colloca al penultimo posto su 27 paesi sia per valore, sia per volume del consumo degli equivalenti. Rispetto alla quota fissa per ricetta, non prevista da Marche, Sardegna e Friuli Venezia Giulia, il range varia da € 18,3 pro-capite della Valle d’Aosta a € 0,5 del Piemonte. La quota differenziale per la scelta del farmaco di marca oscilla invece da € 22,9 pro-capite del Lazio a € 10,5 della Provincia di Bolzano. Interessante rilevare che tutte le Regioni sopra la media nazionale sono del centro-sud: , oltre al già citato Lazio, Sicilia (€ 22,1 pro-capite), Calabria (€ 21,2) Basilicata (€ 21,2), Campania (€ 20,9), Puglia (€ 20,7), Molise (€ 20,3), Abruzzo(€ 19,5), Umbria (€ 19,5) e Marche (€ 18,2).
«Durante la scorsa legislatura non è stata effettuata la revisione dei criteri di compartecipazione alla spesa prevista dall’art. 8 del Patto per la Salute per evitare uno spostamento verso strutture private a causa di ticket troppo elevati per la specialistica – rimarca Cartabellotta. – Solo con la Legge di Bilancio 2018 sono stati stanziati 60 milioni di euro destinati ad avviare una seppur parziale riduzione del superticket per la specialistica ambulatoriale. Tuttavia, lo schema di decreto per il loro riparto non ha ancora acquisito l’intesa della Conferenza Stato-Regioni e, nel frattempo, Emilia Romagna, Lombardia e Abruzzo si sono mosse in autonomia per ridurre il superticket".
"Considerato che la revisione dei criteri di compartecipazione alla spesa – conclude – rappresenta una priorità per il nuovo Esecutivo, le nostre analisi dimostrano che le eterogeneità regionali e quelle relative alla tipologia di ticket (farmaci vs prestazioni) richiedono azioni differenti. Innanzitutto, è indispensabile uniformare a livello nazionale i criteri per la compartecipazione alla spesa e le regole per definire le esenzioni; in secondo luogo, anche al fine di ridurre le “fughe” verso il privato per le prestazioni specialistiche, occorre pervenire ad un definitivo superamento del superticket; infine, sono indispensabili azioni concrete per aumentare l’utilizzo dei farmaci equivalenti, visto che la preferenza per i farmaci brand oggi “pesa” per oltre 1/3 della cifra totale sborsata dai cittadini per i ticket e per più di 2/3 della compartecipazione per i farmaci".
Il ministro della Salute, Giulia Grillo, ha lanciato l’invito a partecipare a una manifestazione di interesse a ricoprire l’incarico di direttore generale dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) (www.salute.gov.it)
Ad annunciarlo un comunicato stampa del dicastero che ricorda i requisiti previsti per le candidatute, quelli coè indicati dal Decreto 20 settembre 2004, n. 245 (Regolamento recante norme sull'organizzazione ed il funzionamento dell'Agenzia Italiana del Farmaco, a norma dell'articolo 48, comma 13, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito nella legge 24 novembre 2003, n. 326): "Gli interessati all’incarico dovranno essere in possesso di una laurea specialistica nonché di una qualificata e documentata competenza ed esperienza sia tecnico-scientifica nel settore dei farmaci, sia in materia gestionale e manageriale"
Strettissimi i tempi per gli aspiranti DG che dovranno manifestarsi entro il 23 luglio inviando all'indirizzo di posta certificata della salute una documentazione che - non trattandosi di concorso pubblico - risulta tutto sommato scarna: curriculum vitae, lettera motivazionale, dichiarazione di assenza di potenziali conflitti d’interesse, copia conforme di un documento d’identità in corso di validità.
“Il settore farmaceutico è uno snodo fondamentale del sistema sanitario pubblico. E a maggior ragione tanto più cruciale è il ruolo che svolge l’Aifa, data anche la rilevanza, circa 31 miliardi di euro, della spesa di settore che l’Agenzia del farmaco presidia - afferma nel comunicato il ministro Giulia Grillo. - La massima trasparenza delle procedure e la qualità delle nomine sono un tratto distintivo di questo Governo, che io intendo applicare sempre e in pieno per quanto di mia competenza. A tutela dei cittadini e della garanzia di tenuta anche finanziaria del Servizio sanitario nazionale”.
Come previsto dalla legge istitutiva dell'Aifa (L. n.326 del 2003), una volta ricevute le candidature la nomina del nuovo DG destinato a sostituire Mario Melazzini alla guida dell'Agenzia italiana del farmaco sarà competenza del ministro della Salute, sentita la Conferenza Stato-Regioni.
Bene le porte aperte alle malattie rare, alla qualità di vita del paziente, alla trasparenza e aggiornabilità delle scelte regolatorie, ma si può fare di più sulle tempistiche e sul dialogo con società scientifiche e cittadini. Questo in estrema sintesi il giudizio - sostanzialmente positivo – contenuto nel Position Statement frutto dell’analisi civica di Cittadinanzattiva sulla Determina AIFA n. 1535/2017, quella cioè che definisce criteri e procedure per l’attribuzione del requisito di innovatività di un farmaco.
Il documento - elaborato dopo il confronto con rappresentanti di Istituzioni, Società scientifiche, professionisti sanitari e associazioni di pazienti e del mondo accademico tra cui figurano Ail, Aiom, Asbi, Cipomo, Famiglie Sma, Fondazione Gimbe, Lila, Sif, Sifo, Sin, Walce - attribuisce alla Determina un duplice merito: da una parte definisce cosa sia veramente innovativo e quindi meritorio di un accesso facilitato a queste cure per i cittadini, dall’altra consente di poter garantire l’acquisto attraverso fondi dedicati.
Per effetto della Determina - sottolinea una nota di Cittadinanzattiva - quando un farmaco ottiene il riconoscimento dell’innovatività piena, lo mantiene per 36 mesi; ha dei benefici economici accedendo a uno dei due fondi nazionali di 500 milioni di euro ciascuno (per farmaci innovativi oncologici e non oncologici); ha l’inserimento diretto nei Prontuari Terapeutici Regionali, superando così passaggi burocratici che oggi rallentano l’accesso alle terapie.
“Questa Determina va nella direzione giusta – commenta Tonino Aceti Coordinatore Nazionale del Tribunale per i diritti del malato di Cittadinanzattiva - ma tutto questo potrebbe non bastare per garantire accesso equo e tempestivo da parte dei pazienti ai farmaci innovativi. Infatti nel 2017, stando all’ultimo monitoraggio della spesa farmaceutica dell’AIFA, sembrerebbero non essere stati utilizzati quasi 450 milioni di euro dei fondi per i farmaci innovativi non oncologici e oncologici. Crediamo sia urgente fare luce subito sulle cause di questo avanzo di spesa e domandarci tutti se avremmo potuto garantire a qualche persona malata in più il diritto di accesso all’innovazione”.
Tra gli aspetti positivi sottolineati dal Position Statement spicca il fatto che la Determina:
- mette in risalto il tema delle malattie rare, dando la possibilità di attribuire il carattere di innovatività a un farmaco, anche sulla base di prove di qualità “Bassa”;
- inserisce la qualità di vita tra gli aspetti che servono a definire il valore terapeutico aggiunto di un farmaco, attribuendo un valore importante al benessere della persona anche dal punto di vista psico-sociale;
- prevede la trasparenza, attraverso la possibilità di accedere ai pareri e alle motivazioni della CTS rispetto alle richieste di innovatività avanzate;
- prevede la possibilità che la stessa Determina possa essere oggetto di integrazioni, aggiornamenti e modifiche.
Tra gli spazi di miglioramento figurano invece la necessità di:
- prevedere forme di coinvolgimento delle Associazioni di cittadini-pazienti e delle Società Scientifiche nella procedura di valutazione e rivalutazione dell’innovatività del farmaco. Organizzazioni civiche e Società scientifiche sono portatrici di esperienze uniche derivanti dall’utilizzo delle terapie, rispettivamente per curarsi e per curare. Per quanto riguarda le Associazioni di cittadini e pazienti il loro contributo potrebbe essere anche particolarmente utile per il parametro di valutazione “qualità di vita”;
- prevedere la possibilità che le Organizzazioni di cittadini-pazienti e le società scientifiche possano attivare la procedura di valutazione e rivalutazione dell’innovatività del farmaco;
- esplicitare la tempistica dell’iter di valutazione del farmaco dalla sua attivazione alla sua conclusione;
- esplicitare la tempistica e la modalità dell’iter di rivalutazione del farmaco;
- esplicitare la periodicità dell’attività di aggiornamento delle Determina AIFA, prevedendo il coinvolgimento delle Organizzazioni di cittadini-pazienti e delle Società scientifiche.
La Società europea di oncologia medica (ESMO) e l'American Society of Clinical Oncology (ASCO), le due principali organizzazioni mondiali per i professionisti di oncologia, hanno rilasciato oggi una dichiarazione congiunta per invitare i governi a rinnovare l'impegno politico per migliorare servizi di cancro e ridurre le morti per cancro. La dichiarazione è stata rilasciata in occasione dell'udienza della società civile delle Nazioni Unite sulle malattie non trasmissibili (NCD) a New York.
"Come medici oncologi, lavoriamo duramente ogni giorno per garantire che i pazienti ricevano le migliori cure possibili - ha dichiarato Alexandru Eniu, presidente del Comitato di politica globale dell'ESMO. - Stiamo progressivamente aumentando le nostre conoscenze sul cancro e su come trattarlo. Possiamo anche curare alcuni tumori se interveniamo abbastanza presto. Tuttavia, in molti Paesi manca anche l'accesso ai farmaci antitumorali essenziali più economici e ai dispositivi medici prioritari”. Per questo, ha proseguito "Abbiamo urgente bisogno che i governi lavorino con noi e ci assicurino di avere abbastanza professionisti in oncologia e le risorse necessarie per applicare le nostre conoscenze e salvare vite umane".
"Recenti rapporti delle Nazioni Unite e dell'OMS osservano che, a meno che i Paesi non aumentino significativamente le loro azioni e investimenti, non raggiungeranno obiettivi concordati per ridurre le morti da malattie non trasmissibili - ha aggiunto presidente dell'ESMO, Josep Tabernero. - Siamo preoccupati che i governi possano trovare più facile raggiungere i loro obiettivi riducendo le morti solo da alcune NCD, lasciando dietro di sé i malati di cancro. Crediamo che esistano modi economicamente efficaci per migliorare la cura del cancro e siamo pronti ad assistere i paesi nel fare ciò fornendo la nostra esperienza nella gestione del cancro per sostenere l'attuazione della Risoluzione del Cancro dell'Assemblea Mondiale della Salute 2017 ".
"Esortiamo gli Stati membri - ha concluso Tabernero - a prendere in considerazione il nostro invito congiunto e gli emendamenti volti a rafforzare la Dichiarazione politica da approvare durante la riunione ad alto livello delle Nazioni Unite del 27 settembre e modificare così le prospettive future per i malati di cancro in tutto il mondo".
Il ministro della Salute, Giulia Grillo, ha attivato le procedure per il rinnovo di due fondamentali organismi dell’AIFA (Agenzia italiana del farmaco), entrambi in scadenza il prossimo 6 agosto: la Commissione tecnico-scientifica (CTS) e il Comitato prezzi e rimborso (CPR).
Con due distinte lettere inviate al ministero dell’Economia e alle Regioni, viene chiesta l’indicazione dei componenti loro spettanti. Ciascun organismo è composto da 10 membri: uno designato dall’Economia, quattro dalla Conferenza Stato-Regioni, mentre il ministero della Salute designa 3 membri per ciascun organismo, uno dei quali con funzione di presidente. Sono inoltre componenti di diritto, il direttore generale dell’Aifa e il presidente dell’Iss (Istituto superiore di sanità).
I componenti non di diritto della Commissione consultiva tecnico-scientifica devono avere comprovata e documentata competenza tecnico-scientifica di almeno 5 anni nel settore della valutazione dei farmaci e sono rinnovabili consecutivamente per una sola volta, quelli del Comitato prezzi e rimborso sono scelti tra persone di comprovata professionalità ed esperienza di almeno 5 anni nel settore della metodologia di determinazione dei prezzi dei farmaci, di economia sanitaria e farmaco-economia, nonché di organizzazione sanitaria e di diritto sanitario.
I componenti non di diritto delle due commissioni duramno in carica tre anni, rinnovabili consecutivamente una sola voltauna sola volta: degli attuali componenti solo Antonio Addis (CTS) non potrà essere rinnovato.
È stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la determinazione AIFA n. 821 del 2018, con cui l’Agenzia Italiana del Farmaco aggiorna i criteri per l’applicazione delle disposizioni per lo smaltimento delle scorte di medicinali per i quali siano intervenute modifiche del Foglio Illustrativo attraverso la consegna della versione aggiornata da parte del farmacista.
Al fine di tutelare la corretta informazione del paziente e di garantire la continuità terapeutica riducendo i rischi di carenze temporanee e di approvvigionamento, AIFA autorizza lo smaltimento delle scorte per le seguenti categorie di farmaci:
Ø medicinali approvati con procedura nazionale per i quali siano intervenute, a seguito di procedure autorizzative di variazione o di rinnovo, modifiche dell’Autorizzazione all’lmmissione in Commercio (AIC), pubblicate in Gazzetta Ufficiale;
Ø medicinali autorizzati con procedura di mutuo riconoscimento o con procedura decentrata per i quali siano intervenute modifiche dell’AIC oggetto di provvedimento autorizzativo dell’AlFA o di parere favorevole del Reference Member State;
Ø medicinali approvati con procedura centralizzata, per i quali siano intervenute modifiche dell’AIC oggetto di decisione della Commissione Europea o di parere favorevole dell’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA);
Ø medicinali di importazione/distribuzione parallela per i quali siano intervenute modifiche al Foglio Ilustrativo e all’etichettatura oggetto di provvedimento autorizzativo dell’AlFA o dell’EMA.
Nei casi di modifiche recenti non ancora riportate all’interno della confezione (riguardanti restrizioni dell’indicazione terapeutica, modifiche dello schema posologico, nuove controindicazioni, avvertenze speciali e precauzioni d’impiego, interazioni, nuove avvertenze per l’uso in gravidanza e durante l’allattamento, aggiunta di effetti indesiderati o modifica nella frequenza di quelli già descritti, nuove informazioni sul rischio di sovradosaggio, modifica restrittiva delle condizioni di conservazione e della validità dopo la prima apertura), all’atto della consegna del medicinale da parte del farmacista, il cittadino sceglie la modalità per il ritiro del Foglio Illustrativo aggiornato e conforme a quello autorizzato, in formato cartaceo o digitale.
Il Foglio Illustrativo aggiornato sarà, inoltre, disponibile nella Banca Dati Farmaci di AIFA, dove è possibile consultare anche l’ultima versione del Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto.
Oltre a contribuire a garantire sempre al cittadino un’informazione aggiornata, autorevole e sicura, la consegna in farmacia dell’ultima versione del Foglio Illustrativo porta con sé il significativo vantaggio di ridurre l’impatto ambientale che può derivare dallo spreco di confezioni di medicinali ancora integri, sicuri ed efficaci (che altrimenti sarebbero ritirate dal mercato e distrutte per essere sostituite da confezioni che differiscono solo ed esclusivamente per il Foglio Illustrativo aggiornato).
La determinazione 821 del 2018 sostituisce la n. 371 del 2014 e sarà efficace a decorrere dal trentesimo giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
Una "sofisticata campagna di persuasione sociale di RBM Salute, sostenuta da un discutibile studio del Censis" che "continua a seminare il panico nella popolazione e a "procurare allarme" nelle istituzioni". Non ci va leggero il presidente della Fondazione GIMBE, Nino Cartabellotta, che - commentando i dati diffusi nei giorni scorsi dai due organismi in occasione del Welfare Day - attribuisce loro un obiettivo non esattamente edificante a svantaggio del SSN, "legittimare una opportunistica soluzione già definita: potenziare il “secondo pilastro” gestito dall’intermediazione assicurativo-finanziaria, proprio nel momento in cui il governo del cambiamento dichiara di voler rilanciare il finanziamento pubblico".
Obiettivo perseguito da Censis e RBM Salute - secondo una nota diffusa oggi da Fondazione GIMBE - con un meccanismo a orologeria: "Puntuale come un orologio svizzero - si legge infatti nel comunicato - anche nel 2018 con il Welfare Day il rapporto RBM Salute-Censis ripropone dati sempre più catastrofici Nell’impossibilità di aumentare i 12 milioni di italiani che rinunciano alle cure e il 25% della popolazione che subisce danni economici per pagare le spese sanitarie, quest’anno è allarme indebitamento: nell'ultimo anno 7 milioni di italiani “si sarebbero indebitati” per pagare le spese per la salute e 2,8 milioni “avrebbero dovuto usare” il ricavato della vendita di una casa o svincolare risparmi".
"Il sodalizio RBM Salute-Censis – afferma Cartabellotta – si configura come un collaudato team di pallavolo: il prestigioso istituto di ricerca alza la palla, producendo ogni anno dati sempre più allarmanti e la compagnia assicurativa schiaccia sempre nella stessa direzione, la necessità di un “secondo pilastro” intermediato da fondi e assicurazioni è ormai inderogabile per ridurre la spesa delle famiglie e garantire la sostenibilità del servizio sanitario nazionale".
"Gli inquietanti dati del Censis - prosegue l'impietosa analisi della Fondazione bolognese - anche quest’anno proiettano su oltre 60 milioni di persone i risultati di un’indagine commissionata da RBM Salute e realizzata tramite un questionario strutturato somministrato ad un campione rappresentativo di 1.000 adulti maggiorenni residenti in Italia. Numerose le criticità metodologiche: innanzitutto, non si conoscono le domande del questionario; in secondo luogo, le tecniche per selezionare gli intervistati non permettono di escludere un “campionamento di convenienza”; ancora, non vengono riportati margini di variabilità sulle stime ottenute; infine, il margine di errore del ± 3,1%, riferito all’intero campione, risulta di gran lunga più elevato per ciascuno dei sottogruppi ottenuti all’interno delle variabili di stratificazione (classe di età, genere, area geografica di residenza, ampiezza demografica del comune di residenza). Lo scorso anno, per le stesse ragioni, puntualizza ancora Cartabellotta "il ministero della Salute, con il comunicato stampa n. 75 del 31 luglio, aveva smentito i dati del Censis sulla rinuncia alle cure, sottolineando i limiti dello studio – identici a quelli del 2018 – che riportava risultati di gran lunga più catastrofici di quelli dell’ISTAT e dell’indagine europea sul reddito e le condizioni di vita delle famiglie".
Rispetto all’entità della spesa sanitaria out-of-pocket, dato di partenza di questa raffinata strategia di marketing - precisa ancora Cartabellotta "il 3° Rapporto GIMBE conferma sì che la spesa delle famiglie nel 2016 sfiora i € 40 miliardi, ma non rileva nessun allarme sul suo incremento, che rimane stabile intorno al 18% sia nel periodo della crisi (2009-2016) sia nel periodo pre-crisi (2000-2008)".
Questa, infatti, l’analisi dettagliata di 40 miliardi di euro di spesa out-of-pocket fornita dal Rapporto GIMBE:
• € 3.362 milioni vengono “restituiti” dallo Stato sotto forma di detrazioni fiscali
• € 1.310 milioni sono relativi all’acquisto di farmaci di fascia A, virtualmente a carico del SSN, ma che i cittadini acquistano in autonomia per loro volontà
• € 1,5 miliardi sono destinati alla compartecipazione della spesa per i farmaci, ma di questi € 1 miliardo viene sborsato per acquistare farmaci brand al posto degli equivalenti
• € 5.900 milioni sono destinati a prodotti omeopatici, erboristici, integratori, nutrizionali, parafarmaci, etc., voce di spesa peraltro esclusa dai nuovi conti della sanità dell’ISTAT
• € 5.215 milioni vengono spesi per farmaci di fascia C e di automedicazione, buona parte dei quali sono di efficacia non dimostrata
• € 11.000 milioni (che includono € 1.300 milioni di ticket) sono destinati a visite specialistiche ed esami diagnostici di laboratorio e strumentali, di cui una variabile percentuale del 30-50% secondo stime internazionali è inappropriata
• € 8.500 milioni vanno per le cure odontoiatriche (mai incluse nei livelli essenziali di assistenza) • € 5.255 milioni per l’assistenza ospedaliera, di cui oltre € 3.000 milioni per la long-term-care
• € 1.000 milioni per protesi e ausili".
"Lo “spacchettamento” della spesa delle famiglie – rincara Cartabellotta – confuta di fatto l’ipotesi che gli esborsi dei cittadini siano destinati esclusivamente a fronteggiare le minori tutele pubbliche: infatti, almeno il 40% non viene speso per beni e servizi indispensabili a migliorare lo stato di salute, bensì soddisfa bisogni indotti dal benessere e dalla medicalizzazione della società e condizionati da consumismo, pseudo-diagnosi e preferenze individuali". "La controprova - prosegue - viene fornita dal fatto che nelle diverse Regioni la spesa out-of-pocket è proporzionale al reddito pro-capite e alla qualità dell’offerta pubblica: in altre parole, le famiglie spendono di più nelle Regioni del nord dove l’offerta dei servizi sanitari pubblici è adeguata, mentre quelle del sud si attestano tutte sotto la media, nonostante una qualità peggiore dei servizi".
E non manca, infine, l'alert al nuovo governo gialloverde: secondo GIMBE, infatti la strategia di persuasione collettiva che punta dritta al “secondo pilastro” "prova a sensibilizzare il nuovo Esecutivo “personalizzando” i risultati dell’indagine Censis, da cui emergerebbe un “maggior rancore degli elettori di 5 Stelle e Lega nei confronti della sanità”, considerata il “cantiere con cui gli italiani metteranno alla prova il passaggio dal rancore alla speranza del cambiamento”.
"Peccato (per loro) - sottolinea la nota - che il contratto del Governo del cambiamento afferma senza indugi che “È prioritario preservare l’attuale modello di gestione del servizio sanitario a finanziamento prevalentemente pubblico e tutelare il principio universalistico su cui si fonda la legge n. 833 del 1978 istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale”. "La vera “prova di esame” - conclude Cartabellotta - non è affatto rappresentata dall’espansione del secondo pilastro, quanto invece dal rilancio del finanziamento pubblico, peraltro annunciato anche dal Premier Conte nel discorso per la fiducia al Senato. Se così non fosse, il Governo del cambiamento, oltre ai propri “rancorosi elettori”, avrà tradito anche il contratto che oggi riguardal’intero popolo italiano".
Nessuno metta in dubbio e in forse il Servizio sanitario pubblico. Soprattutto non lo faccia modellando dati che numerosi, illustri, centri di ricerca hanno già spiegato nella loro analiticità, creando allarmi che in realtà non ci sono e non ci devono essere.
Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini delle Professioni infermieristiche, il più numeroso d’Italia con oltre 445mila iscritti, prende posizione sui dati Censis-Rbm che attribuendo 40 miliardi di spesa ai cittadini per le cure, hanno anche parlato della possibilità di alternative come le assicurazioni sanitarie per far fronte al de-finanziamento del sistema da cui deriverebbe la spesa privata di chi è “costretto” a metter mano a risorse proprie per le prestazioni che il servizio pubblico non erogherebbe più.
“Non accettiamo e non accetteremo mai nulla e nessuno che metta in dubbio l’importanza di un sistema sanitario pubblico. Questo è l’unica via possibile per l’assistenza delle persone – afferma Mangiacavalli -. Sappiamo bene che nella spesa privata non c’è solo una parte di inefficienza che noi denunciamo da tempo, specie per il territorio, ma anche, come hanno sottolineato Cittadinanzattiva dalla parte dei cittadini e la Fondazione Gimbe che analizza gli scenari della sanità, spesa per ticket, differenza di prezzo tra farmaco "brand" e farmaco generico (per scelta dei cittadini), farmaci di fascia C, cure odontoiatriche che solo parzialmente sono incluse nei Lea, integratori, prodotti omeopatici e altro ancora.
È vero, sul territorio il piatto piange perché a molti bisogni di salute che il servizio pubblico non copre è il cittadino che deve far fronte di tasca propria. Ma non si può e non si deve parlare di 40 miliardi, non si può e non si deve cercare di gettare le basi per un cambio di rotta nell’assistenza che non privilegi più quella pubblica. O non solo”.
“Abbiamo detto e ribadiamo che è necessario organizzare l’assistenza sul territorio in modo multidisciplinare, mettendo i cittadini nelle condizioni di non essere soli al momento del bisogno. Abbiamo descritto modelli efficienti con livelli di assistenza ad alta, media e bassa intensità, legati alla realizzazione di percorsi e infrastrutture ben descritte, ma ferme nei cassetti di ministero e Regioni per il veto di pochi, legati ancora a un’immagine obsoleta e ormai inefficiente dell’assistenza e delle cure. Abbiamo sottolineato che i bisogni dei cittadini non sono più frantumabili in una risposta fatta di mille interventi disgiunti e scollegati tra loro, ma hanno bisogno di una risposta che deve essere coordinata ed efficiente per la vera tutela della salute. Anche per una maggiore garanzia di contenimento di spesa, perché nessuno invoca ‘piogge’ di risorse sul nulla, ma tutti vogliono investimenti mirati ed efficienti, così come con un nuovo modello lo saranno cure e assistenza".
"La sanità ha bisogno di appropriatezza, non del suo smantellamento. Ha bisogno di garantire che il giusto professionista possa essere messo in grado di rispondere alle necessità con un bilanciato utilizzo di risorse e nella maggiore autonomia possibile. Serve una visione più ampia e coraggiosa. Mancano professionisti, mancano anche gli infermieri, ma a mancare è soprattutto un serio ed equilibrato rapporto tra i professionisti che si realizzi attraverso lo sviluppo delle competenze”.
“Nessun falso allarme spaventi i cittadini – conclude Mangiacavalli -. Ma si sappia e si chiarisca che al di là di proclami pro domo di questo o quel soggetto, ciò che davvero serve è una ‘trasformazione strutturale’ nell’organizzazione del lavoro che deve riuscire a produrre un sistema con maggiore focalizzazione e specializzazione. Ma sia chiaro: un sistema pubblico, solo pubblico, niente altro che pubblico”.
Una corretta valutazione del rapporto beneficio-rischi dei farmaci è indispensabile e sacrosanta per garantire la miglior tutela al paziente. Ma la disciplina in materia non può e non deve servire alle aziende degli originator per ostacolare o ritardare l’ingresso sul mercato dei farmaci equivalenti una volta scaduto il relativo brevetto. E mira proprio a tagliare le gambe ad una tecnica anticoncorrenziale evidentemente gettonata nel territorio statunitense l’ultimo intervento regolatorio in materia da parte della FDA. A spiegare con chiarezza premesse e obiettivi il comunicato con cui il capo dell’Agenzia regolatoria USA, Scott Gottlieb, illustra gli interventi per riportare i brand drug makers sulla retta via, presentati a fine maggio e sottoposti a consultazione per un arco di 60 giorni.
“Il nostro sistema per lo sviluppo di nuovi farmaci si basa su un attento equilibrio sancito dal Congresso attraverso una legislazione che cerca di bilanciare l'accesso con l'innovazione – ha spiegato in premessa. - Questo sistema consente di ottenere premi di mercato per l'innovazione a titolo di incentivi allo sviluppo di nuovi progressi nella medicina. Allo stesso tempo, la legge consente - una volta scaduto il periodo di protezione brevettuale o di esclusività su un nuovo farmaco - lo sviluppo di una vivace concorrenza da parte di farmaci generici sicuri ed efficaci. Sappiamo però che ci sono situazioni in cui l’attesa competizione non si sta concretizzando in modo tempestivo. E questo a volte è il risultato di tattiche adottate dai produttori dei farmaci banded”.
Questi ultimi, ad esempio, hanno utilizzato i requisiti introdotti dalla FDA per la valutazione del rapporto beneficio-rischi dei medicinali (REMS- Risk Evaluation and Mitigation Strategy) per bloccare la tempestiva immissione in commercio dei generici.
“I REMS - ha spiegato Gottlieb – vengono sfruttati in due modi: durante il periodo di sviluppo del generico o a fine percorso, una volta completati i test necessari, quando il generico chiede l’autorizzazione all’ingresso sul mercato. Nel primo caso, poiché ai produttori di generici servono fino a 5 mila dosi di un farmaco di marca per eseguire gli studi di bioequivalenza e biodisponibilità necessari ad ottenere l’autorizzazione all’immissione in commercio, i produttori di farmaci di marca utilizzano a volte i REMS per mantenere il prodotto alla larga dalle aziende genericiste”.
“Il secondo ostacolo – ha proseguito Gottlieb – si si concretizza nel back-end, quando il generico cerca l'approvazione della FDA per accedere al mercato. Nello scenario attuale, l’azienda genericista che intenda commercializzare l’equivalente di un brand soggetto a REMS è tenuta ad utilizzare un sistema REMS singolo e condiviso con l’azienda dell’originator. I negoziati in materia possono durare molto a lungo, ritardando l'ingresso nel del generico sul mercato farmaco generico. Ma il l REMS – rimarca Gottlieb - non dovrebbe diventare uno strumento di cui le case farmaceutiche si servono per ritardare o bloccare la concorrenza dei generici”.
E la neo-introdotta disciplina mira proprio a sminare questo rischio, mantenendo però in vita tutti controlli a garanzia del paziente.
L'intervento poggia in particolare sull'introduzione di due linee guida: la prima (Development of a Shared System REMS Guidance for Industry) descrive i principi generali e le raccomandazioni per aiutare le aziende interessate a sviluppare ed efficientare un sistema REMS condiviso che consenta di evitare ritardi nella commercializzazione dei prodotti.
La seconda (Waivers of the Single, Shared System REMS) introduce invece la possibilità di deroghe, spiegando in base a quali criteri la FDA potrà concedere all'azienda genericista di procedere in modo autonomo e di utilizzare modalità diverse per garantire lo stesso livello di sicurezza: ciò accadrà ad esempio nel caso in cui l'onere di formare un singolo sistema condiviso superi i benefici di avere uno.
"Le linee guida chiariscono che la FDA incoraggia le aziende a lavorare insieme per formare un sistema unico e condiviso ma l'agenzia prenderà in considerazione una deroga in qualsiasi momento sia su richiesta da parte delle aziende produttrici che su iniziativa propria - conclude Gottlieb. - Scoraggeremo i produttori di farmaci di marca dall'uso del REMS come metodo per bloccare l'ingresso generico perché il nostro sistema, basato sul premio mercato per l'innovazione, dipende proprio dalla competizione legale determinata dai generici".
Rispunta a due anni di distanza, in casa AIFA, la valutazione della equivalenza terapeutica tra principi attivi diversi. E l'obiettivo è sempre lo stesso: "l’acquisto dei farmaci in concorrenza".
Ad annuncialo è la stessa Agenzia, che in una nota pubblicata ieri sera sul proprio sito ha reso nota l'approvazione della determina n. 818/2018, fotocopia o quasi dell'analoga determina che nel 2016 fu sommersa da un oceano di critiche, in particolare da parte di medici e farmacisti, finendo poi per essere ritirata (n. 458/2016).
Il comunicato ribadisce la validità delle motivazioni già allora avevano indotto l'Agenzia ad un intervento regolatorio in materia: "La valutazione dell'equivalenza terapeutica - spiega la nota - costituisce un metodo attraverso cui è possibile confrontare medicinali contenenti principi attivi diversi al fine di identificare, per le stesse indicazioni, aree di sovrapponibilità terapeutica nelle quali non siano rinvenibili, alla luce delle conoscenze scientifiche, differenze cliniche rilevanti in termini di efficacia e di sicurezza".
"Il documento ha come obiettivo principale l’individuazione dei criteri da utilizzare per stabilire l’equivalenza terapeutica ai fini dell’acquisto dei farmaci in concorrenza", prosegue la nota, sottolineando anche che "L’equivalenza terapeutica costituisce uno degli strumenti per favorire la razionalizzazione della spesa ed allocare le risorse risparmiate a garanzia di un più ampio accesso alle terapie".
La nuova determina regola dunque la procedura da seguire al fine di sottoporre all'AIFA le richieste di valutazione dell’equivalenza terapeutica tra principi attivi che rivestono particolare rilevanza per la tutela della salute, e fornisce alle Regioni informazioni e indicazioni circa i requisiti che i medicinali contenenti principi attivi diversi devono possedere per poter essere ammessi alla valutazione di equivalenza terapeutica al fine di organizzare gare centralizzate capaci di garantire risparmi superiori a quelli conseguiti con le attuali procedure.
Inalterati i criteri di identificazione dei farmaci valutabili in quest'ottica:
- devono essere in commercio da almeno 12 mesi;
- devono presentare prove d'efficacia derivanti da studi che non prevedono dimostrazioni di superiorità;
- devono appartenere alla classificazione Atc di IV livello;
- devono avere indicazioni terapeutiche principali sovrapponibili;
- devono itilizzare la stessa via di somministrazione e prevedere uno schema posologico che consenta di effettuare un intervento terapeutico di intensità e durata sostanzialemnte sovrapponibili.
Altre situazioni - precisa la determina - saranno valutate caso per caso dalla CTS, cui è affidata l'istruttoria in vista della decisione finale dell'Agenzia.
Per le gare in equivalenza - specificano infine le linee guida - dovrà essere definita la quota di fabbisogno oggetto di gara e tale quota non potrà in ogni caso superare l'80% del totale a tutela delle eventuali sottopopolazioni di pazienti che necessitino di uno specifico principio attivo tra quelli messi in gara.
"Bene, ma si può e si deve fare di più". E' un po' questo il succo delle reazioni a caldo da parte delle aziende produttrici di equivalenti e biosimilari in relazione al varo da parte della Commissione Ue della proposta di legge sul "Supplementary Protection Certificate (SPC) Manufacturing Waiver", ovvero la deroga che consentirebbe la produzione di medicinali generici durante la vigenza del certificato di protezione complementare ai soli fini dell'esportazione nei mercati dove questo sia scaduto o non sia in vigore.
La misura era invocata da lungo tempo dalle imprese del comparto che, nell'attuale quadro normativo europeo, subiscono una pesante concorrenza da parte delle aziende che producono nei Paesi extra-Ue, dove non esistono analoghe restrizioni. La conseguenza è che - per competere alla pari - le aziende europee si vedono costrette a spostare all'estero la produzione e a mantenercela a causa degli accordi di esclusività produttiva imposti dagli ospitanti.
I vantaggi derivanti dall'introduzione delle deroghe all'SPC protection erano stati chiaramente evidenziati in uno studio indipendente realizzato per la Commissione Ue dalla Charles River Associates (CRA) che pronosticava tra l'altro un significativo aumento dei posti di lavoro nel comparto farmaceutico europeo e importanti risparmi per i sistemi sanitari nazionali. Fattori che hanno indotto il Parlamento Ue a sollecitare azioni normative in materia da parte della Commissione Ue. Quest'ultima, del resto, richiama le stesse ricadute positive in termini economici e occupazionali nella scheda di lettura che accompagna il provvedimento, ma in quest'ultimo, datato 28 maggio, figurano disposizioni tali da renderle di fatto - secondo le aziende del comparto - del tutto irrealizzabili salvo importanti interventi emendativi in corso d'esame.
Questi in sintesi i "paletti" neanche tanto occulti introdotti nella neo-varata proposta di legge europea:
- sarebbe consentito produrre lotti industriali in vigenza di SPC ed esportarli in Paesi dove non c’è SPC ma solo fuori dal territorio europeo;
- sarebbe obbligatorio apporre su tutte le confezioni una apposita etichettatura recante la scritta “EU export”;
- non sarebbe consentito produrre stoccare lotti prodotti in presenza di SPC nei magazzini per venderli dal giorno successivo alla scadenza del brevetto;
- la deroga si applicherebbe solo agli SPC registrati dopo l'entrata in vigore della normativa Ue (ovvero non si applica agli SPC esistenti);
- l'azienda produttrice sarebbe obbligata a notificare in anticipo all'Autorità regolatoria - che ne darebbe ampia pubblicità - dati sensibili come l'avvio della produzione e la lista dei Paesi cui essa sarebbe destinata.
"Il lancio di questa proposta è un passo senz'altro positivo, ma il legislatore (Parlamento e Consiglio) devono modoficare la proposta della Commissione correggendo le anomalie che limiterebbero l'uso della nuova normativa in particolare da parte delle piccole e medie imprese", ha commentato Marc Alexander Mahl, presidente di Medicines for Europe, che rappresenta il comparto degli equivalenti e biosimilari in Europa. Secondo Mahl, infatti, "la posibilità di produrre e stoccare per il 'day 1 launch' è un requisito cruciale per la localizzazione nel territorio europeo di impianti produttivi che richedono investimenti elevati, come nel caso dei prodotti biosimilari".
E di "paletti ingiustificati, che renderebbero inutilizzabile la deroga per le imprese" parla anche Enrique Hausermann, presidente Assogenerici. "Basta pensare - spiega - che la deroga verrebbe concessa solo per l’export nei Paesi extraeuropei, rendendo impossibile la commercializzazione nei Paesi europei dove il certificato complementare di protezione sia già scaduto a totale discapito in particolare delle PMI. Mentre andrebbe a totale danno della sostenibilità dei sistemi sanitari il mancato risparmio di spesa che deriverebbe della tempestiva introduzione sul mercato di farmaci equivalenti e biosimilari".
"I biosimilari richiedono gli stessi standard di qualità, sicurezza ed efficacia previsti per ogni medicinale biologico e sono sottoposti a un rigoroso processo di valutazione. Per tale motivo, l’AIFA li considera intercambiabili con i corrispondenti originatori tanto per i pazienti naïve quanto per i pazienti già in terapia".
A ribadire la posizione dell'Agenzia Italiana del Farmaco in materia è il direttore generale, Mario Melazzin, in un editoriale e in una videointervista pubblicate sul portale dell'AIFA, in occasione dell'uscita nella Gazzetta Ufficiale n.104 del 7 maggio, della Determina del 20 aprile 2018 sull'adozione del "Secondo Position Paper sui farmaci biosimilari" (Determina n. DG/629/2018).
Nell'editoriale il DG riassume il percorso che ha portato alla definizione e regolamentazione dei medicinali biosimilari in Europa più rapidamente che negli Stati Uniti, sottolinendo che "il quadro regolatorio così definito costituisce ad oggi il benchmark normativo per altre istituzioni quali l’OMS e le agenzie regolatorie extraeuropee", a fronte di un mercato europeo dei biosimilari in continua espansione visto che tra il 2006 e il 2018 nell’Unione Europea sono stati autorizzati 38 farmaci biosimilari, per un totale di quindici principi attivi.
Una marcia in più che deriva all'Europa - spiega Melazzini - proprio dall'aver adottato un quadro normativo chiaro e un contesto più favorevole alla concorrenza: "La competitività è così marcata e le future opportunità di mercato sono tali che anche le aziende più innovatrici hanno iniziato ad investire risorse sui biosimilari al fine di diversificare il proprio portfolio e “sfruttare” le scadenze brevettuali dei farmaci biotech a più alto impatto di spesa".
"La scadenza della copertura brevettuale dei farmaci biologici - conclude il DG - rappresenta un’opportunità straordinaria per i pazienti e per il sistema sanitario nel suo complesso. Oltre a consentire l’accesso alle nuove terapie a un maggior numero di pazienti, porterebbe infatti un risparmio, in termini di risorse finanziarie, che potrebbe essere re-investito nell’innovazione farmaceutica".
"I medicinali biosimilari sono approvati secondo gli stessi standard di qualità, sicurezza ed efficacia richiesti per ogni medicinale biologico e sono sottoposti a un rigoroso processo di valutazione. Il rapporto rischio-beneficio è, infatti, lo stesso degli originatori di riferimento: ecco perché AIFA li considera intercambiabili. Saranno comunque i medici a doverne valutare l’utilizzo", così il Direttore Generale AIFA Mario Melazzini a conclusione dell’incontro “Accesso alle terapie con farmaci biologici: i fenomeni di sottotrattamento e le opportunità offerte dai biosimilari”, che l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha organizzato ieri a Roma per presentare il Secondo Position Paper sui Farmaci Biosimilari.
L’AIFA, attraverso il Position Paper, si propone di informare e sensibilizzare su quella che ritiene essere una vera e propria sfida anche dal punto di vista culturale, fornendo agli operatori sanitari e ai cittadini indicazioni chiare, trasparenti e convalidate.
“I biosimilari sono uno strumento irrinunciabile per lo sviluppo di un mercato competitivo e concorrenziale che produca salute perché costituiscono un’opzione terapeutica a costo inferiore per il Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Questo significa trattare un numero sempre maggiore di pazienti e garantire l’accesso a terapie ad alto impatto economico, con un risparmio potenziale non solo in termini di costi sanitari, ma anche sociali”, ha dichiarato poi Mario Melazzini.
La disponibilità dei prodotti biosimilari genera concorrenza rispetto ai prodotti originatori, rappresentando un elemento fondamentale per garantire la risposta al bisogno di salute e la necessità di governare la spesa, allocando le risorse dove più necessario.
“Gli standard qualitativi dei medicinali biosimilari sono gli stessi richiesti per gli altri tipi di farmaci”, ha specificato Simona Montilla (AIFA); “le autorità regolatorie, come per qualsiasi medicinale, sono tenute a svolgere ispezioni periodiche del prodotto, degli stabilimenti di produzione e del sistema di monitoraggio, sia in fase pre-autorizzativa sia durante la commercializzazione”.
L'AIFA ha organizzato la giornata suddividendo i partecipanti in Tavoli di lavoro tematici impegnati ad approfondire l'impatto dei medicinali nelle specifiche aree e ha inteso stimolare un dibattito dinamico e si sono focalizzati, nello specifico, sulle aree cliniche della Reumatologia, della Gastroenterologia, della Dermatologia e dell’Oncologia, ma anche sulle opportunità e le sfide che attendono AIFA e le sue decisioni.
“A partire da oggi rafforzeremo un metodo di lavoro già avviato e che AIFA intende continuare nel tempo, puntando a mantenere vivi il lavoro e il confronto tra gli esperti riuniti nei Tavoli tematici”, ha proseguito il DG AIFA.
Melazzini ha ribadito come i biosimilari rappresenteranno sempre di più un progetto strategico per l’Agenzia, che promuoverà specifiche iniziative di formazione dedicate ai medici al fine di diffondere, anche attraverso il confronto con le Regioni e le aziende farmaceutiche, un’informazione corretta e trasparente a beneficio di pazienti sempre più esperti.
Il Position Paper esprime la posizione ufficiale dell’Agenzia: per la sua stesura è stata avviata una consultazione pubblica, grazie alla quale sono stati analizzati circa 200 commenti ricevuti da società scientifiche, commissioni Regionali e aziende ospedaliere, operatori sanitari, associazioni di pazienti e della società civile, associazioni di categoria industriale e aziende farmaceutiche.
Nel 2017 le otto molecole biosimilari in commercio sul mercato italiano –Epoetine, Filgrastim, Somatropina, Follitropina alfa, Infliximab, Insulina Glargine, Rituximab e Etanercept - hanno assorbito il 19% dei consumi nazionali contro l’81% detenuto dai corrispondenti originator, registrando una crescita complessiva dei consumi del 73,9% rispetto al 2016: il dato emerge dal Report annuale realizzato dall'Ufficio Studi IBG - Italian Biosimilars Group sui dati a consuntivo 2017.
Per tre delle molecole in questione il mercato nazionale ha registrato il sorpasso nelle vendite di biosimilare rispetto al biologico originatore. A realizzare il maggior grado di penetrazione sul mercato è stato il Filgrastim, i cui 5 biosimilari in commercio hanno assorbito il 92,7% del mercato a volumi. Ad assicurarsi la seconda miglior performance sono state invece le Epoetine, che hanno assorbito il 67,4% del relativo mercato a volumi. Entrambe le molecole citate sono in commercio in versione biosimilare dal 2009 e ciò rende ancora più ragguardevole la performance dei tre biosimilari dell’Infliximab che in un paio d’anni (la prima commercializzazione risale al febbraio 2015) sono arrivati a totalizzare il 54,6% del mercato a volumi.
Decisamente più distanziata la performance della Somatropina biosimilare, commercializzata dal 2007, che raccoglie il 28% a volumi in un mercato ancora solidamente (72%) detenuto da 7 altri prodotti originatori.
Ancora in via d’assestamento, infine, la penetrazione sul mercato dei biosimilari di più recente registrazione, a partire dalla Follitropina alfa, in commercio dall’aprile 2015, titolare nel 2017 dell’8,2% del mercato della molecola a volumi. Migliore invece la prestazione dell’Insulina Glargine, con il primo biosimilare in commercio da febbraio 2016 e titolare alla fine dello stesso anno del 15,4% del mercato a volumi. Sulla stessa lunghezza d’onda la penetrazione dell’Etanercept , entrato sul mercato nell’ottobre 2016 e arrivato a totalizzare nel 2017 l’11,6% del mercato a volumi. Comunque di rilievo, infine, quel 2,2% del mercato a volumi assorbito dal Rituximab biosimilare in soli 5 mesi di commercializzazione a partire dal luglio 2017.
Ampiamente diversificato il quadro dei consumi a livello regionale: a registrare il maggior consumo di biosimilari per tutte le molecole in commercio sono la Valle d’Aosta e il Piemonte con una incidenza dei biosimilari del 64,11% sul mercato complessivo di riferimento. Seguono, appaiate ma decisamente distanziate dalle prime due, Basilicata e Sicilia dove i biosimilari assorbono rispettivamente il 33,37% e il 32,77% del mercato di riferimento.
All’estremo opposto, fanalini di coda la Puglia (6,82%), l’Umbria (7%) e il Lazio (8,27%).
Ben altro aspetto assume però la classifica regionale dei consumi tenendo conto soltanto del mercato riferito all’insieme delle quattro molecole in commercio da almeno 3 anni (Epoetine, Filgrastim, Somatropina, Infliximab): in testa ai consumi di biosimilari ancora una volta Valle d’Aosta e Piemonte, entrambe con quote di consumo di biosimilari dell’82,80%. Seguono il Trentino Alto Adige (70,63%), la Liguria (69,99%) passando per la Toscana, L’Emilia Romagna e la Sicilia, tutte con quote di penentrazione dei biosimilari superiori al 60%.
Ultima in classifica la Calabria dove il consumo delle quattro molecole biosimilari si ferma al 14,44 per cento.
"I farmaci biologici costituiscono un’arma importante per superare il problema del sottotrattamento e rendere disponibili terapie a un numero sempre maggiore di pazienti, in particolare nelle aree dell’oncologia, reumatologia, gastroenterologia e dermatologia".
A sostenerlo è l'Agenzia Italiana del Farmaco nella presentazione del convegno “Accesso alle terapie con farmaci biologici: i fenomeni di sottotrattamento e le opportunità offerte dai biosimilari” organizzato per martedì 27 marzo a Roma "per discutere delle opportunità che i farmaci biosimilari possono apportare al Servizio Sanitario Nazionale in termini di mantenimento dell’equilibrio fra esigenza di contenimento della spesa e tutela dei diritti dei pazienti".
Per l'occasione il direttore generale, Mario Melazzini, presenterà il Secondo Position Paper sui farmaci biosimilari, che aggiornerà la posizione ufficiale dell’Agenzia sull'argomento.
Dopo il grande successo della prima edizione, nell’ambito del programma GIMBE4young, la Fondazione GIMBE lancia il secondo bando nazionale per la partecipazione alla “Summer School on... Metodologia dei trial clinici” (Loiano, 3-7 settembre 2018), corso residenziale finalizzato a preparare le nuove generazioni di ricercatori alle sfide che li attendono per migliorare qualità, etica, rilevanza e integrità della ricerca clinica.
«Nella gerarchia delle evidenze scientifiche – dichiara Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE – i trial clinici, in particolare quelli controllati e randomizzati, costituiscono lo standard di riferimento per valutare l’efficacia degli interventi sanitari. Tuttavia la loro qualità è spesso insoddisfacente: determinando la persistenza di numerose aree grigie, oltre che lo spreco di preziose risorse».
La campagna internazionale Lancet-REWARD (Reduce research Waste And Reward Diligence), promossa in Italia dalla Fondazione GIMBE e già integrata nei programmi di ricerca istituzionale del Ministero della Salute, punta proprio a ridurre gli sprechi ed aumentare il value della ricerca biomedica: «Pazienti e professionisti – continua il presidente – vengono raramente coinvolti nella definizione delle priorità: per questo molti trial rispondono a quesiti di ricerca irrilevanti e/o misurano outcome di scarsa rilevanza clinica, e oltre la metà delle sperimentazioni cliniche vengono pianificate senza alcun riferimento a evidenze già disponibili, generando evitabili duplicazioni». I dati dimostrano che più del 50% dei trial pubblicati presentano rilevanti errori metodologici che ne invalidano i risultati; sino al 50% dei trial non vengono mai pubblicati e molti di quelli pubblicati tendono a sovrastimare i benefici e sottostimare i rischi degli interventi sanitari; oltre il 30% dei trial non riporta dettagliatamente le procedure con cui somministrare gli interventi studiati e spesso i risultati dello studio non vengono interpretati alla luce delle evidenze disponibili.
«Lo scorso anno Assogenerici ha scelto di sostenere la Summer School del programma GIMBE4young – dichiara Enrique Häusermann, presidente di Assogenerici – convinti dell’importanza dell’attività formativa svolta dalla Fondazione GIMBE e dell’urgenza, da essa sottolineata, di riportare il tema della salute al centro dell’agenda politica nazionale. A maggior ragione confermiamo questo impegno anche per il 2018, convinti che la prossima Legislatura sarà determinante per il destino della Sanità pubblica. Alla pari di GIMBE, le aziende del comparto degli equivalenti sono convinte che la stella polare per chiunque abbia a cuore le sorti del SSN deve essere il ricorso “appropriato” agli interventi sanitari, poiché questa è l’unica strategia capace di creare un sistema economicamente sostenibile di garanzia delle cure».
«È in quest’ottica - conclude Häusermann - che i corsi indirizzati ai giovani professionisti in formazione e orientati a garantire una maggior consapevolezza anche sul tema dell’accesso al farmaco e della corretta allocazione delle risorse, rappresentano un investimento sul futuro di un SSN rafforzato e coerente con la sua missione di origine ».
Considerato che le metodologie di pianificazione, conduzione, analisi e reporting dei trial clinici non costituiscono ancora parte integrante dei percorsi universitari e specialistici, la Fondazione GIMBE lancia un bando nazionale per selezionare 30 giovani studenti, medici e farmacisti, al fine di colmare questo gap formativo. La scadenza del bando è fissata al 21 maggio 2018.