I primi nove mesi del 2019 confermano il trend di decrescita dei consumi in farmacia registrato nei primi mesi dell’anno: da gennaio a settembre la spesa farmaceutica complessiva nel canale farmacia è ammontata ad un totale di 7,8 miliardi di euro per 1,4 milioni di confezioni vendute. I farmaci equivalenti hanno assorbito il 22% del mercato a volumi e il 14% a valori.
Per quanto riguarda i consumi rimborsati, le confezioni dispensate a carico del SSN sono diminuite dello 0,6% rispetto ai primi 9 mesi del 2018. A perdere terreno sono stati i prodotti coperti da brevetto (- 5,2% a unità rispetto allo stesso periodo del 2018) mentre cresce, lentamente, il segmento dei farmaci equivalenti (generici puri), con un aumento dell’1,8% rispetto a gennaio-settembre 2018. Sul fronte della spesa rimborsata - sostanzialmente stabile rispetto allo stesso periodo del 2018 - i prodotti sotto brevetto hanno registrato una flessione del 6,5%, mentre gli equivalenti hanno quotato una crescita del 7,6% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Performance decisamente di maggior rilievo sull’altro ramo del pianeta off patent, quello dei biosimilari: nei primi nove mesi dell’anno hanno registrato una crescita dei consumi del 109,2% rispetto allo stesso periodo del 2018.
L’istantanea aggiornata dei trend del mercato farmaceutico of patent riferito ad equivalenti e biosimilari è contenuta nell’ultimo report realizzato dall’Ufficio studi Assogenerici su dati IQVIA.
Equivalenti: mercato tutto in classe A, con un differenziale da 829 milioni (a carico dei cittadini)
Entrando nel dettaglio, il giro d’affari degli equivalenti risulta focalizzato in classe A, dove si concentra l’89% delle confezioni vendute (su un totale di 309 milioni) e l’82% del fatturato realizzato (su un totale di 1,1 miliardo), mentre resta decisamente più contenuta l’incidenza dei prodotti in classe C (10% a volumi; 17% a valori) e nell’area dell’automedicazione (1% sia a volumi che a valori).
Complessivamente nel canale farmacia a giocare la parte del leone sono i prodotti fuori brevetto che assorbono il 74% delle confezioni vendute nel canale, senza distinzione di classe (61% a valori), ma con una netta predominanza dei brand a brevetto scaduto, che quotano il 70% a volumi e il 76% a valori del relativo mercato fuori brevetto.
Per quanto riguarda l’analisi dei consumi per area geografica, nei primi nove mesi del 2019 il consumo degli equivalenti di classe A è risultato concentrato come sempre al Nord (37,3% a unità; 29,1% a valori), che distanzia decisamente il Centro (27,9%; 22,5%) che il Sud Italia (22,4%; 18,1%), a fronte di una media Italia del 30,2% a volumi e del 24,1% a valori. A separare Nord da Sud sono ancora 14,9 punti percentuali a unità e 11 punti percentuali a valori.
In particolare, a guidare la classifica dei consumi di equivalenti è la Provincia Autonoma di Trento (43% sul totale delle unità rimborsate SSN a fronte di una incidenza degli off patent sul totale dell’84,2%), seguita da Lombardia (39,3% sull’81,6% di off patent), Friuli Venezia Giulia (37,2% sull’83% di off patent) ed Emilia Romagna (37% sull’84% di off patent). Ultima in classifica la Calabria (20,6% di equivalenti sull’83,4% di off patent rimborsati SSN nei primi 9 mesi del 2019). Poco sopra Basilicata, Campania e Sicilia.
Ammonta infine a 829,3 milioni di euro il totale del differenziale di prezzo pagato di tasca propria dai cittadini nei primi nove mesi del 2019 per ottenere il branded a brevetto scaduto invece del generico.
Il mercato ospedaliero
Equivalenti in crescita, infine, nel mercato ospedaliero in classe A e H, con i volumi che si attestano nei primi nove mesi dell’anno al 29,5% del totale e valori ex factory che si attestano al 6,7%: un dato tuttavia “teorico” che realisticamente corrisponde al 2,4% in valori al prezzo medio delle forniture ospedaliere, notoriamente effettuate solo per bandi di gara.
Anche nel mercato ospedaliero dominano i medicinali senza brevetto, che assorbono complessivamente il 67,7% a volumi e uno striminzito 8,4% a valori, mentre i farmaci in esclusiva (protetti da brevetto o privi di generico corrispondente), assorbono il 32,3% a unità e il 91,6% a valori (prezzo medio).
Biosimilari: consumi in crescita del 109,2% in nove mesi
I primi nove mesi del 2019 hanno visto proseguire l’avanzata di successo dei biosimilari sul mercato nazionale: i 29 prodotti corrispondenti ai 13 molecole biologiche a brevetto scaduto (Enoxaparina, Epoetine, Etanercept, Filgrastim, Follitropina alfa, Infliximab, Insulina glargine, Rituximab, Somatropina, Insulina Lispo, Trastuzumab e Adalimumab e Pegfilgrastim biosimilari) hanno assorbito il 28% dei consumi nazionali a volumi (17% il dato consolidato 2018) contro il 72% detenuto dai corrispondenti originator, con una crescita del 109,2% rispetto ai primi nove mesi del 2018, al netto dei nuovi principi attivi biosimilari lanciati a partire da settembre 2018.
In quattro casi i biosimilari hanno quasi completamente saturato il mercato di riferimento sostituendosi al biologico originatore: Filgrastim (95,89% del mercato a volumi e (92,91% a valori); Epoetine (84,27% a volumi; (73,45% a valori); Infliximab (83,43 a volumi e 69,63% a valori) e Rituximab (84,79% a volumi e 59,70% a valori).
Registrano crescite di rilievo anche le molecole di più recente registrazione come adalimumab o trastuzumab, fino ad arrivare al neonato pegfilgrastim biosimilare, in commercio da febbraio e capace di conquistarsi, in soli 7 mesi, il 18,36% del mercato a volumi (10,65% a valori).
Ampiamente diversificato e comunque generalmente in crescita il quadro dei consumi a livello regionale: a registrare il maggior consumo di biosimilari per tutte le molecole in commercio sono la Valle d’Aosta e il Piemonte con una incidenza dei biosimilari del 61,73% sul mercato complessivo di riferimento. Seguono Marche (45,23%), Toscana (45,19%) e Emilia Romagna (44,70%). All’estremo opposto, il minor grado di penetrazione dei biosimilari si registra in Umbria (8,95%), Calabria (12,35%) e Puglia (12,36%)
Sceglie la veste dell'Accordo quadro multi-aggiudicatario, a condizioni tutte fissate, senza rilancio competitivo - in osservanza di quanto prescritto dalla Legge di Stabilità 2017 - il nuovo bando per la fornitura di farmaci biologici pubblicato da Consip il 28 novembre. In gara 13 lotti merceologici, che valgomo oltre 130 milioni di euro e che comprendono i seguenti principi attivi: Adalimumab, Enoxaparina sodica, Epoetina, Etanercept, Filgrastim, Follitropina alfa, Infliximab, Insulina glargine, Insulina lispro, Pegfilgrastim, Rituximab, Teriparatide, Trastuzumab.
L’iniziativa si affianca alle procedure regionali già attive, per garantire a tutte le amministrazioni sanitarie la possibilità di acquistare farmaci per la tutela della salute dei propri pazienti: le amministrazioni per le quali non sussistono gare regionali attive avranno infatti così a disposizione un unico canale di acquisto per soddisfare le proprie esigenze, favorendo il contenimento dei costi di processo legati alla necessità di gestire una pluralità di negoziazioni dirette, la riduzione dei tempi per la conclusione dei contratti e l’applicazione di livelli di servizio, condizioni e modalità di acquisto trasparenti e uniformi.
Le acquisizioni potranno aver luogo una volta stipulato l’Accordo quadro con i fornitori aggiudicatari, attraverso ordini diretti, secondo il principio della scelta clinica e nel rispetto della continuità terapeutica. Tra i principali elementi innovativi, rispetto alla prima edizione dell’Accordo Quadro, l’aumento del numero di principi attivi disponibili e la riduzione degli oneri di partecipazione per le aziende. L’iniziativa - e i contratti di conseguenza stipulati - avrà una durata di 12 mesi. Il termine per la presentazione delle offerte da parte delle imprese è fissato alle ore 16 del 20 gennaio 2020.
L’equivalenza terapeutica tra generici e originator, relativamente a numerose patologie croniche - specie in ambito cardiovascolare - è ampiamente dimostrata da numerosi studi. Ma qual è esattamente l’atteggiamento prescrittivo dei Medici di Medicina generale? E soprattutto, qual è la tendenza dello switching prescrittivo tra farmaco equivalente e brand e viceversa?
Ad indagare su questo territorio finora inesplorato è stato lo Studio EQUIPE - realizzato d’accordo con Assogenerici dall’Istituto di ricerca della Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie (SIMG), utilizzando il database Health Search (HSD) - che ha analizzato il profilo di prescrizione dei farmaci equivalenti in medicina generale relativamente ai contesti clinici di ipertensione arteriosa, malattie ischemiche cerebro/cardiovascolari e depressione.
Lo studio - presentato nell’ambito del 36° Congresso Nazionale SIMG “Progetti e Strumenti per la Medicina Generale del Futuro”, in corso fino a sabato 30 novembre presso la Fortezza da Basso a Firenze - ha valutato i pattern di utilizzo (prevalenza ed incidenza d’uso) dei farmaci equivalenti in Medicina generale nel decennio 2008-2018 , quantificando anche il grado di switching, in funzione dell’indicazione terapeutica, tra farmaco equivalente e brand e tra il farmaco brand e l’equivalente per quanto concerne l’ipertensione arteriosa, le malattie ischemiche cerebro/cardiovascolari e la depressione.
L’analisi è stata realizzata sul database contenente le informazioni cliniche relative ad oltre 1 milione e mezzo di assistiti (Health Search Database- HSD) fornite da 800 medici di medicina generale - selezionati su tutto il territorio nazionale in base alla numerosità dell’area geografica di riferimento (Nord-est, Nord-ovest, Centro, Sud, Isole) - che registrano quotidianamente le informazioni relative alla pratica professionale quotidiana, codificando anche le prescrizioni farmaceutiche.
«Dallo studio emerge in modo chiaro che l’aumento della prescrizione del generico nel tempo è giustificata dai nuovi utilizzatori. Ovvero, sono i pazienti che iniziano per la prima volta il trattamento con uno dei farmaci equivalenti appartenenti ad una delle categorie terapeutiche analizzate a giustificare l’aumento del volume di prescrizione registrato - ha spiegato Francesco Lapi, Direttore della Ricerca di Health Search. - Viceversa lo switch da brand a generico ha un ruolo marginale rispetto a quello dei primi trattamenti».
Proprio sullo switch emergono però aspetti particolari: lo studio documenta infatti uno switching prescrittivo leggermente superiore da generico a brand.
«Il fenomeno riguarda in particolare quelle categorie di farmaci rispetto alle quali può esserci una percezione maggiormente rilevante degli aspetti di sicurezza della terapia, sia da parte del medico che da parte del paziente - ha commentato Claudio Cricelli, Presidente Simg. - Il fenomeno, infatti, si verifica soprattutto per i diuretici o per l’aspirina a basse dosi: trattamenti notoriamente soggetti a più effetti collaterali di varia intensità che - a fronte della percezione individuale degli stessi da parte del paziente - possono portare ad una modifica del comportamento prescrittivo del medico». «Riassumendo - ha proseguito Cricelli - è sempre più in crescita la popolazione che utilizza in prima battuta l’equivalente in quanto farmaco prescritto dal medico. Il fenomeno del cambiamento di prescrizione da generico a brand avviene invece solo per categorie di prodotti che, pur essendo di uso consolidato nella clinica, presentano profili di scarsa maneggevolezza. E si tratta comunque di fenomeni la cui incidenza è andata diminuendo e che riguardano una popolazione sempre più ridotta, in particolare nel primo anno di trattamento».
«Sia tra gli operatori sanitari che tra i pazienti esiste ancora una percentuale non trascurabile di popolazione che esprime una diffidenza verso gli equivalenti - ha commentato Enrique Häusermann, presidente Assogenerici. - I risultati preliminari di questa ricerca sono però incoraggianti sia sul fronte dell’avvio delle terapie direttamente con farmaci equivalenti sia su quello dell’individuazione delle aree dove tali diffidenze persistono per la scarsa maneggevolezza dei principi attivi analizzati. Ed è proprio in queste aree che il MMG può giocare un ruolo determinante nell’aderenza alla terapia». «È dunque evidente che un’adeguata conoscenza di come in oltre 10 anni sia mutato il profilo prescrittivo della Medicina generale è indispensabile per rinsaldare il rapporto di fiducia tra chi ha bisogno di salute (pazienti) e chi ha le conoscenze scientifiche per dare risposte al bisogno (medici) - ha concluso Häusermann. - Per questo siamo felici di sostenere lo sforzo della SIMG nella ricerca e approfondimento di aspetti fondamentali per l’appropriatezza prescrittiva e quindi la sostenibilità del SSN».
«Numerosi fattori influenzano la decisione di prescrivere un farmaco e la scelta del paziente di preferire un prodotto generico rispetto ad una referenza brand: i fattori culturali, l’informazione sulle modalità di produzione e registrazione, la capillarità e la continuità di distribuzione dei prodotti - ha tirato le somme Cricelli -. Sono tutti elementi che garantiscono la chiarezza di informazione capace di aumentare la consapevolezza decisionale del paziente e nel tempo stanno mutando, consolidando la fiducia dei medici e dei consumatori nei confronti dei prodotti generici».
Il mercato europeo dei farmaci biosimilari stenta a decollare ed è lo specchio del sottotrattamento che ancora coinvolge numerosi malati nel Vecchio Continente. L’introduzione dei biosimilari ha infatti determinato un impatto variabile sui mercati europei: grazie alle decise riduzioni di prezzo, infatti, l’avvento delle prime tre classi di biosimilari - ormone della crescita, epoetina e filgrastim - ha generalmente aumentato l'accesso ai trattamenti e lo stesso sta accadendo - anche se più lentamente - con i biosimilari degli anti TNF e degli oncologici, tuttavia nei Paesi a scarso acceso il fenomeno si protrae per quasi uno o 2 anni dopo il lancio del primo biosimilare.
Il tema dell’accesso alle terapie biologiche e del sottotrattamento in particolare nell’area delle malattie reumatiche è stato al centro di un simposio organizzato giovedì 21 novembre nell’ambito dei lavori del 39° Congresso nazionale della Società italiana di farmacologia, SIF, con il supporto non condizionato dall’Italian Biosimilars Group. Punto di partenza lo studio - accettato al 56°Convegno della Società Italiana di Reumatologia (SIR) - realizzato dalla società di ricerca specializzata CliCon – Health, Economics & Outcome Research in collaborazione con il Dipartimento di Reumatologia dell’Istituto Gaetano Pini di Milano, analizzando i dati dei pazienti affetti da artrite reumatoide afferenti ad un campione di Asl afferenti a Lombardia, Veneto e Puglia.
«Sono stati inclusi nell’analisi tutti pazienti che nel quinquennio 2013-2017 hanno ricevuto una diagnosi di artrite reumatoide e ne è stata valutata la potenziale “eleggibilità” al trattamento con b-DMARDS in base a linee guida consolidate (terapia fallimentare per 6 mesi con metotrexato (MTX) e avvio trattamento con un secondo DMARD convenzionale sistemico, trattamento da almeno 6 mesi con corticosteroide oppure controindicazione alla terapia con MTX per danno renale, interstiziopatia polmonare, o danno epatico) - ha spiegato l’economista Luca degli Esposti. - Ne è emerso che un ulteriore 10% dei pazienti diagnosticati potrebbe essere trattato con farmaci biologici: a livello nazionale si tratta di circa 26 mila persone».
Il nostro Paese - confermano gli esperti - è agli ultimi posti in Europa per utilizzo di queste terapie. E il sottotrattamento – complice l’accesso ritardato alle cure – si traduce anche in un aggravio di spesa per il SSN.
Competizione biosimilare a caccia di equilibri
A monitorare le ricadute di questo scenario la società di consulenza internazionale nel settore sanitario e farmaceutico IQVIA, che a fine ottobre ha presentato a Bruxelles il Libro bianco “The Impact of Biosimilar Competition in Europe”, realizzato su richiesta della commissione Ue, con il supporto di EFPIA, Medicines for Europe e EuropaBio per la definizione degli indicatori chiave.
Il documento utilizza i dati 2018 descrivere gli effetti su prezzo, volume e quote di mercato conseguenti all’avvento della concorrenza biosimilare in Europa, sottolineando che oltre il 30% della spesa farmaceutica complessiva della comunità (177 miliardi) afferisce ormai ai medicinali biologici, di cui l’1,5% sono biosimilari. Essendo 16 molecole hanno prodotti biosimilari disponibili in Europa nel 2018 ciò significa che il 21% della spesa totale (12 miliardi di euro) è esposto alla concorrenza dei biosimilari.
L’analisi economica di IQVIA evidenzia che in Europa una concorrenza biosimilare pienamente sfruttata determinerebbe una riduzione dei costi complessivi fino all’8% compensando e superando il costo delle nuove terapie innovative con ingresso sul mercato a partire dal 2019. A dimostrarlo i trend di penetrazione sul mercato di molecole importanti come adalimumab, la cui versione biosimilare è entrata in commercio nel 2018 e arrivata a quotare il 30% del mercato di riferimento nei primi 7 mesi dal lancio. I prezzi netti sono riservati e la dimensione dello sconto dipende anche dal prezzo di partenza dell’originator – sottolinea il report IQVIA. - Tuttavia è stato riferito che nei paesi scandinavi, durante il primo turno di gare d'appalto 2019, sono stati previsti sconti fino all’80%.
Occasioni di risparmio per i servizi sanitari nazionali e opportunità di migliore accesso alle cure per una più ampia platea di pazienti che rischiano di essere depotenziate non tanto dalle strategie adottate dagli originatori per rimanere competitivi (es. tramite prodotti di seconda generazione o riformulati; riduzioni medie dei prezzi), quanto dall’assenza di politiche coordinate capaci di creare meccanismi di concorrenza sostenibili a lungo tempo per i produttori di biosimilari.
Secondo lo studio, infatti, la gamma di costi per lo sviluppo di un biosimilare va da 100 a 300 milioni di dollari e nel 2019 appena 1/3 dei 95 biosimilari in uso in tutto il mondo ha superato la soglia dei 100 milioni di dollari di vendite. E anche l’aumento dei competitors tra i prodotti biosimilari, se da un lato favorisce un mercato più competitivo, dall’altro rischia di riflettersi negativamente sugli incentivi futuri.
La scorecard italiana
Al concetto di “sostenibilità” sono dedicate le scorecard realizzate da IQVIA analizzano la situazione di 10 Paesi: Danimarca, Francia, Italia, Olanda, Norvegia Polonia, Romania, Spagna, Svezia, Regno Unito. Il focus è ancora una vota sui dati 2018. Gli indici sotto la lente, il livello di concorrenza (numero di concorrenti e rispettivi mercati); l’evoluzione dei prezzi (riduzione dal prezzo netto iniziale al prezzo medio di listino un anno prima del primo lancio biosimilare); l’evoluzione dei volumi di vendita (variazione complessiva del volume del mercato dei farmaci biologici dall’avvento dei biosimiari/maggior accesso alle terapie).
A illustrare il bilancio relativo al nostro Paese, al simposio SIF di Firenze, è stato Carlo Salvioni, Vice presidente IQVIA Italia: «L’elemento positivo è rappresentato dal fatto che il governo centrale è chiaramente orientato a trarre vantaggio dalla concorrenza biosimilare, avendo anche definito un meccanismo di gara efficiente, ad aggiudicazione multipla, che punta in questa direzione - ha detto. - Ma persiste una variabilità della penetrazione dei prodotti a livello regionale e in qualche caso una certa complessità delle procedure d’appalto, sempre a livello locale».
Un quadro che - ha proseguito Salvioni - può essere migliorato soprattutto «supportando le scelte politica farmaceutica dei governo locali e favorendo l’applicazione estensiva a livello nazionale del modello di gara con multi-aggiudicatari, con l’obiettivo di intensificare il livello di concorrenza nei mercati regionali, promuovendo nel contempo la sostenibilità a lungo termine dell’offerta terapeutica biosimilare sul mercato nazionale e la libertà prescrittiva dei medici».
«Il peso dei medicinali biologici è andato aumentando costantemente e lo stesso si prevede accadrà in futuro: da ciò discende l’importanza crescente dei biosimilari - ha sottolineato Stefano Collatina, coordinatore dell’Italian Biosimilars Group. - In tutte le aree terapeutiche interessate i biosimilari hanno garantito l’accesso al trattamento a un numero sempre più ampio di pazienti, che hanno potuto beneficiare delle cure in una fase anticipata del decorso della malattia, ottenendo così anche una migliore qualità della vita. Il risparmio generato - ha proseguito - dovrebbe consentire a più pazienti di essere trattati all'interno del budget esistente mentre grazie agli accordi di gain sharing gli ospedali possono trattenere il risparmio (corrispondente alla differenza tra DRG e spese) per destinarlo ad altre esigenze di trattamento». «Questo percorso virtuoso - ha concluso Collatina - è indispensabile per garantire il giusto incentivo all’innovazione futura da cui dipende la possibilità di riuscire a rispondere anche i bisogni terapeutici oggi non coperti».
«A prescindere dalle analisi economiche su cui non posso né voglio entrare - ha commentato infine il presidente della SIF, Alessandro Mugelli - vedo con soddisfazione che le perplessità che venivano espresse nel passato sull’utilizzo dei biosimilari in termini di efficacia e sicurezza si sono molto attenuate. Questo è probabilmente la conseguenza di quel percorso formativo che ha portato a far conoscere, non solo ai medici ma anche ai cittadini, le modalità con cui i biosimilari vengono introdotti in commercio».
«Per quanto riguarda invece il dato molto rilevante del sottotrattamento riscontrato nella indagine che ci è stata presentata - ha proseguito - mi sembra evidente che esistano ragioni che vanno al di là del costo del farmaco e che sono probabilmente da ricondurre ad aspetti organizzativi e alla difficoltà di accesso agli ambulatori dei reumatologi da parte di cittadini in qualche modo svantaggiati nel percorso diagnostico terapeutico». «Sarebbe auspicabile - ha concluso Mugelli - destinare i risparmi generati dall’utilizzo dei biosimilari al miglioramento di questi percorsi di accesso alle terapie con farmaci biotecnologici».
La campagna di informazione nazionale sui farmaci equivalenti approda nella Regione Marche: a renderlo noto un comunicato in cui si annuncia la sigla del protocollo d'intesa tra Cittadinanzattiva e Regione nell'ambito della terza edizione di ‘IO Equivalgo’.
La campagna, promossa da Cittadinanzattiva, mira ad accrescere la conoscenza dei farmaci equivalenti, informare e fornire opportunità di scelta consapevole a vantaggio della sostenibilità economica delle famiglie, promuovere la trasparenza sulle politiche dei prezzi e ridurre gli sprechi da mancata aderenza terapeutica dovuta spesso ad un’interruzione delle cure per difficoltà economiche.
Il protocollo, siglato da Loretta Bravi, assessore al lavoro, istruzione e sostegno alla famiglia, delegata dal Presidente, e da Monia Mancini, segretaria regionale di Cittadinanzattiva Marche, consolida inoltre una fattiva collaborazione e condivisione delle azioni per rafforzare la strategia regionale delle politiche sanitarie con attenzione particolare alle politiche del farmaco. L’impegno congiunto delle parti è quello di realizzare la campagna ‘IO Equivalgo’ mediante percorsi di informazione mirata e capillare, utile e corretta per scelte oculate.
“Informazione capace di orientare i cittadini verso la conoscenza del farmaco equivalente riducendo la dispersione di tempo e risorse e garantendo un accurato messaggio basato su evidenze scientifiche – commenta l’assessore Bravi - Incrementare l’utilizzo di farmaci equivalenti consente poi alla Regione di ottenere un risparmio per il servizio sanitario regionale liberando risorse economiche che possono essere destinate all’utilizzo di farmaci innovativi e a servizi sanitari qualificati”.
“Con questo Protocollo d’intesa, la Regione Marche si impegna a sensibilizzare, con propri canali, i cittadini all’uso dei farmaci equivalenti. Abbiamo rilevato un impegno istituzionale significativo nelle Regioni ove la campagna è stata attivata e auspichiamo la medesima responsabilità dalla Regione Marche. Il farmaco di marca non è migliore dell’equivalente; la differenza è che costano meno perché il brevetto, per produrre quella molecola, è scaduto. La campagna non vuole convincere ma informare “scientificamente” su un’opportunità di scelta consapevole”, ha dichiarato Anna Rita Cosso, Vice Presidente di Cittadinanzattiva.
I dati sulla spesa per farmaci equivalenti
Negli ultimi venti anni, i farmaci equivalenti hanno gradualmente visto aumentare le loro prescrizioni da parte dei medici e l’utilizzo da parte dei pazienti ma, da diverse analisi, l’Italia è uno degli ultimi Paesi in Europa nell’impiego degli stessi. Il rapporto dell’Osservatorio dei medicinali (istituito presso l’Aifa) evidenzia come in Inghilterra e in Germania la percentuale d’utilizzo dei medicinali equivalenti sia superiore al 60%. In Italia la percentuale è decisamente inferiore e gli equivalenti rappresentano il 27,7% dei consumi. Anche all’interno del territorio nazionale coesistono delle disparità: dai dati dell’Osservatorio civico sul federalismo sanitario, presentato nelle scorse settimane da Cittadinanzattiva, emerge un generale incremento della spesa in tutte le Regioni. Nel 2018 e nel 2017, la Calabria, la Basilicata e la Campania continuano a mostrare le più basse percentuali di spesa per i farmaci equivalenti, mentre la P.A. di Trento, la Lombardia, il Friuli Venezia Giulia e la P.A. di Bolzano hanno evidenziato la più alta incidenza di spesa per i farmaci equivalenti.
Le Marche si collocano nella media nazionale per spesa sostenuta dai cittadini per i farmaci equivalenti (fonte Aifa rapporto OsMed 2018), e sono l’unica regione a non aver introdotto un ticket regionale (ad esclusione del Friuli Venezia Giulia e la Sardegna che sono a statuto speciale).
Il progetto ‘IO Equivalgo’ è patrocinato dall’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco), con il contributo non condizionato di Assogenerici e partner tecnico Farmadati Italia.
Informazioni sulla campagna:
sito web http://www.ioequivalgo.it/
una guida per il cittadino
http://www.ioequivalgo.it/files/leaflet/Leaflet_Farmaci_ITALIANO.pdf
App IOEquivalgo scaricabile da Google Play o dall’app store
Spot: https://youtu.be/4E_v0xwNyj4.
Alla campagna collaborano: Confservizi Assofarm, Ordine dei Farmacisti della Provincia di Ancona e della Provincia di Macerata, SIFO, SPI-CGIL, CISL Pensionati, UIL Pensionati, Federfarma, SIGG, FNOPI (in particolare: OPI Ancona, OPI Ascoli Piceno e OPI Pesaro Urbino), SIF, ANP-CIA, FIMMG, AMSI e UMEM.
Realizzato nei laboratori dell’ISS un nuovo modello cellulare per studiare i meccanismi patogenetici della displasia immuno-ossea di Schimke (SIOD), una malattia rara che colpisce circa un neonato ogni uno-tre milioni. La ricerca, realizzata anche grazie ai finanziamenti di Telethon e della Fondazione Terzo-Pilastro Internazionale, è stata pubblicata sulla rivista Disease Models and Mechanisms.
La SIOD è un'osteocondrodisplasia genetica caratterizzata da dismorfismi, displasia spondiloepifisaria (bassa statura, tronco e braccia corti, prominenza del torace), sindrome nefrosica progressiva che porta all’insufficienza renale grave e spesso ad un difetto dell’immunità cellulare che rende i pazienti suscettibili alle infezioni. La mortalità è molto alta e, a seconda della gravità della malattia, può insorgere nell’infanzia o nell’adolescenza precoce.
«Sappiamo che la SIOD è dovuta alla mutazione del gene SMARCAL1 che codifica per la proteina SMARCAL1 – ha spiegato Pietro Pichierri, coordinatore del gruppo di studio, affiancato da un altro gruppo di ricerca in ISS guidato dalla dott.ssa Annapaola Franchitto e dai colleghi dell’Università di Roma Sapienza – tuttavia, il meccanismo per mezzo del quale le mutazioni SMARCAL1 causano la SIOD è completamente sconosciuto. La correlazione tra mutazioni SMARCAL1, stress di replicazione, formazione di danno al DNA, difetti di proliferazione e sviluppo alterato nella patogenesi SIOD è ancora inesplorata, in gran parte a causa dell’incapacità di SMARCAL1 di indurre tutti i fenotipi nei modelli esistenti della malattia».
I ricercatori hanno utilizzato cellule staminali pluripotenti per simulare i primissimi eventi associati alla fisiopatologia della malattia e collegabili con la perdita di espressione di SMARCAL1. Con questo modello è stato evidenziato come l’assenza della proteina - presente nelle forme più severe della SIOD - determini un accumulo di danno al DNA e l'attivazione della risposta al danno al DNA, che si cronicizzano nelle cellule.
Gli esiti dello studio rappresentano il primo collegamento tra difetti di SMARCAL1, stress replicativo e difetti del differenziamento. La speranza è che il modello consenta di comprendere meglio i meccanismi di insorgenza della malattia e di individuare gli eventuali interventi farmacologici per mitigare l’accumulo di stress replicativo.
Le aziende produttrici di biosimilari rappresentate dall’Italian Biosimilars Group-IBG hanno espresso in un comunicato stampa inviato oggi la loro preoccupazione in merito alla proposta, avanzata dall’AIFA, di prevedere nella Legge di Bilancio per il 2020 la sostituibilità automatica tra il farmaco biologico di riferimento e il suo biosimilare.
"Il principio di intercambiabilità tra originator e biosimilare, sancito in Europa e in Italia al massimo livello di conoscenze scientifiche e sulla base di tutte le evidenze disponibili - scrivono - non può essere confuso con la sostituibilità automatica dell’uno con l’altro.L’imposizione della sostituibilità in una fase in cui i biosimilari stanno sempre più guadagnando la fiducia da parte dei pazienti e dei clinici rischia di compromettere l’attività di dialogo e di costruzione di una cultura in materia che in questi anni sta dando i suoi frutti e inciderebbe in modo irreversibile sulla libertà prescrittiva del medico da sempre riconosciuta come irrinunciabile da parte delle imprese farmaceutiche".
Secondo il Gruppo IBG, infatti, la libertà prescrittiva del medico "viene invece pienamente garantita dall’accordo quadro introdotto in Italia dalla Legge 232/2016 : una soluzione che - se pienamente applicata dalle centrali d’acquisto - rappresenta la risposta più equilibrata alla necessità di concorrenza e recupero di risorse per il SSN garantendo anche la continuità terapeutica per i pazienti e la continuità di fornitura di prodotti salvavita".
L’aggiudicazione multipla in una gara a lotto unico, utilizzando lo strumento dell’accordo quadro, in conformità a quanto previsto dal Codice degli Appalti, è ritenuta inoltre quella "in grado di coniugare al meglio l’esigenza di garantire la più ampia concorrenza - grazie all’individuazione dei primi tre fornitori che hanno presentato la migliore offerta - con l’esigenza, al tempo stesso, offrire al medico specialista più opzioni terapeutiche per il trattamento dei pazienti. A dimostralo sono i dati di aggiudicazione delle gare nell’ultimo biennio che hanno prodotto grazie al meccanismo descritto riduzioni medie tra il 60% e l’80% del costo delle forniture".
"Le modalità di gara vigenti – basate sul criterio del minor prezzo o dell’offerta economicamente più vantaggiosa - rappresentano già il perimetro entro il quale il medico prescrittore è chiamato ad operare senza l’imposizione di “paletti” svilenti e francamente ascientifici, che servirebbero sono a svilire l’attività clinica e a indebolire il rapporto di fiducia tra cittadini e Servizio Sanitario Nazionale", conclude la nota IBG, sottolinenado anche che "su questo tema è in corso un importante dibattito in molti Paesi europei che oltre a guardare con estremo interesse il modello italiano - che ha portato l’Italia ad essere il primo mercato europeo per utilizzo dei biosimilari - ha nel contempo frenato l’adozione di misure estreme di sostituibilità automatica quali quelle auspicate dall’Agenzia regolatoria nazionale".
«In vista del varo della manovra per il 2020 è quanto mai urgente riprendere e affrontare in modo conclusivo tutti i temi della Governance farmaceutica, rimasti in sospeso con il precedente Governo. Questo è il tempo giusto per farlo, dopo che a luglio si è chiusa la faticosa partita del pay back per il ripiano della spesa farmaceutica per gli anni dal 2013 al 2017. Tutto il comparto farmaceutico ha dimostrato grande senso di responsabilità garantendo il raggiungimento dell’importo previsto – 2.378 milioni – che ha messo fine a sei anni di contenziosi, risolvendo anche criticità senza precedenti per i bilanci regionali».
Lo ha detto Enrique Häusermann, presidente Assogenerici, intervenendo stamattina a Milano al congresso annuale dei farmacisti, Farmacista Più, nella sessione plenaria dedicata alle politiche di welfare e sanità, inaugurata dall’intervento del ministro della Salute, Roberto Speranza.
«Sul pay back – ha proseguito Häusermann – resta ancora da affrontare l’ultimo miglio: la soluzione del pay back 2018 – che ha già generato le prime criticità – e la transizione al nuovo meccanismo basato sulle quote di mercato introdotto dalla legge di bilancio 2019. Ma questa operazione va necessariamente inquadrata in una ripartenza coerente con le necessità espresse anche dai nuovi organismi di governo europei. La mission letter che Ursula Von Der Leyer ha indirizzato al nuovo commissario UE per la Salute, Stella Kyriakides, individua due obiettivi con pari dignità: garantire ai pazienti europei l’accesso ai medicinali a prezzi accessibili e - allo stesso tempo - sostenere l'industria farmaceutica europea, per far sì che che mantenga il proprio ruolo di innovatore e leader mondiale».
«Gli stessi obiettivi valgono anche per il comparto nazionale ed è su questi punti che chiediamo un confronto che dia spazio anche alla voce del sistema produttivo, senza pregiudizi. Il sostegno ai pazienti e il sostegno all’industria sono due obiettivi inseparabili: per questo chiediamo un confronto aperto che conduca ad un Patto di stabilità pluriennale basato sull’individuazione e condivisione di politiche pubbliche sostenibili».
«Sul Tavolo della Governance – ha detto ancora il presidente Assogenenici – giacciono numerose questioni aperte fortemente impattanti per le aziende produttrici: si va dall’annoso problema dello sfondamento del tetto della spesa farmaceutica per gli acquisiti diretti –che speriamo di vedere finalmente risolta con una la compensazione trasversale tetti–fondi, mantenendo ogni avanzo nel capitolo della farmaceutica – alla revisione del Prontuario farmaceutico, che vorremmo vedere abbinata ad una revisione del PHT che riporti nel normale sistema di distribuzione della farmacia sia i farmaci fuori brevetto che ad una parte importante dei prodotti di più recente registrazione oggi esclusi. E ancora: c’è la spinosa questione delle carenze dei medicinali per la quale serve una soluzione che tenga conto di tutti i fattori che concorrono a creare questa problematica».
«Le questioni inevase sono molte e toccano le corde di un comparto produttivo che ha i numeri per rimanere il primo in Europa a patto che il termine governance farmaceutica significhi garantire la sostenibilità della spesa grazie ad una industria competitiva, che sia messa nelle condizioni di programmare e continuare a fornire i farmaci essenziali per i pazienti. Ci auguriamo che la parte pubblica sia disponibile a farlo – ha concluso Hausermann. – Anche il comparto della farmaceutica chiede al Governo di “essere stupito” con misure che una volta tanto non consideri la spesa per i farmaci come un serbatoio da trattare con misure emergenziali, in un’ottica economicistica e di corto respiro. Per questo ci auguriamo in primo luogo di veder inserita nella Legge di Bilancio una norma semplice, trasparente ed eticamente inattaccabile che sollecitiamo inutilmente da anni: l’obbligo di reinvestire nella farmaceutica tutti i risparmi derivanti da equivalenti e biosimilari».
Una settimana di raccolta invece di una sola giornata, per celebrare un ventennio di attività in crescendo, ma anche per ricordare che nonostante l'alto livello di partecipazione e le numeriche oggettivamente rilevanti realizzate, i farmaci donati coprono solo il 40,5% del fabbisogno denunciato dalle fasce più deboli ed emarginate della popolazione. Per questo la prossima Giornata di Raccolta del Farmaco promossa da Banco Farmaceutico durerà un’intera settimana: dal 4 al 10 febbraio 2020.
L'annuncio è stato dato nel corso del convegno "20 anni di Banco Farmaceutico: una storia che parte nelle farmacie italiane e arriva nelle periferie del mondo", svoltosi oggi nell'ambito del Congresso Farmacista Più, inaugurato stamattina a Milano. L'appuntamento è servito a fare il punto del percorso fatto fin qui e sulle nuove sfide poste dalla crescente povertà sanitaria: nel corso della GRF 201 - è stato detto - sono state raccolte 421.904 confezioni di medicinali (pari a un valore di 3.069.595 euro) contro le 15.000 della prima edizione, che si svolse, nel 2000, nella sola provincia di Milano; all'operazione hanno aderito oltre 4.487 farmacie, 18.744 farmacisti e 20.191 volontari e sono 1.844 enti assistenziali convenzionati che hanno beneficiato dei medicinali. Tutto per aiutare, complessivamente, oltre 468.000 persone in difficoltà economica e impossibilitate a curarsi.
Nel corso dell’evento è stato, inoltre, sottolineato come Banco Farmaceutico, negli ultimi anni, abbia sviluppato la propria dimensione internazionale per far fronte alle sfide crescenti; dimensione che si è espressa, in particolare, in donazioni in Sud Sudan e, in altre parti del mondo, nell’ambito dell’accordo di collaborazione siglato con la Difesa Italiana (Comando Operativo di vertice Interforze e Ordinariato Militare), grazie al quale, tra il 2018 e il 2019, sono state consegnate 148.176 confezioni di medicinali (pari a valore di 1.766.525 euro e a 16.588 kg di merce movimentata) in 7 Paesi dove sono presenti le Forze Armate Italiane.
Tra le sfide presenti, la più importante resta quella di far fronte al fabbisogno di medicinali espresso degli enti che, nel 2019, nonostante gli importanti risultati raggiunti, è stato coperto solamente al 40,5%.
«In questi anni Banco Farmaceutico è cresciuto grazie a tanti compagni di cammino che ci hanno sostenuto e incoraggiato con la loro generosità e professionalità; penso ai farmacisti, ai volontari, alle associazioni di categoria, alle istituzioni e alle imprese. Ora è il momento di compiere un passo in avanti, estendendo la Giornata di Raccolta del Farmaco ad una settimana. Per questo, mi appello agli amici farmacisti affinché, quest’anno, il numero di farmacie aderenti alla Giornata sia il più alto possibile. Sconfiggere la povertà sanitaria, così come la povertà assoluta, non è possibile; possiamo, però, sperare, un giorno, di ridurla radicalmente; questo accadrà quando, all’iniziativa, parteciperanno la maggioranza delle farmacie italiane», ha dichiarato Sergio Daniotti, presidente della Fondazione Banco Farmaceutico onlus.
«L’attenzione nei confronti delle persone più fragili è nel DNA della farmacia, un presidio sanitario professionale e capillare e, proprio per questo, vicino alle persone. Da 20 anni le farmacie sostengono il Banco Farmaceutico, mettendosi al servizio dei cittadini in difficoltà, aggiungendo al proprio quotidiano impegno professionale, il supporto a una grande iniziativa di solidarietà e di volontariato. Invito, quindi, tutti i colleghi a partecipare alla 20esima Giornata di Raccolta del Farmaco, confermando ancora una volta la propria naturale vocazione all’impegno sociale», ha affermato Silvia Pagliacci, presidente Sunifar e vicepresidente di Federfarma Nazionale
Per Andrea Mandelli, presidente della Federazione degli Ordini dei Farmacisti Italiani, «il farmacista è da sempre il professionista della salute cui le persone possono ricorrere più facilmente e questa vicinanza si è sempre tradotta in un forte spirito di solidarietà e in grande attenzione ai più fragili. L’opera e le iniziative della Fondazione Banco Farmaceutico hanno dato modo ai professionisti di esprimere ancora una volta questo spirito, così come fanno animando l’Associazione Farmacisti Volontari per la Protezione Civile e sostenendo l’operatività delle Farmacie di strada a Roma. Attività di volontariato che riteniamo importantissime, e per le quali abbiamo ottenuto possano valere ai fini del soddisfacimento degli obblighi formativi dell’ECM. La scelta di Banco Farmaceutico di solennizzare i venti anni di attività trasformando in settimana la Giornata di Raccolta del Farmaco sono certo che riscuoterà un successo ancora maggiore e la Federazione darà come sempre tutto il suo supporto all’iniziativa».
«Intesa Sanpaolo ha siglato un accordo di partnership quadriennale con Banco Farmaceutico per assicurare la raccolta e la distribuzione, a enti caritativi che assistono persone indigenti, di circa 150mila farmaci in corso di validità da farmacie e da aziende. La collaborazione ha permesso l’attivazione di nuovi centri di raccolta e distribuzione di farmaci in numerose città italiane e il rafforzamento dell’attività del Banco dove è già presente. Il nostro Gruppo ha previsto nel proprio Piano di Impresa 2018-2021 azioni specifiche nel cui ambito rientra appunto la collaborazione con Banco Farmaceutico per la raccolta e redistribuzione di 3.000 medicinali al mese. Per far questo, abbiamo supportato un’iniziativa concreta ed efficace – il Recupero Farmaci Validi - che consente di aiutare il prossimo e si inserisce perfettamente all’interno di questa partnership, rafforzando al tempo stesso la lotta alla povertà sanitaria nelle aree del Paese in cui c’è maggiormente bisogno», ha dichiarato Elena Jacobs, Responsabile Valorizzazione del Sociale e Relazioni con le Università di Intesa Sanpaolo.
«Con le nostre aziende siamo stati paladini della sostenibilità, consentendo al SSN di curare più persone a parità di risorse, ma siamo convinti che il progresso è tale solo se non lascia indietro nessuno. Per questo abbiamo messo assieme il tema della sostenibilità con quello della solidarietà, espresso nel progetto “Farmacia di strada”, iniziativa realizzata con la valida collaborazione dei farmacisti volontari e in partnership con Banco Farmaceutico con cui esiste una collaborazione decennale. Tale esperienza ha consentito la distribuzione agli indigenti di quasi 9mila confezioni di farmaci donati da aziende che regolarmente collaborano con il Banco per un valore di oltre 88mila euro grazie a 17 aziende donatrici e 31 categorie terapeutiche coperte. Questa esperienza - che consideriamo un progetto pilota – rappresenta un esempio virtuoso di come le imprese possano contribuire al benessere della società, diventando protagoniste di quell’alleanza tra Terzo Settore, istituzioni e aziende indispensabile in qualsiasi Paese che voglia farsi carico degli ultimi. L’auspicio è che questo modello possa essere esportato in altre realtà replicando e rafforzando una esperienza di solidarietà nella quale ci auguriamo di coinvolgere un sempre maggior numero di aziende del comparto» ha sottolineato Enrique Häusermann, Presidente di Assogenerici.
«La povertà ha tante facce, e tra queste vi è anche la povertà sanitaria. L’Italia, con una normativa avanzata come quella sulle donazioni e sul recupero delle eccedenze per solidarietà sociale, è un esempio riconosciuto a livello internazionale, anche per le buone pratiche che si sono sviluppate. Grazie a Banco Farmaceutico si è attivata una rete virtuosa, unica nel suo genere, tra ordini professionali, imprese, in Italia e all’estero, e anche nei fronti di guerra grazie alla collaborazione con le nostre Forze Armate. I numeri dei farmaci raccolti, dei donatori aderenti ai progetti e dei volontari coinvolti, indicano che la strada percorsa in questi anni è quella giusta. Oltre a questo, va sottolineato l’alto ruolo culturale che l’opera di Banco Farmaceutico svolge nei confronti dei cittadini. Una società attenta ai bisogni delle persone più fragili e a rischio di emarginazione sociale, è una comunità più giusta per tutti. Da proponente della legge “antispreco”, che valorizza la responsabilità sociale attraverso il recupero e la donazione, ringrazio quanti hanno saputo coglierne le opportunità», ha dichiarato l’onorevole Maria Chiara Gadda.
«Milano è orgogliosa di aver partecipato alla nascita e alla crescita del Banco Farmaceutico, ora presente in tutta Italia e non solo e che, da vent’anni, aiuta a risolvere i piccoli problemi di salute per chi si trova in difficoltà economiche. Auspico che, ogni anno, sempre più farmacie aderiscano alla Giornata di Raccolta del Farmaco perché è un’iniziativa che fornisce aiuto in modo concreto alle persone che si trovano in difficoltà attraverso enti che, in contatto diretto con le farmacie, ricevono i farmaci di cui hanno necessità. Un sistema efficiente che conferma il ruolo sociale delle farmacie italiane», ha concluso Anna Rosa Racca, presidente di Federfarma Lombardia.
Nei primi sei mesi dell’anno la spesa farmaceutica nel canale delle farmacie aperte al pubblico è ammontata a un totale di 5.335 milioni di euro per un totale di 943 milioni di confezioni vendute: i farmaci generici equivalenti hanno assorbito il 22,44% del mercato a volumi, per un totale di 211,6 milioni di confezioni e il 14,2% del mercato a valori, per un totale di 756 milioni di euro.
EQUIVALENTI: AVANTI PIANO
L’aggiornamento semestrale dei trend del mercato degli equivalenti realizzato dall’Ufficio studi Assogenerici su dati IQVIA, documenta per gli off patent non griffati un giro d’affari focalizzato in classe A, dove si concentra l’89% delle confezioni vendute e l’82% del fatturato realizzato, mentre resta decisamente più contenuta l’incidenza dei prodotti in classe C (10% a volumi; 16% a valori) e nell’area dell’automedicazione (1% a volumi e 2% a valori).
Complessivamente nel canale farmacia a giocare la parte del leone sono i prodotti fuori brevetto che assorbono il 74% delle confezioni vendute nel canale, senza distinzione di classe (61% a valori), ma con una netta predominanza dei brand a brevetto scaduto, che quotano il 70% a volumi e il 76% a valori del relativo mercato fuori brevetto.
Classe A: sei mesi al risparmio
Tra gennaio e giugno 2019 i consumi a carico del SSN nel canale farmacia sono complessivamente diminuiti dello 0,5% rispetto allo stesso periodo del 2018: In particolare si registra una flessione delle confezioni relative ai prodotti ancora coperti da brevetto del -4,9% rispetto allo stesso periodo del 2018. In crescita invece il segmento relativo ai farmaci a brevetto scaduto in particolare quello dei generici puri che fa registrare una crescita del +1,7% rispetto al periodo Gennaio-Giugno dell’anno precedente.
Ai minori volumi rimborsati è corrisposta una flessione dello 0,5% della spesa a carico del SSN rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente: In particolare si registra una flessione delle spesa relativa ai prodotti ancora coperti da brevetto del -7,8% rispetto allo stesso periodo del 2018.
In crescita invece il segmento relativo ai farmaci a brevetto scaduto in particolare quello dei generici unbranded che fa registrare una crescita del 7,6% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
I trend per area geografica
Per quanto riguarda l’analisi dei consumi per area geografica, nel primo semestre 2019 il consumo degli equivalenti di classe A resta concentrato al Nord (37,1% a unità; 28,8% a valori), mentre risultano distanziati sia il Centro (27,6%; 22,2%) che il Sud Italia (22,1%; 17,7%), a fronte di una media Italia del 29,9% a volumi e del 23,8% a valori. A separare Nord da Sud sono ancora 10 punti percentuali a unità e 11 punti percentuali a valori.
In particolare, a guidare la classifica dei consumi di equivalenti è la Provincia Autonoma di Trento (42,9 sul totale delle unità dispensate SSN nel periodo gennaio–giugno a fronte di una incidenza degli off patent sul totale dell’84,3%), seguita da Lombardia (39% sull’81,7% di off patent), Friuli Venezia Giulia (37,1% sull’83% di off patent) ed Emilia Romagna (36,8% sull’84% di off patent).
Ultima in classifica la Calabria (20,3% di equivalenti sull’83,3% di off patent rimborsati SSN nel primo semestre dell’anno). Poco sopra Basilicata (20,4% sull’82,6% di off patent), Campania (21,4% sull’83,5% di off patent) e Sicilia (21,7% sull’82,8% di off patent).
Ammonta infine a 569,5 milioni di euro il totale del differenziale di prezzo pagato dai cittadini nei primi sei mesi del 2019 per ottenere il branded a brevetto scaduto invece del generico: la quota più alta in Lombardia (dove il differenziale versato nel semestre ammonta a 75 milioni di euro), seguita da Lazio (73 milioni), Campania (67 milioni) e Sicilia (59 milioni).
Il mercato ospedaliero
Equivalenti in crescita, infine, nel mercato ospedaliero in classe A e H, con i volumi che si attestano nel primo trimestre dell’anno a 29,3% del totale e valori ex factory che si attestano al 6,5%: un dato tuttavia “teorico” che realisticamente corrisponde al 2,1% in valori al prezzo medio delle forniture ospedaliere, notoriamente effettuate solo per bandi di gara.
Anche nel mercato ospedaliero dominano i medicinali senza brevetto, che assorbono complessivamente il 68% a volumi e uno striminzito 5,4% a valori, mentre i farmaci in esclusiva (protetti da brevetto o privi di generico corrispondente), assorbono il 32,3% a unità e il 94,6% a valori (prezzo medio).
Nel pool degli off patent non esclusivi di classe A e H, i generici equivalenti quotano il 43% a volumi e il 39% a valori.
BIOSIMILARI: SEI MESI IN CRESCITA
Prosegue a grandi passi la crescita del mercato italiano dei biosimilari. Nel primo semestre dell’anno le tredici molecole in commercio sul mercato nazionale (Enoxaparina, Epoetine, Etanercept, Filgrastim, Follitropina alfa, Infliximab, Insulina glargine, Rituximab, Somatropina, Insulina Lispo, Trastuzumab e Adalimumab e Pegfilgrastim biosimilari) hanno assorbito il 28% dei consumi nazionali a volumi (17% il dato consolidato 2018) contro il 72% detenuto dai corrispondenti originator. Su base annua, tra il primo semestre 2018 e il primo semestre 2019 il consumo dei biosimilari risulta in crescita dell’88,2%%, al netto dei nuovi principi attivi biosimilari lanciati a partire dal giugno 2018.
In quattro casi i biosimilari hanno quasi completamente saturato il mercato di riferimento sostituendosi al biologico originatore. Performace da star per il Filgrastim, i cui 5 biosimilari in commercio assorbono ormai il 95,99% del mercato a volumi (93% a valori); seguono le Epoetine biosimilari, che concentrano l’84,01% del mercato di riferimento a volumi (72,77% a valori). Entrambe le molecole citate sono in commercio in versione biosimilare dal 2009.
Ancora più brillante la performance di altre due molecole: l’Infliximab biosimilare - in commercio dal febbraio 2015 – che totalizza l’84,01% del mercato a volumi (69,30% a valori) e il rituximab - in versione biosimilare dal luglio 2017 – che assorbe l’83,77% del mercato di riferimento (58,11% a valori).
Crescite di rilievo si registrano comunque anche per le molecole di più recente registrazione: adalimumab entrato sul nazionale mercato in veste biosimilare nel marzo 2018, concentra già il 41,74% del mercato di riferimento a volumi (11,38% a valori); trastuzumab biosimilare, commercializzato dal settembre 2018, quota dopo neanche un anno di vita il 28,54% del mercato a volumi (18,09% a valori).
E sembra destinato a registrare gli stessi trend anche il neonato pegfilgrastim biosimilare, affacciatosi sul mercato nazionale nel febbraio di quest’anno e già titolare a giugno del 7,60% del mercato a volumi (3,07% a valori).
Ampiamente diversificato e comunque generalmente in crescita il quadro dei consumi a livello regionale: a registrare il maggior consumo di biosimilari per tutte le molecole in commercio sono la Valle d’Aosta e il Piemonte con una incidenza dei biosimilari del 60,90% sul mercato complessivo di riferimento. Seguono Toscana (44,25% di incidenza di biosimilari sul mercato complessivo di riferimento), Marche (41,97%), Emilia Romagna (41,76%). All’estremo opposto, il minor grado di penetrazione dei biosimilari si registra in Umbria (8,14%), Calabria (10,78%) e Puglia (11,74%).
Rifinanziare il ServizioSanitario Nazionale, rivedendo i criteri di riparto del Fondo Sanitario apartire dai reali bisogni di salute della popolazione; superare la logica delsuperticket; reinvestire i risparmi derivanti da una buona governance sanitariaall’interno dello stesso Servizio Sanitario Nazionale. Sonoquesti i tre punti essenziali del Patto per la Salute siglato oggi a Roma, presso la sede di Confcooperative, da cittadini e medici, rappresentatirispettivamente da Cittadinanzattiva e dalla Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (Fnomceo). Hanno partecipato inoltre all’incontro Francesco Boccia, Ministro per gli Affari Regionali e Pierpaolo Sileri, Viceministro dellaSalute
“Cittadinanzattiva e Fnomceo fanno da anni fronte comune per difendere i diritti, costituzionalmente protetti, alla tutela della salute e all’uguaglianza”, spiega il presidente della Federazione degli Ordini, Filippo Anelli. “Molti gli interventi congiunti, tra cui l’iniziativa “Cura di coppia”, volta a migliorare il rapporto medico-paziente”.
“Il tema della lotta alle disuguaglianze, come sottolineato anche dalle recenti dichiarazioni del ministro Speranza, è un tema centrale per il Servizio sanitario nazionale, ma non riguarda solo il rapporto tra nord e sud”, ha aggiunto Antonio Gaudioso, segretario generale di Cittadinanzattiva, “ma anche aree della stessa regione, tra generazioni, solo per fare alcuni esempi. Il SSN è stato sin dalla sua fondazione l’architrave della coesione sociale, deve tornare a essere uno strumento di sviluppo sociale del Paese, e in grado di garantire la effettiva esigibilità dei diritti per i cittadini”.
Il progressivo definanziamento del Servizio sanitario nazionale, la creazione di 21 servizi sanitari diversi (per liste d’attesa, modelli organizzativi, procedure di emergenza-urgenza, integrazione ospedale-territorio, dotazione e composizione del personale, accesso all’innovazione, coperture vaccinali, screening oncologici) e l’aumento della spesa out of pocket per cure e prestazioni, la carenza di personale medico-specialistico e infermieristico, dovuta all’errata programmazione, minano invece i diritti garantiti dagli articoli 3 e 32. Come rimediare? Medici e cittadini dettano alla Politica la ricetta per ristabilire l’universalità e l’equità d’accesso al diritto alla salute:
Questo potrebbe essere realizzato rapidamente con l’emanazione dei decreti per la definizione delle tariffe massime delle prestazioni ambulatoriali e dei dispositivi medici; con il riordino dell’assistenza territoriale, con il miglioramento e la valorizzazione della comunicazione tra professionisti e cittadini, anche come strumento di prevenzione della violenza; con una revisione complessiva della programmazione legata alla formazione post laurea, garantendo a tutti gli studenti di medicina l’accesso alle scuole di specializzazione e prevedendo nel percorso di studio una specifica formazione che abbia a tema l’umanizzazione delle cure e il rapporto fra medico e paziente.
Per superare le disuguaglianze di salute, infine, cittadini e medici chiedono un Tavolo di confronto sulle proposte di autonomia differenziata, aperto alle Associazioni di cittadini-pazienti e alle organizzazioni rappresentative dei professionisti della salute come ulteriore passo della campagna “Diffondi la salute”, lanciata lo scorso anno da Cittadinanzattiva con il sostegno della Fnomceo e di decine di sigle del mondo dei professionisti della salute e delle associazioni civiche.
Ennesimo appello dalla Fondazione GIMBE ontro il depauperamento della Sanità pubblica vittima di un "saccheggio" che in dieci anni è costato alle risicate casse del SSN ben 37 miliardi di euro. I conti in un report pubblicato oggi che analizza entità e trend del definanziamento del SSN nel periodo 2010-2019, traccia le prospettive a medio termine tenendo conto delle risorse assegnate dalla Legge di Bilancio 2019 e delle previsioni del DEF 2019, analizza le ragioni della mancata stipula del Patto per la Salute che rischia di compromettere le risorse aggiuntive 2020-2021 e illustra la posizione dell’Italia rispetto ai paesi dell’OCSE e del G7 in termini di spesa sanitaria.
«Nell’ultimo decennio – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – tutti i Governi hanno contribuito a sgretolare il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), la maestosa opera pubblica costruita per tutelare la salute delle persone. Con il nuovo Esecutivo a breve impegnato nell’aggiornamento del Documento di Economia e Finanza 2019 e, soprattutto, nella stesura della Legge di Bilancio, la Fondazione GIMBE pubblica un report sul definanziamento 2010-2019 del SSN al fine di stimare, al di là dei proclami, la reale entità delle risorse necessarie a rilanciare la sanità pubblica».
I dati sono inquietanti:
«Le prime dichiarazioni del neo Ministro della Salute – continua Cartabellotta – non lasciano dubbi sulla volontà di preservare e rilanciare una sanità pubblica e universalistica e di rifinanziare il SSN». Infatti, Roberto Speranza ha identificato nella carta Costituzionale il “faro” per il suo programma, affermando che “la spesa sanitaria non è un costo ma un investimento per la salute”. Tuttavia, il Programma di Governo e il discorso per la fiducia alle Camere del Premier Conte, al di là della volontà di attuare “un piano straordinario di assunzioni di medici e infermieri”, contengono solo un generico impegno a difendere la sanità pubblica, senza prevedere esplicitamente il rilancio del finanziamento per il SSN. «In tal senso – puntualizza Cartabellotta – la prima cartina al tornasole è rappresentata dall’imminente Nota di Aggiornamento del DEF 2019: ad esempio, se si volesse attuare la cosiddetta “Quota 10” proposta dal Partito Democratico (€ 10 miliardi di investimenti aggiuntivi nei prossimi 3 anni) occorrerebbe incrementare il rapporto spesa sanitaria/PIL almeno dello 0,2-0,3% per ciascuno degli anni 2020-2022».
«Inoltre – continua il Presidente – considerato che almeno il 50% degli oltre € 37 miliardi sottratti alla sanità pubblica negli ultimi 10 anni sono stati “scippati” al personale dipendente e convenzionato, il piano di assunzioni straordinarie di medici e infermieri citato dal Programma di Governo se da un lato sicuramente contribuirà a risolvere la carenza di risorse umane, dall’altro non concretizza nessun rilancio delle politiche per il personale sanitario che non deve solo essere adeguatamente “rimpiazzato”, ma soprattutto (ri)motivato con l’allineamento delle retribuzioni a standard europei».
«Pertanto se tutte le forze politiche del nuovo Esecutivo dichiarano in maniera convergente di voler “difendere la sanità pubblica” – conclude il Presidente – devono prendere atto che il tempo è ormai scaduto: le parole non sono più sufficienti, ma servono azioni concrete in tempi rapidi».
Azioni che GMBE declina in cinque tappe:
Il bilancio a un anno del progetto di solidarietà realizzato a Roma da Assogenerici, Banco Farmaceutico, FOFI e IMES. Inaugurato il primo punto di dispensazione a Via della Lungara
Quasi 9mila confezioni di medicinali - valore complessivo oltre 88mila euro - per un armadio farmaceutico solidale che ha visto analgesici, antipiretici, antiipertensivi e gastrointestinali tra i farmaci più gettonati.
È questo il bilancio sintetico delle donazioni effettuate dalle aziende farmaceutiche nell’ambito del progetto sperimentale “Farmacia di strada”, avviato nel settembre dello scorso anno a Roma dopo la firma di un protocollo d’intesa tra Assogenerici, Federazione Ordine Farmacisti Italiani (FOFI), Fondazione Banco Farmaceutico (BF) e Medicina Solidale (IMES – Istituto di Medicina Solidale), associazione di volontariato che da tempo gestisce - con il supporto dell’Elemosineria Apostolica e in collaborazione con l’Ateneo di Roma Tor Vergata - una rete di ambulatori di strada nella Capitale, per garantire accesso alle cure a persone socialmente svantaggiate ed escluse dall’assistenza sanitaria.
Il punto sull’esperienza è stato fatto oggi, in occasione dell’inaugurazione del punto di dispensazione istituito presso il centro di accoglienza gestito in via della Lungara dai volontari del carcere di Regina Coeli - Vo.Re.Co. Onlus.
«Siamo lieti di aver contribuito a fare del bene ai più poveri ed emarginati della nostra società, privi dell’essenziale per rispondere alle esigenze vitali», ha affermato Sergio Daniotti, presidente della Fondazione Banco Farmaceutico, che ha fornito il dettaglio dell’operazione: settemila500 confezioni di farmaci per un valore complessivo di quasi 67mila euro donati dalle aziende aderenti ad Assogenerici, più altre 1.566 confezioni del valore di circa 22mila euro donati da altre aziende che regolarmente collaborano con BF, per un totale di 32 categorie terapeutiche coperte e 17 aziende donatrici. «L’impegno di queste ultime - ha concluso Daniotti - è l’esempio virtuoso di come le imprese possano contribuire al benessere della società, diventando protagoniste di quell’alleanza tra Terzo Settore, istituzioni e aziende senza la quale il nostro Paese farebbe molta più fatica a farsi carico degli ultimi».
«Con le nostre aziende siamo stati paladini della sostenibilità, consentendo al SSN di curare più persone a parità di risorse, ma siamo convinti che il progresso è veramente tale solo se non lascia indietro nessuno - ha commentato Enrique Hӓusermann, presidente Assogenerici - per questo,
nel corso della nostra ultima assemblea pubblica, abbiamo deciso di mettere assieme il tema della sostenibilità, declinato attraverso le nostre proposte sulla governance, con il tema della solidarietà, espresso concretamente nel progetto della “Farmacia di strada”».
Solidarietà che ha avuto come protagonisti i farmacisti volontari, che hanno organizzato e gestito il magazzino di Cinecittà dove BF ha fatto confluire nel corso dell’anno i farmaci donati e poi dispensati secondo le prescrizioni mediche rilasciate dagli ambulatori solidali di IMES: sei in tutto, attorno ai quali gravitano approssimativamente 15mila assistiti.
“Il progetto della farmacie di strada ci ha trovato da subito pronti alla massima collaborazione per tanti motivi - ha affermato Andrea Mandelli, presidente FOFI. - Per i farmacisti italiani solidarietà e vicinanza alle persone in difficoltà sono valori fondanti dell’agire professionale, come dimostra la forte partecipazione alla Giornata di raccolta del farmaco promossa da Banco Farmaceutico e la crescita costante del ruolo dell’Associazione Farmacisti Volontari in seno alla Protezione civile, dove è diventata uno degli elementi cardine dell’intervento sanitario nelle calamità. Il farmacista ha un ruolo importante, per le sue competenze, nel processo di cura e assistenza, in collaborazione con gli altri professionisti della salute, ed è giusto che questo apporto professionale venga garantito anche in attività di volontariato e alto impegno sociale come questa».
A tirare le somme è stata Lucia Ercoli, direttore di Medicina Solidale e responsabile scientifica del progetto: «La nascita della prima “farmacia di strada” è un atto concreto per andare incontro a quelle “periferie esistenziali” indicate da Papa Francesco e nello stesso tempo rappresenta un segno di speranza per tanti cittadini di questa nostra metropoli che vivono ai margini, spesso dimenticati - ha detto. - Il luogo che la ospita, l’Associazione Vo-Re.Co. - ha concluso - è simbolo a Roma di solidarietà e di accoglienza. Un punto di riferimento per quanti credono che si può fare del bene a costo zero, mettendo in rete quanti hanno voglia di mettersi in gioco per un futuro migliore di Roma».
Anche se rappresentano solo il 3% di tutte le neoplasie, i tumori cerebrali primitivi (ossia quelli che si sviluppano direttamente nel sistema nervoso centrale) sono responsabili del maggior numero di anni di vita persi rispetto ad altre neoplasie maligne. Infatti, nonostante i progressi diagnostico-terapeutici, la sopravvivenza media a 5 anni rimane intorno al 25%. In Italia, i tumori cerebrali rappresentano la 12a causa di morte, pari al 3% del totale dei decessi per tumori maligni: nel 2018 sono stati diagnosticati circa 6.000 nuovi casi di tumori cerebrali primitivi, di cui poco più della metà negli uomini. I tumori cerebrali colpiscono prevalentemente i giovani, visto che tra i soggetti di età inferiore a 15 anni sono al terzo posto in termini di frequenza e rappresentano il 13% del totale dei tumori e il 7% nella fascia 15-19 anni.
"I bisogni assistenziali di questi pazientiI rappresentano una sfida molto ardua perché la malattia condiziona il comportamento, le funzioni cognitive e la personalità del paziente: per un’adeguata presa in carico di questi pazienti è dunque indispensabile un approccio multidisciplinare condiviso tra assistenza specialistica e cure primarie, oltre a reti integrate guidate da percorsi diagnostico-terapeutici-assistenziali (PDTA)», afferma Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE che, in quest'ottica, ha realizzato la sintesi in lingua italiana delle linee guida del National Institute for Health and Care Excellence (NICE), aggiornate a luglio 2018, che saranno inserite nella sezione “Buone Pratiche” del Sistema Nazionale Linee Guida, gestito dall’Istituto Superiore di Sanità.
I contenuti di queste linee guida integrano quelle pubblicate dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), destinate prevalentemente ad un target specialistico e ultraspecialistico con obiettivi diagnostici e terapeutici.
Le linee guida NICE, infatti, si rivolgono ai non specialisti e ai professionisti delle cure primarie, in particolare ai medici di medicina generale e infermieri, formulando raccomandazioni su vari aspetti della gestione della malattia: dalla valutazione dei bisogni assistenziali dei pazienti all’identificazione di un professionista sanitario di riferimento; dalla condivisione delle informazioni con pazienti, familiari e caregiver alla valutazione neuroriabilitativa; dalla gestione degli effetti precoci e tardivi di radioterapia e chemioterapia al follow-up a lungo termine dei pazienti.
«Considerato il notevole impatto emotivo su pazienti e familiari – puntualizza Cartabellotta – è bene precisare che la diagnosi di tumore cerebrale non è necessariamente infausta, perché esistono numerosissime varianti molto eterogenee per morfologia, sede d’insorgenza, aspetti biologici, clinici, prognostici ed eziologici». I tassi di sopravvivenza sono pertanto molto variabili in relazione a tipo di tumore, efficacia e tollerabilità delle terapie disponibili, trattabilità, dimensione delle lesioni craniche. In tal senso, le linee guida NICE identificano due principali categorie prognostiche: i tumori a lunga sopravvivenza (5-10 anni) che richiedono assistenza a lungo termine e quelli con aspettativa di vita limitata (1-3 anni), che necessitano di rapida valutazione diagnostica, trattamento tempestivo e massima attenzione ad assistenza e supporto per preservare la qualità di vita.
«Le linee guida NICE – puntualizza Cartabellotta – enfatizzano come i bisogni assistenziali dei pazienti affetti da tumori cerebrali rappresentino una sfida molto ardua in quanto, insieme alla disabilità fisica, tumore e relativi trattamenti possono condizionare il comportamento, le funzioni cognitive e la personalità del paziente». Per questo le linee guida raccomandano il coinvolgimento di pazienti, familiari e caregiver per fronteggiare la complessità dei loro potenziali bisogni assistenziali e sociali (psicologici, cognitivi, fisici, spirituali, emotivi) e, soprattutto, di prevedere un tempo adeguato per discutere del potenziale rilevante impatto del tumore cerebrale sulla vita del paziente e di chi lo circonda.
«Auspichiamo che la versione italiana di questo documento del NICE – conclude Cartabellotta – rappresenti una base scientifica di riferimento, sia per la costruzione dei PDTA regionali e locali, sia per l’aggiornamento dei professionisti sanitari, oltre che per una corretta informazione di pazienti, familiari e caregiver».
L'uso del cellulare non risulta associato all’incidenza di neoplasie nelle aree più esposte a radiofrequenze durante le chiamate vocali. E' a questa conclusione - basata sull'analisi delle evidenze epidemiologiche attuali - che arriva il Rapporto ISTISAN Esposizione a radiofrequenze e tumori: sintesi delle evidenze scientifiche, curato da Susanna Lagorio, Laura Anglesio, Giovanni d’Amore, Carmela Marino e Maria Rosaria Scarfì, un gruppo multidisciplinare di esperti di diverse agenzie italiane (ISS, ARPA Piemonte, ENEA e CNR-IREA).
La meta-analisi dei numerosi studi pubblicati nel periodo 1999-2017 non rileva, infatti, incrementi dei rischi di tumori maligni (glioma) o benigni (meningioma, neuroma acustico, tumori delle ghiandole salivari) in relazione all’uso prolungato (≥10 anni) dei telefoni mobili. Rispetto alla valutazione della IARC nel 2011, le stime di rischio considerate in questa meta-analisi sono più numerose e più precise. I notevoli eccessi di rischio osservati in alcuni studi caso-controllo non sono coerenti con l’andamento temporale dei tassi d’incidenza dei tumori cerebrali che, a quasi 30 anni dall’introduzione dei cellulari, non hanno risentito del rapido e notevole aumento della prevalenza di esposizione. Sono in corso ulteriori studi orientati a chiarire le residue incertezze riguardo ai tumori a più lenta crescita e all’uso del cellulare iniziato durante l’infanzia.
Il rapporto è una rassegna delle evidenze scientifiche sugli eventuali effetti cancerogeni dell’esposizione a radiofrequenze (RF), indirizzata all’aggiornamento professionale degli operatori del Servizio Sanitario Nazionale e dei tecnici del Sistema Nazionale di Protezione Ambientale.
Un milione di pazienti con la valigia che scelgono - o sono costretti a farlo - di curarsi fuori Regione, un via vai che nel 2017 ha spostato da Sud a Nord 4,6 milardi di euro, lasciando l'88% del saldo attivo elle casse di tre Regioni - Lombardia, Emilia Romagna e Veneto - entre il 77% di quello passivo grava su Puglia, Sicilia, Lazio, Calabria e Campania. E' questa l'ultima istantanea del fenomeno della mobilità nel nostro Paese scattata nell'ultimo Report dell'Osservatorio Gimbe.
«Le nostre analisi – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – sono state effettuate esclusivamente sui dati economici della mobilità sanitaria aggregati in crediti, debiti e relativi saldi, ma per studiare al meglio questo fenomeno abbiamo già inoltrato formale richiesta dei flussi integrali trasmessi dalle Regioni al Ministero che permetterebbero di analizzare, per ciascuna Regione, la distribuzione delle tipologie di prestazioni erogate in mobilità, la differente capacità di attrazione di strutture pubbliche e private accreditate e la Regione di residenza dei cittadini che scelgono di curarsi lontano da casa, identificando le dinamiche della mobilità, alcune “fisiologiche” ed altre francamente “patologiche”».
«In tempi di regionalismo differenziato – conclude Cartabellotta – il report GIMBE non solo dimostra che il denaro scorre prevalentemente da Sud a Nord, ma che l’88% del saldo in attivo alimenta proprio le casse di Lombardia, Emilia Romagna e Veneto, mentre il 77% del saldo passivo grava sulle spalle di Puglia, Sicilia, Lazio, Calabria e Campania. Anche se la bozza del Patto per la Salute 2019-2021 prevede numerose misure per analizzare la mobilità sanitaria e migliorarne la governance, difficilmente la “fuga” in avanti delle tre Regioni potrà ridurre l’impatto di un fenomeno dalle enormi implicazioni sanitarie, sociali, etiche ed economiche».
Di seguito la sintesi dei principali dati contenuti nel rapporto.
Nel 2017 il valore della mobilità sanitaria ammonta a € 4.578,5 milioni, importo approvato dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome lo scorso 13 febbraio, previa compensazione dei saldi.
Mobilità attiva. 6 Regioni con maggiori capacità di attrazione vantano crediti superiori a € 200 milioni: in testa Lombardia (25,5%) ed Emilia Romagna (12,6%) che insieme contribuiscono ad oltre 1/3 della mobilità attiva. Un ulteriore 29,2% viene attratto da Veneto (8,6%), Lazio (7,8%), Toscana (7,5%) e Piemonte (5,2%). Il rimanente 32,7% della mobilità attiva si distribuisce nelle altre 15 Regioni, oltre che all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù (€ 217,4 milioni) e all’Associazione dei Cavalieri Italiani del Sovrano Militare Ordine di Malta (€ 39,7). In generale emerge una forte attrazione delle grandi Regioni del Nord, a cui fa da contraltare quella estremamente limitata delle Regioni del Centro-Sud, con la sola eccezione del Lazio.
Mobilità passiva. Le 6 Regioni con maggiore indice di fuga generano debiti per oltre € 300 milioni: in testa Lazio (13,2%) e Campania (10,3%) che insieme contribuiscono a circa 1/4 della mobilità passiva; un ulteriore 28,5% riguarda Lombardia (7,9%), Puglia (7,4%), Calabria (6,7%), Sicilia (6,5%). Il restante 48% si distribuisce nelle altre 15 Regioni. Più sfumate le differenze Nord-Sud nella mobilità passiva. In particolare, se quasi tutte le Regioni del Sud hanno elevati indici di fuga, questi sono rilevanti anche in tutte le grandi Regioni del Nord con elevata mobilità attiva, testimoniando specifiche preferenze dei cittadini agevolate dalla facilità di spostamento tra Regioni del Nord con elevata qualità dei servizi sanitari: Lombardia (-€ 362,3 milioni), Piemonte (-€ 284,9 milioni), Emilia Romagna (-€ 276 milioni), Veneto (-€ 256,6 milioni) e Toscana (-€ 205,3 milioni).
Saldi. Le Regioni con saldo positivo superiore a € 100 milioni sono tutte del Nord, mentre quelle con saldo negativo maggiore di € 100 milioni tutte del Centro-Sud. In particolare:
Saldo pro-capite di mobilità sanitaria. «Con questo nuovo indicatore elaborato dalla Fondazione GIMBE – precisa Cartabellotta – la classifica dei saldi si ricompone dimostrando che, al di là del valore economico, gli importi relativi alla mobilità sanitaria devono sempre essere interpretati in relazione alla popolazione residente». In particolare: il Molise conquista il podio nella classifica per saldo pro-capite; si riducono le differenze delle prime tre Regioni nel saldo pro-capite: Lombardia (€ 78), Emilia Romagna (€ 69), Molise (€ 65); la Calabria precipita in ultima posizione con un saldo pro-capite negativo di € 144, pari circa a tre volte quello della Campania (€ 55) e di poco inferiore alla somma del saldo pro-capite positivo di Lombardia ed Emilia Romagna (€ 147).
C'è una mancanza di appetito patologica che interessa un'ampia platea di pazienti e che resta purtroppo ampiamente sottovalutata. E' quella forma di anoressia che non deriva da un rifiuto consapevole del cibo ma da una perdita del senso di fame e del desiderio di mangiare, con un persistente senso di pienezza, che interessa una altissima percentuale dei pazienti affetti da malattie acute, croniche e oncologiche. E che spesso risulta sottovalutata.
Ad accendere i riflettori sulla condizione che gli esperti definiscono malnutrizione calorico proteica (MCP) - una costante in tutti i casi di immobilità o allettamento del paziente - sono gli esperti della SINuC (Società italiana di Nutrizione clinica e Metabolismo): la perdita di peso e massa muscolare- spiegano - si manifesta anche durante un breve ricovero e può avere conseguenze metaboliche rilevanti e drammatiche se non trattate.
"Il 40-80% dei pazienti oncologici presenta qualche disturbo nutrizionale - spiega il presidente SINuC, Maurizio Muscaritoli - secondo i dati epidemiologici solo l’8% delle anoressie è di tipo mentale, il restante 92% conta patologie oncologiche per il 42%, malattie neurologiche per il 27% e cause varie nel 23% dei casi. Eppure di questo 92% nessuno parla”.
In particolare, la sindrome anoressia-cachessia in oncologia è l'evoluzione di una forte anoressia a cui si aggiungono anche fattori ormonali (fattore proteolico, elevati livelli di serotonina cerebrale) che non solo non aiutano l'appetito del paziente ma portano ad una perdita di massa muscolare e grassa - spiegano ancora gli esperti - eppure basterebbe uno screening seguito da un percorso nutrizionale per ridurre la percentuale di malati (25%) che non supera la malattia oncologica per le cause nutrizionali.
Il problema però riguarda anche i pazienti affetti da malattie renali: la prevalenza nelle fasi precedenti alla dialisi va dal 20 all’80% mentre durante la dialisi va dal 23 al 73%. E l’insieme di malnutrizione, infiammazione ed ipercatabolismo (ossia l’anomala accelerazione dei processi catabolici) ha effetto a cascata con aumento delle ospedalizzazioni, mortalità e scadimento della qualità della vita.
Il sistema di regolazione dell’appetito dipende da una complessa interazione di ormoni ( ad es. leptina, prodotta prevalentemente dal tessuto adiposo, insulina, ghrelina e colecistochinina che raggiungono il cervello. La leptina in particolare - una proteina plasmatica sintetizzata nelle cellule adipose - si pensa possa rappresentare un marker di rischio nutrizionale e cardiovascolare nei pazienti in dialisi peritoneale. C’è poi una stretta correlazione tra citochine pro-infiammatorie, sistema nervoso e perdita di appetito. L’anoressia, la malnutrizione proteica e la perdita di massa muscolare sono direttamente correlate ad un aumento del rischio di infezioni, patologie cardiovascolari, fragilità e sintomi depressivi.
Quanto basta, insomma, per giustificare il pressante invito della SINuC ad utilizzare in modo esteso i protocolli di screening esistenti che consentono di definire la gravità della malnutrizione e di avviare uno specifico percorso diagnostico terapeutico nutrizionale.
“All’estero – conclude Muscaritoli – il dietary counselling, (consulenza nutrizionale), ha mostrato effetti tangibili sulla qualità della vita dell’ammalato: il semplice follow up di un paziente al quale viene consigliato come nutrirsi è più efficace della somministrazione degli integratori”.
Omiche, Clinical Trials e strutturazione delle Banche dati sono le tre grandi linee di intervento sulle quali muoverà, nel prossimo triennio, l’azione di Alleanza Contro il Cancro, la Rete Oncologica Nazionale fondata nel 2002 dal Ministero della Salute oggi presieduta dal professor Ruggero De Maria. Lo ha deciso il Consiglio Direttivo al termine dell’intervento del coordinatore scientifico del network, professor Pier Giuseppe Pelicci che ha relazionato in occasione dei due giorni di lavoro organizzati all’IRST IRCCS di Meldola.
«Grazie al contributo del Ministero della Salute -– ha detto ai Direttori Scientifici degli Istituti associati – tutti i nostri IRCCS hanno acquisito la capacità di sequenziamento NGS (Next Generation Sequencing) e questo per noi è estremamente importante perché è stata perseguita la nostra strategia di fortificare progressivamente nel tempo la componente infrastrutturale e, parallelamente, quella delle competenze, vale a dire sequenziamento e bioinformatica».
La genomica resta un capitolo fondamentale per Alleanza Contro il Cancro «dov’è necessario proseguire con gli investimenti per sviluppare tecnologie affidabili e low-cost come quella per la biopsia liquida». Pelicci ha informato inoltre che lo studio sulla generazione di dati omici proseguirà il naturale percorso di sviluppo «con particolare attenzione a Microbiomica e Radiomica (rispettivamente lo studio delle popolazioni batteriche dell’organismo e delle loro interazioni/funzioni e la possibilità di convertire in dati numerici le immagini mediche ottenute dagli esami TAC, RM o PET). Dati che – ha detto ancora il coordinatore scientifico della Rete – possono e potranno essere integrati con quelli provenienti dalle altre scienze omiche come supporto conoscitivo e/o decisionale».
Clinical Trials osservazionali effettuati in collaborazione con gli IRCCS della Rete hanno caratterizzato l’attività dei Working Group dell’ultimo biennio, «abbiamo letteralmente guardato e studiato alcuni parametri legati alla sovrapposizione dei Pazienti; ora la sperimentazione entrerà nella sua fase più importante con Trials concepiti per testare la capacità della stratificazione genomica di migliorare il trattamento. In parallelo – ha detto ancora Pelicci – saranno effettuati Trials di raccolta dati Real World, ossia di come e quanto, effettivamente, queste terapie stanno modificando la storia naturale delle malattie».
La messa a fattor comune dei dati di omiche e delle informazioni cliniche dei 25 IRCCS associati è il terzo grande capitolo su cui si lavora stabilmente in ACC. «L’obiettivo, grazie al trasferimento costante dei dati – ha concluso Pelicci – è che ogni singolo Paziente possa essere valutato grazie alle conoscenze acquisite dall’incrocio delle informazioni di altre migliaia di Pazienti. Per fare ciò occorre una costante attività di strutturazione e networking delle banche dati di ogni Istituto da mettere poi in collegamento con altre organizzazioni nel mondo».
Ulteriori capitoli di approfondimento saranno dedicati, dalla Rete, alla qualità della vita – con particolare attenzione agli aspetti nutrizionali in chirurgia – ai lungo sopravviventi e ai tumori rari di cui peraltro il network si occupa già parzialmente nell’ambito del WG Sarcomi.
Nel 2018 gli italiani hanno speso in media quasi 50 euro a testa di ticket sanitari: 18 di questi rappresentano spese "evitabili" perchè legate al versamento volontario da parte dei cittadini del differenziale di prezzo brand/ generici. A segnalarlo è un nuovo Rapporto GIMBE - Ticket 2018 - che quota l'importo complessivo del copayment annuale in complessivi 3 miliardi - di cui 1,1 (38%) appunto "facoltativi" per l'acquisto di farmaci di marca - e avanza le proposte per una adeguata governance del settore, i cui ingredienti base dovrebbero essere la revisione dei criteri di copayment, il definitivo addio al superticket, l'incentivazione all'uso dei farmaci equivalenti.
Una stategia a tre piste che il Rapporto GIMBE disegna integrando i dati di finanza pubblica della Corte dei Conti 2019 con quelli del recentissimo Rapporto OSMED:dal quadro emerge, come era facile attendersi, una vera e propria "giungla dei ticket" generata da anni di autonomia regionale sia sulle prestazioni coinvolte (farmaci, prestazioni specialistiche, pronto soccorso, etc.), sia sugli importi che i cittadini devono corrispondere, sia sulle regole per le esenzioni.
«Introdotta come moderatore dei consumi – afferma Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – la compartecipazione dei cittadini alla spesa sanitaria si è progressivamente trasformata in un consistente capitolo di entrata per le Regioni, in un periodo caratterizzato da un imponente definanziamento della sanità pubblica». Nel 2018 le Regioni hanno incassato per i ticket € 2.968 milioni (€ 49,1 pro-capite), di cui € 1.608 milioni (€ 26,6 pro-capite) relativi ai farmaci e € 1.359 milioni (€ 22,5 pro-capite) per le prestazioni di specialistica ambulatoriale, incluse quelle di pronto soccorso.
«Nel periodo 2014-2018 – spiega Cartabellotta – l’entità complessiva della compartecipazione alla spesa sanitaria si è mantenuta relativamente stabile, ma è avvenuta una sua progressiva ricomposizione. Infatti, rispetto al 2014, quando gli importi dei ticket per farmaci e prestazioni specialistiche erano sovrapponibili, nel 2018 si sono ridotti del 6,1% quelli per le prestazioni e sono aumentati quelli per i farmaci (+12%)». In particolare, nell’ultimo anno i ticket sono aumentati complessivamente di € 83,4 milioni (+2,9%), di cui € 22,4 milioni (+1,7%) per le prestazioni specialistiche e € 61 milioni (+3,9%) per i farmaci.
Dalle analisi emergono notevoli differenze regionali relative sia all’importo totale della compartecipazione alla spesa, sia alla ripartizione tra farmaci e prestazioni specialistiche: in particolare, se il range della quota pro-capite totale per i ticket oscilla da € 88 in Valle d’Aosta a € 33,7 in Sardegna, per i farmaci l’importo varia da € 36,2 in Campania a € 16 in Piemonte, mentre per le prestazioni specialistiche si passa da € 64,2 della Valle d’Aosta a € 8,5 della Sicilia.
«Un dato di estremo interesse – precisa Cartabellotta – emerge dallo “spacchettamento” dei ticket sui farmaci, che include la quota fissa per ricetta e la quota differenziale sul prezzo di riferimento pagata dai cittadini che scelgono di acquistare il farmaco di marca al posto dell’equivalente». Nel 2018 dei € 1.608 milioni sborsati dai cittadini per il ticket sui farmaci, solo il 30% è relativo alla quota fissa per ricetta (€ 482,6 milioni pari a € 8 pro-capite), mentre i rimanenti € 1.126,4 milioni (€ 18,6 pro-capite) sono imputabili alla scarsa diffusione in Italia dei farmaci equivalenti come confermato dall’OCSE che ci colloca al penultimo posto su 27 paesi sia per valore, sia per volume del consumo dei farmaci equivalenti. Dal canto suo, il Rapporto OSMED 2018 documenta che nel periodo 2013-2018 si è ridotta del 14% la quota fissa sulle ricette (-€ 76 milioni) mentre è aumentata del 28% la quota prezzo di riferimento per la preferenza accordata ai farmaci di marca (+ € 248 milioni).
«In questo ambito – rileva il Presidente – spicca l’ostinata e ingiustificata resistenza ai farmaci equivalenti nelle Regioni del Centro-Sud nelle quali si rileva, oltre al trend in aumento dal 2017 al 2018, una spesa per i farmaci di marca più elevata della media nazionale di € 18,6 pro-capite». In particolare: Lazio (€ 24,7), Sicilia (€ 24,2), Calabria (€ 23,6), Campania (€ 23), Basilicata (€ 22,1), Puglia (€ 21,9), Abruzzo (€ 21,5), Molise (€ 21,3), Umbria (€ 20,7) e Marche (€ 20,2).
«Considerato che la revisione dei criteri di compartecipazione alla spesa – conclude Cartabellotta – è un obiettivo fissato dalla Legge di Bilancio 2019 per la stesura del nuovo Patto per la Salute, le eterogeneità regionali relative alle tipologie di ticket, ovvero prestazioni specialistiche vs farmaci e quota ricetta fissa vs quota prezzo di riferimento, richiedono azioni differenti. Innanzitutto, è indispensabile uniformare a livello nazionale i criteri per la compartecipazione e le regole per le esenzioni; in secondo luogo, anche al fine di arginare “fughe” verso il privato per le prestazioni specialistiche, occorre pervenire ad un definitivo superamento del superticket per il quale sono già stati ripartiti € 60 milioni; infine, sono indispensabili azioni concrete per incrementare l’utilizzo dei farmaci equivalenti, visto che la preferenza per i farmaci di marca oggi “pesa” per il 38% del totale sborsato dai cittadini per i ticket e per il 70% della compartecipazione per i farmaci».
L'Istituto Superiore di Sanità, in collaborazione con l’Università Alma Mater di Bologna e l’Università Cattolica hanno dato vita ad un nuovo farmaco antitumorale in grado di neutralizzare le cellule cancerogene: i risultati sono stati pubblicati oggi sulla rivista Cell Death and Disease.
Lo studio - spiega una nota dell'ISS - è stato realizzato grazie ai finanziamenti dell’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (AIRC) e descrive una nuova formulazione del farmaco fenretinide, che in passato aveva mostrato un promettente effetto antitumorale in fase preclinica ma che nell’uomo non aveva dato i risultati sperati a causa della sua scarsa biodisponibilità.
“La nuova formulazione, da noi battezzata Nanofenretinide – dice Ann Zeuner del Dipartimento di Oncologia e Medicina Molecolare dell’ISS e coordinatrice dello studio – è stata ottenuta attraverso un processo di nanoincapsulazione che rende la molecola solubile nei liquidi corporei e pertanto biodisponibile. I vantaggi del nuovo farmaco, che abbiamo sperimentato su una varietà di cellule tumorali tra cui colon, polmone, melanoma, sarcoma, mammella, ovaio e glioblastoma, oltre alla biodisponibilità sono il suo effetto ad ampio spettro e la sua apparente assenza di tossicità”.
Il farmaco sarebbe in grado di uccidere gran parte delle cellule tumorali e di imporre uno stato di quiescenza (o dormienza) alle cellule che riescono a sopravvivergli. La sua capacità di mantenere dormienti le cellule cancerogene, insieme alla sua scarsa tossicità, lo renderebbe adatto anche a terapie a lungo termine finalizzate ad evitare ricadute tumorali.
Il farmaco - avverte la nota dell'ISS - si trova ora in una fase precoce di sperimentazione e naturalmente saranno necessari altri esperimenti per confermare sia l'assenza di tossicità che l’efficacia sui pazienti.