Gli ambulatori chiusi e la forte limitazione dell’accesso alle terapie causate dal Covid 19 hanno provocato l’abbandono delle cure da parte dei pazienti affetti da malattie croniche come psoriasi, artrite psoriasica e artrite reumatoide come pure la mancata diagnosi precoce che posticiperà l’inizio della cura, quando probabilmente la patologia sarà già in una fase avanzata.Le conseguenze dell’abbandono terapeutico e la mancata aderenza al trattamento farmacologico sono gravi sia per il singolo paziente che rischia aggravamento, complicanze e delusioni sia per la collettività che dopo l'epidemia di COVID-19 potrà trovarsi di fronte ad un’epidemia di cronicità. Per questo le Associazioni di Pazienti APIAFCO (Associazione Psoriasici Italiani Amici della Fondazione Corazza) e ANMAR (Associazione Nazionale Malati Reumatici) insieme a dermatologi, reumatologi e associazioni dei medici di Medicina generale, Fimmg e Simg, hanno diffuso un documento congiunto di informazione e raccomandazioni indirizzato ai ai pazienti affetti da psoriasi, artrite psoriasica e artrite reumatoide nell’ambito della loro campagna “Resta in contatto con il tuo medico”.
Psoriasi, artrite reumatoide, artrite psoriasica - si legge in un comunicato - sono patologie croniche spesso invalidanti che potrebbero peggiorare notevolmente senza le cure adeguate. inoltre si tratta di patologie che coinvolgono l’intero organismo, quindi l’abbandono delle cure può provocare complicanze anche in altri apparati come in quello cardiovascolare. Studi recenti hanno infine dimostrato che una malattia cronica non controllata può predisporre ad una malattia COVID-19 più severa.
Assumere informazioni in campo sanitario solo da fonti affidabili, mantenere il contatto con il proprio medico di famiglia, mantenere i contatti con i centri di riferimento, che hanno messo a punto sistemi di visita a distanza per seguire i pazienti, continuare a seguirele terapie prescritte tra i principali consigli indirizzatui ai pazienti. "Con il contributo di tutt i - conclude il comunicato - si riuscirà a superare questa pandemia e a scongiurarne un’altra assai pericolosa e prevista, quella delle malattie croniche trascurate durante il COVID-19".
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Foto: Herbert II Timtim da Pixabay
A ottobre, Google ha bloccato o rimosso oltre 2,3 milioni di annunci fuorvianti relativi alla cura del contagio da coronavirus e ha agito su oltre 1100 URL contenenti indicazioni dannose per la salute correlate al COVID-19, per indicazioni sulla salute dannose; sempre a ottobre Microsoft ha impedito più di 1,4 milioni di invii di inserzionisti direttamente correlati a COVID-19 e destinati alla visualizzazione agli utenti nei mercati europei, percepiti come ingannevoli, fraudolenti o dannosi.
Nel frattempo il Centro informazioni COVID-19 di Facebook è stato visitato da 14 milioni di cittadini europei e la società ha rimosso da Facebook e Instagram oltre 28mila contenuti correlati al COVID-19 nell'UE perché contenenti informazioni errate che potevano causare danni fisici imminenti e oltre 19mila contenuti correlati a COVID-19 contenenti violazioni del standard di vendita di forniture mediche.
Infine Tik Tok ha taggato 81.385 video nei suoi quattro principali mercati europei (Germania, Francia, Italia e Spagna) con il messaggio ``Scopri i fatti su Covid-19 '' e indirizzando gli utenti a fonti di informazioni affidabili e verificabil, bloccando anche oltre 1300 video relativi a COVID-19 contenenti informazioni mediche errate.
I dati - impressionanti - sono frutto del programma di monitoraggio adottato dai firmatari del codice di condotta sulla disinformazione promosso dqalla Commissione UEÈ stato istituito in seguito alla comunicazione congiunta del 10 giugno 2020 "Contrastare la disinformazione COVID-19 - Ottenere i fatti giusti", di cui la Commissione pubblica oggi una quarta serie di rapporti, con un focus particolare relativo alla disinformazione sui vaccini destinati alla pandemia, tema che sta ovviamente guadagnando terreno online.
"La Commissione - si legge nella pagina dedicata - ha chiesto alle piattaforme di includere nelle loro relazioni mensili di monitoraggio una sezione specifica che evidenzi le azioni intraprese per combattere la disinformazione e la disinformazione sui vaccini COVID-19 . I firmatari hanno prontamente risposto, riferendo sulle loro azioni nel loro quarto rapporto".
Le piattaforme riferiscono di aver intensificato gli sforzi, in particolare collaborando con le autorità pubbliche e le organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite e l'Organizzazione mondiale della sanità, per aumentare la preparazione del pubblico alla distribuzione dei vaccini e per rafforzare la resilienza contro la diffusione della disinformazione in materia. Hanno anche aggiornato i loro strumenti di sensibilizzazione, i termini di servizio e le linee guida per l'applicazione per includere la disinformazione dei vaccini come motivo per la retrocessione o la rimozione del contenuto.
In particolare:
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Nel 2020, 434.000 persone povere non hanno potuto acquistare i medicinali di cui avevano bisogno per ragioni economiche. La richiesta di medicinali da parte degli enti assistenziali che si prendono cura di loro riguarda soprattutto farmaci per il tratto alimentare, per il sistema nervoso, per le malattie metaboliche, per il sistema muscolo-scheletrico e per l’apparato respiratorio. Servono, inoltre, presidi medici e integratori alimentari.
È quanto emerge dai dati contenuti nell’VIII Rapporto Donare per curare – Povertà Sanitaria e Donazione Farmaci, edito da OPSan - Osservatorio sulla Povertà Sanitaria (organo di ricerca di Banco Farmaceutico) presentato oggi in un convegno instreaming promosso da Banco Farmaceutico e AIFA .
Dai dati rilevati attraverso la rete dei 1.859 enti assistenziali convenzionati con il Banco, ed elaborati da OPSan, le persone non in stato di indigenza sostengono una spesa pro-capite mensile per le cure mediche di 65 euro: le persone povere possono spendere meno di 1/5, solo 10,15 euro, meno di 1/5 dei non poveri; allo stesso modo la mcapacità d'acquisto di medoicinali si attesta a 28,18 europ per i non dindigenti, contro i 6,38 euro degli indigenti.
Le difficoltà non riguardano però solo gli indigenti: nel corso del 2019, infatti, 7 milioni 867 mila persone non povere (3 milioni 564 mila famiglie), hanno dovuto sospendere o limitare almeno una volta la spesa necessaria per visite mediche e accertamenti periodici.
Ad aggravare la situazione è il fatto che le persone povere spendono il 63% del loro budget sanitario mensile all'acquisto di farmaci da banco mentre destinano solo 3,77 euro alle altre cure necessarie, di cui fanno parte anche quelle a scopo preventivo, cui i non indigenti destinano 10 volte di più (36,82 euro).
Il diffondersi del coronavirus, le restrizioni e la crisi economica innescata da quella sanitaria hanno ulteriormente peggiorato le condizioni della popolazione più fragile. Quasi un ente assistenziale su due ha subito l’impatto della pandemia: il 40,6% ha dovuto limitare la propria azione o sospendere qualche servizio per un periodo più o meno lungo. Il 5,9% degli enti ha chiuso e non ha ancora ripreso le attività. Un’indagine effettuata da OPSan, su un campione rappresentativo di 892 enti assistenziali particolarmente strutturati (che si prendono cura di 312.536 indigenti), ha registrato un calo di oltre 173.000 assistiti (pari al 55% del totale.) Si tratta di persone che hanno chiesto assistenza a un ente, ma questo era chiuso o aveva ridotto i propri servizi; oppure, di persone che, poiché impaurite dal Covid, hanno rinunciato a farsi curare. Pertanto, si stima che almeno 1 povero su 2 non abbia potuto curarsi attraverso gli enti che forniscono gratuitamente cure e medicine e sia rimasto ancor più deprivato della necessaria protezione sociale.
"Siamo di fronte ad una situazione particolarmente drammatica quanto inedita - ha dichiarato Sergio Daniotti, presidente della Fondazione Banco Farmaceutico onlus - . Tanti enti assistenziali, in tutta Italia, a causa della pandemia, hanno chiuso o ridotto le proprie attività. Centinaia di migliaia di persone povere che, prima della pandemia, chiedevano loro aiuto, durante la pandemia sono rimaste prive di protezione. Nel nostro piccolo, lanciamo un grido d’allarme affinché le istituzioni comprendano a fondo il ruolo del Terzo Settore nel nostro Paese. Da sempre, le organizzazioni dedite all’assistenza e alla solidarietà sociale che ne fanno parte (fondazioni, associazioni, comitati), contribuiscono alla sostenibilità di tanti settori e servizi essenziali compreso il Sistema Sanitario Nazionale. Ora come non mai, in questa Italia impoverita dalla pandemia, questa grande rete della solidarietà, che è un patrimonio del nostro Paese, non può essere lasciata sola”.
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Prosegue la reazione europea alle criticità in campo farmaceutico determinate dalla pandemia da Covid-19. Oggi è stato il turno dell'EMA e dei responsabili delle agenzie europee (HMA) che hanno pubblicato la strategia congiunta adottata dall'HMA e dal CDA dell'EMA per i prossimi cinque anni.
Nel documento sulla proprietà intellettuale la “spallata” al patent linkage
Nello studio annuale presentato oggi in un evento in streaming il bilancio dell’emergenza Covid e le prospettive dello scenario competitivo per il prossimo decennio
Un video e tutorial animati per ribadire l’uso corretto di un presidio fondamentale nella prevenzione del contagio da coronavirus. Campagna attiva per tre settimane in italiano, inglese, francese, spagnolo e arabo
Ricercatori dell’Istituto di biochimica e biologia cellulare del Cnr in collaborazione con Irccs Fondazione S. Lucia, Sapienza Università di Roma e Sanford Burnham Prebys Medical Discovery Institute di La Jolla (USA) hanno dimostrato in un modello preclinico di lesione spinale completa, l’efficacia terapeutica della neurotossina botulinica di tipo A. Attraverso una potente e perdurante azione anti-infiammatoria, la neurotossina è neuroprotettiva, promuove la rigenerazione nervosa e contrasta la paralisi. I risultati pubblicati su Toxins sono stati oggetto di un brevetto presentato dall’11 al 13 novembre all’evento digitale Tech Share Day e si spera di arrivare a un test clinico che permetta di verificare nell’uomo i dati osservati
Le lesioni traumatiche complete ed incomplete del midollo spinale rappresentano una vera e propria sfida della medicina poiché, nonostante gli enormi progressi della scienza, ad oggi non esiste una cura in grado di ripristinare le abilità motorie perse. Tali lesioni provocano perdita permanente, totale o parziale, della trasmissione di impulsi nervosi sensoriali e motori nell’area sottostante la lesione, provocando paraplegia o tetraplegia. Si è calcolata un’incidenza globale di 10,5 casi per 100.000 persone, ovvero 768.473 nuovi casi all’anno nel mondo, dovuti principalmente a incidenti stradali, cadute accidentali, sport, armi ed incidenti sul lavoro. Solamente in Italia, nei cosiddetti “incidenti del sabato sera”, il 20% degli infortunati subisce lesioni spinali con invalidità permanente e l’80% degli interessati ha un’età tra i 29 e i 42 anni. Sebbene la qualità di vita di questi pazienti sia notevolmente migliorata, la patologia comporta numerose e gravi comorbidità come il dolore neuropatico ed è associata a ingenti costi per il Servizio sanitario nazionale.
“A seguito del trauma generato dalla lesione spinale è possibile distinguere due fasi. La prima è dovuta agli effetti diretti dell’impatto sul midollo spinale che induce la morte immediata delle cellule nervose localizzate nell’area del danno, mentre la seconda è caratterizzata da 3 stadi: acuto, intermedio e cronico”, spiega Valentina Vacca del Cnr-Ibbc. “Nello stadio acuto, che inizia pochi minuti dopo il trauma, sono osservabili importanti e devastanti cambiamenti patofisiologici (edema, trombosi, infiammazione) che danno origine ad una risposta neuroinfiammatoria. Durante lo stadio intermedio (da giorni a settimane post-lesione) sono evidenziabili meccanismi neurodegenerativi che estendono l’area del danno coinvolgendo aree illese ma adiacenti la zona d’impatto”. Nel corso di questi due stadi si forma la cicatrice gliale. Gli astrociti diventano iperreattivi e formano una barriera (appunto la cicatrice) che circonda l’area danneggiata. Se da un lato questo previene un ulteriore danno, dall’altro rappresenta un ostacolo alla ricrescita assonale. Inoltre gli astrociti sono responsabili del rilascio di fattori pro-infiammatori (come il glutammato) che portano a morte cellulare, fenomeno noto come eccitotossicità. Infine l’ultimo stadio è il cronico che vede la maturazione della lesione, della cicatrice gliale e la formazione di cisti.
“Il nostro gruppo di ricerca da anni studia i meccanismi, la farmacologia e gli effetti della neurotossina botulinica in modelli preclinici di dolore e neuropatia”, continua Sara Marinelli del Cnr-Ibbc, coordinatrice dello studio insieme a Flaminia Pavone. “Siamo stati tra i primi ad accorgerci che questo farmaco biologico, a dosi ampiamente inferiori a quelle che inducono effetti tossici, era in grado di agire sul sistema nervoso, di viaggiare attraverso i nervi in senso retrogrado ed agire su neuroni ed astrociti con capacità pro-rigenerativa nel sistema nervoso periferico. Speravamo in dati promettenti ma mai ci saremmo aspettati un risultato così incoraggiante”.
Siro Luvisetto del Cnr-Ibbc, esperto della tossina, afferma che “la botulina è l’unico farmaco biologico ad avere un così ampio ventaglio di applicazioni terapeutiche di successo. FDA, EMA e AIFA ne hanno autorizzato l’uso per numerose patologie muscolari, neurologiche e dermatologiche e altrettante patologie sono trattate off-label. Uno dei vantaggi dell’uso della tossina è la sua lunga azione terapeutica. Essa è in grado di agire per mesi dopo la somministrazione. La botulina è in grado di bloccare in modo efficace il rilascio di diversi neurotrasmettitori tra cui il glutammato. Gli studi proseguiranno per cercare di capire quali meccanismi siano all’origine di questa forte spinta rigenerativa osservata nel modello animale”.
Dal momento che esistono già diversi preparati commerciali della neurotossina botulinica, se ne conoscono dosi, efficacia, tossicità e sicurezza ed è già ampiamente utilizzata in clinica, i ricercatori sperano si arrivi presto ad un test clinico che permetta di verificare anche nell’uomo i dati osservati nel modello murino.
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Dieci anni fa i biologici rappresentavano appena il 4% della spesa farmaceutica globale, ora incidono per circa il 25% e sono biologici 7 dei dieci farmaci più costosi al mondo. Dati che accendono sempre più i riflettori sull'importaza dei biosimilari, capaci di garantire e ampliare la sostenibilità dei sistemi sanitari grazie a 300 prodotti approvati in tutto il mondo, destinati alla copertura di 10 aree terapeutiche.
Regolamentazione, benefici, uso clinico penetrazione sul mercato e le oppotunità per i pazienti e gli operatori sanitari saranno sotto la lente degli eventi al centro della Global Biosimilars Week, in programma dal 16 al 20 novembre, promossa da IGBA con l'obiettivo di diffondere la cultura e la consapevolezza sul valore dei biosimilari.
L'Istituto Superiore di Sanità (ISS) e la Federazione Italiana Malattie Rare (UNIAMO) hanno di recente siglato un Accordo di collaborazione scientifica che dà il sigillo dell'ufficialità ad una cooperazione già attiva e fattiva da tempo e che prevede attività di ricerca, formazione e informazione a supporto del cittadino nell’ambito delle Malattie Rare.
L'accordo, della durata di tre anni, contempla la progettazione, la realizzazione e la valutazione di attività nel campo della ricerca scientifica; la formazione di pazienti, familiari e professionisti del settore; iniziative di sensibilizzazione e informazione indirizzate anche a tutta la popolazione, attraverso pagine web e campagne di comunicazione social.
E’ da questo accordo, inoltre, che prende avvio il primo numero di una newsletter a cadenza quindicinale, online sul Portale delle Malattie Rare voluto dal Ministero della Salute, che vuole essere uno spazio, oltre che di informazione per pazienti, medici, operatori sanitari, anche di vera e propria condivisione, dove anche solo un link, una notizia, un contatto possa dare un valore aggiunto alla vita delle persone con malattia rara.
Rischio carenze farmaci nel mirino dell'EDQM, l'European Directorate for the Quality of Medicines &Healthcare del Consiglio d'Europa, con l'obiettivo di garantire la disponibilità di standard di qualità per i medicinali nel contesto della pandemia COVID-19. L'organismo ha pubblicato in questi giorni un elenco di sostanze che dichiara di «monitorate costantemente per evitare qualsiasi interruzione della catena di fornitura»: si tratta di una lista decisamente ampia contenente oltre 200 tra API e forme farmaceuticheche utilizzate sia nelle unità di terapia intensiva che e negli studi clinici.
«Nel contesto della pandemia COVID-19 - si legge nel comunicato che annuncia l'iniziativa - la disponibilità di medicinali di qualità è più importante che mai. Sfortunatamente, dall'inizio della crisi sanitaria, la carenza di farmaci è aumentata in tutto il mondo, in particolare di quelli per trattare o alleviare i sintomi del COVID-19 o utilizzati nelle unità di terapia intensiva (ICU). Inoltre, in tutto il mondo sono in corso numerose sperimentazioni cliniche, utilizzando medicinali autorizzati “riproposti”».
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Foto: Anna Shvets su Pexel
Allarme delle aziende farmaceutiche coinvolte nell’Unità di crisi AIFA: urgente quantificare i fabbisogni di medicinali per affrontare la seconda ondata della pandemia
Quando saranno pronti per la distribuzione i vaccini contro COVID-19? Quanto velocemente i vaccini potrebbero fermare la pandemia? Quali tipi di vaccini COVID-19 vengono sviluppati e come funzioneranno? Come faremo a sapere se i vaccini COVID-19 sono sicuri?.
Si intitola "Covid -19 vaccines: Everything you need to know" l'ultima newsletter dell'OMS che dedica tutta la sua attenzione all'argomento, spiegando nel dettaglio tutti i passaggi per la ricerca e sviluppo dei vaccini, le procedure distributive, i controlli sulla sicurezza dei prodotti.
Focus anche sul COVAX - il meccanismo di approvvigionamento globale condotto da OMS, GAVI (Alleanza globale sui vaccini) e CEPI (Coalition for Epidemic Preparedness Innovations) che punta a sostenere la partecipazione di 92 economie a basso-medio e basso reddito: l'accesso equo ai vaccini COVID-19, indipendentemente dal livello di reddito - sottolinea l'OMS - richiede un investimento urgente di 2 miliardi di dollari, da donatori sovrani, filantropie e settore privato, entro la fine del 2020.
Proteste di piazza e mal di pancia generalizzati non possono offuscare la drammaticità di dati ed evidenze scientifiche: le misure degli ultimi tra DPCM adottati dal Governo per contrastare la seconda ondata della pandemia da Covid-19 sono «insufficienti e tardive» e i valori di RT «sottostimano ampiamente la velocità con cui si dffonde il virus».
La sentenza arriva dalla Fondazione GIMBE, il cui monitoraggio relativo alla settimana 21-27 ottobre, conferma rispetto alla precedente, l’incremento esponenziale nel trend dei nuovi casi (130.329 vs 68.982), in parte per l’aumento dei casi testati (722.570 vs 630.929), ma soprattutto per il netto incremento del rapporto positivi/casi testati (18% vs 10,9%). Crescono di oltre 112.000 i casi attualmente positivi (255.090 vs 142.739) e, sul fronte degli ospedali, si rileva un costante aumento dei pazienti ricoverati con sintomi (13.955 vs 8.454) e in terapia intensiva (1.411 vs 870). Più che raddoppiati i decessi (995 vs 459)..
In dettaglio, sottolinea GIMBE - rispetto alla settimana precedente, si registrano le seguenti variazioni:
«Questi dati – commenta Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – documentano il crollo definitivo dell’argine territoriale del testing & tracing, confermano un incremento di oltre il 60% dei pazienti ricoverati con sintomi e in terapia intensiva e fanno registrare un raddoppio dei decessi. In alcune aree del Paese non è più procrastinabile il lockdown totale per arginare il contagio diffuso e ridurre la pressione sugli ospedali». In generale, i principali indicatori peggiorano in tutte le Regioni, fatta eccezione per il modesto incremento dei casi testati.
«Al di là dei numeri assoluti – spiega il Presidente – preoccupano i trend esponenziali con cui aumentano i pazienti ospedalizzati e in terapia intensiva, con un tempo di raddoppiamento di circa 10 giorni da 3 settimane consecutive». Secondo Enrico Bucci, professore aggiunto SHRO, Temple University «mantenendo questi trend di crescita, all’8 novembre si stimano 31.400 (IC 95%: 30.000-33.000) ricoverati con sintomi e 3.310 (IC 95%: 3.200-3.400) in terapia intensiva; numeri che potrebbero ridursi per l’eccesso di letalità da sovraccarico ospedaliero». Infatti, superando il limite del 30% dei posti letto occupati da pazienti COVID-19, dopo la cancellazione di interventi chirurgici programmati e prestazioni sanitarie differibili, si assisterà inevitabilmente all’incremento della mortalità, non solo COVID-19 correlata.
«Vero è – continua Cartabellotta – che sono state introdotte progressive restrizioni da parte di Governo e Regioni, ma il loro effetto sulla flessione della curva dei contagi sarà minimo, sia perché le misure non sono state “tarate” su modelli predittivi a 2 settimane, sia perché le blande misure dei primi due DPCM sono già state neutralizzate dalla crescita esponenziale della curva epidemica».
L’impatto dell’introduzione di differenti misure di contenimento sul valore di Rt è oggetto di un recente studio - pubblicato su Lancet Infectious Diseases da ricercatori dell’Università di Edimburgo - che ha analizzato dati da 131 Paesi. «In relazione ai risultati ottenuti dall’introduzione di ciascuna misura di contenimento – spiega Renata Gili, responsabile della Ricerca sui Servizi Sanitari della Fondazione GIMBE – è stata stimata l’efficacia sul valore di Rt di quattro possibili gruppi di interventi a 7, 14 e 28 giorni. Se da un lato gli effetti dipendono dal numero e dalla tipologia di restrizioni, dall’altro non sono affatto immediati. Infatti, per dimezzare il valore di Rt servono 28 giorni di lockdown totale, tempi che in Italia potrebbero dilatarsi ulteriormente per il ritardo sempre maggiore nella notifica dei casi».
Considerato che le misure introdotte con il DPCM del 24 ottobre includono divieto di eventi pubblici e assembramenti, invito allo smart working e didattica a distanza nelle scuole secondarie di secondo grado per almeno al 75% delle attività - prosegue GIMBE - , è possibile stimare a 14 giorni una riduzione del valore di Rt di circa il 20-25%, totalmente insufficiente per piegare la curva dei contagi e arginare il sovraccarico degli ospedali. «Peraltro – spiega Cartabellotta – l’indice Rt oggi sottostima ampiamente la velocità di diffusione del virus perché, oltre ad essere calcolato solo sui casi sintomatici (circa 1/3 del totale dei contagiati), si basa su dati relativi a due settimane prima e pubblicati dopo circa 10 giorni. In altri termini, le decisioni vengono prese sulla base di un Rt che riflette contagi di circa un mese fa». Secondo quanto pubblicato dall’Istituto Superiore di Sanità il 23 ottobre, infatti, l’indice Rt medio di 1,50 (IC 95%: 1,09-1,75) è calcolato al 20 ottobre su dati riferiti al periodo 1-14 ottobre.
«L’epidemia già fuori controllo in diverse aree del Paese da oltre 3 settimane – conclude Cartabellotta – insieme al continuo tentennamento di Sindaci e Presidenti di Regioni nell’attuare lockdown locali stanno spingendo l’Italia verso la chiusura totale. Senza immediate chiusure in tutte le zone più a rischio, serviranno a breve almeno 4 settimane di lockdown nazionale per abbattere la curva dei contagi e permettere di assistere i pazienti in ospedale, al fine di evitare una catastrofe sanitaria peggiore della prima ondata. Perché questa volta, oltre al dilagare dei contagi anche nelle regioni del Sud, meno attrezzate dal punto di vista sanitario, abbiamo davanti quasi 5 mesi di stagione invernale con l’influenza in arrivo».
Monitoraggio GIMBE dell'epidemia di COVID-19
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Foto: Anna Shvets su Pexels
La pandemia ha mostrato la debolezza dei sistemi sanitari nazionali europei. È tempo che l’Unione europea si impegni a proteggere i suoi cittadini, fissando nuovi e più ambiziosi standard in termini di protezione, salute e sicurezza sociale. Un obiettivo che può essere raggiunto realizzando Piani sanitari nazionali che includano le Agenzie nazionali di riferimento per le malattie infettive potenzialmente epidemiche, strettamente connesse in un network europeo.
È l’appello lanciato alle Istituzioni europee, attraverso la prestigiosa rivista Nature, da 15 ricercatori di istituzioni sanitarie, agenzie governative, università e organizzazioni non governative in Italia, Francia, Usa, Germania, Portogallo e Regno Unito.
Tra gli italiani, le firme del direttore generale dell’AIFA, Nicola Magrini, del direttore scientifico dell’Istituto Nazionale Malattie Infettive ‘Lazzaro Spallanzani’, Giuseppe Ippolito, e del presidente del Consiglio Superiore di Sanità, Franco Locatelli.
Il documento propone che siano affidati alle Agenzie UE, per la risposta (‘preparedness’) all’emergenza Covid-19 e altre epidemie, i compiti di sorveglianza per epidemie, promozione della cooperazione tra le agenzie nazionali e internazionali di salute pubblica, la redazione delle linee guida tecniche e protocolli clinici per la gestione delle malattie, il coordinamento della ricerca, incremento della capacità dei laboratori per individuare precocemente i nuovi patogeni e la creazione di uno staff in grado di implementare test su larga scala, contact tracing e misure di quarantena. Queste attività dovrebbero essere integrate con l’EU BARDA (Biomedical Advanced Research and Development Authority) annunciato dalla Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen.
“Se l’Europa investirà nella salute e nel benessere dei suoi cittadini - si legge ancora nell’appello - sarà in grado di giocare un ruolo fondamentale nei prossimi anni nel proporsi come il più avanzato modello politico a livello mondiale: democrazia, rispetto per i diritti umani e sociali, capacità di integrare la crescita economica con la protezione della salute e del benessere dei suoi cittadini, garantiti dallo Stato attraverso politiche pubbliche di supporto alla salute, all’educazione e alla sicurezza sociale”.
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L’Assemblea Pubblica del comparto equivalenti, biosimilari e VAM avvia una nuova fase: sul tavolo 256 mln di progetti nell’ambito del Recovery Fund per potenziare la produzione di farmaci e principi attivi e un nuovo nome. Assogenerici diventa EGUALIA – Industrie farmaci accessibili.
Serve un mix di «pragmatismo e ambizioni forti» per cogliere una opportunità unica offerta al comparto farmaceutico Ue dalla crisi del Covid-19: quella di ripensare e rafforzare il ruolo dell’Europa come attore globale per la produzione di medicinali. Per realizzare questo obiettivo servono nuovi modelli di gara e di prezzo, bisogna imbracciare l’arma della digitalizzazione e della telematica ed estendere la tutela della «Bolar clause» anche i fornitori terzi di API. Ma soprattutto e necessario continuare a credere nel potere della collaborazione.
A dettare la ricetta per garantire la resilienza della produzione e la fornitura dei medicinali che servono ai pazienti in tutta Europa è stato Christoph Stoller, presidente di Medicines For Europe, intervenuto oggi all’evento “For a healthy Europe”, promosso dall’associazione dei genericisti tedeschi ProGenerika con la presidenza Ue.
«Ora o mai più», ha detto Stoller sottolineando l’importanza del momento storico che fa da scenario all’elaborazione della nuova strategia farmaceutica europea. «Il punto di partenza deve essere la valutazione della realtà produttiva comunitaria - ha sottolineato -. La nostra industria conta oltre 400 siti di produzione e 126 siti di ricerca e sviluppo in Europa dove operano 190mila addetti. L’Europa ha spiegato concentra ancora circa il 35% della produzione mondiale di API (25% India, 33% Cina, 12% USA) e le aziende europee di generici e biosimilari forniscono quasi il 70% dei medicinali dispensati in Europa. Tuttavia vari aspetti della catena di fornitura si sono globalizzati a causa delle sfide di sostenibilità affrontate dal nostro settore: per questo è necessario – come auspicato dall’UE - rafforzare la produzione di medicinali con soluzioni che determineranno una differenza tangibile e sistemica a lungo termine».
Quattro le azioni suggerite da Stoller:
«Se un aspetto positivo è venuto dalla crisi del COVID-19, è stato il potere della collaborazione – ha concluso Stoller -. Di fronte a una crisi urgente, l’industria e i governi hanno saputo collaborare per gestire il rischio e ridurre l’impatto. Questa capacità non deve essere utilizzata soltanto davanti alle crisi ma deve essere messa al servizio della capacità produttiva in Europa».
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L'Europa non ha imparato nulla dallo tsunami Covid-19, visto che davanti al nuovo aumento dei contagi un po' in tutti i Paesi gli stati membri hanno ancora una volta adottato misure diverse e non coordinate.
Il pesante richiamo è contenuto in una risoluzione adottata oggi dal Parlamento europeo con 595 voti a favore, 50 contro e 41 astensioni in cui si sottolinea la mancanza di una metodologia armonizzata per raccogliere e valutare il numero di persone infette, mancanza che porta a valutazioni diverse sul rischio sanitario e a restrizioni della libera circolazione per le persone che provengono da altri paesi dell'UE.
Queste le raccomandazioni il Parlamento UE rivolge ai Paesi membri:
• adottare la stessa definizione per casi positivi, decessi e recupero dall'infezione di COVID-19;
• riconoscere reciprocamente i risultati dei test in tutti gli Stati membri;
• ridurre i tempi di attesa sproporzionati per i test;
• stabilire un periodo di quarantena comune;
• coordinare le restrizioni di viaggio quando necessarie, in linea con la proposta della Commissione;
• discutere su come tornare il più rapidamente possibile a uno spazio Schengen senza controlli alle frontiere interne e piani di emergenza.
Secondo i parlamentari europei, inoltre, Il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) dovrebbe essere incaricato a valutare il rischio di diffusione del virus e pubblicare una mappa dei rischi aggiornata settimanalmente in base ai dati forniti dagli Stati membri e andrebbe incoraggiato l'uso di applicazioni di tracciabilità, rel rispetto del Regolamento sulla privacy, rendendo entro ottobre interoperabili i sistemi nazionali, per consentire la localizzazione COVID-19 a livello europeo.
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Foto: Guillaume Meurice su Pexels
AIFA smorza l'allarme su presunte indisponibilità del vaccino antinfluenzale: "Con oltre 17 milioni di dosi disponibili - si legge in un comunicato diffuso in serata dall'Agenzia - la copertura vaccinale contro l’influenza risponde ampiamente al fabbisogno della popolazione italiana, rispettando le nuove raccomandazioni del Ministero della Salute. Un dato rassicurante, considerato che nel 2019, sono state distribuite 12,5 milioni di dosi coprendo il 53-54% della popolazione".
Nella nota oltre alla sottolineatura del consistente aumento della disponibilità del vaccino anche la conferma della partnership già avviata con le aziende nei mesi più bui della pandemia da Covid-19, rafforzata attraverso la formazione di una task force per monitorare costantemente la situazione degli approvvigionamenti e della distribuzione.
«AIFA - ha affermato il Direttore Generale Nicola Magrini - sta lavorando anche per prevenire ogni possibile criticità legata sia all’approvvigionamento che alla distribuzione del vaccino antinfluenzale, potendo contare sulla collaborazione concreta di Farmindustria, Assogenerici e dei loro associati, ribadita oggi in un incontro nella sede dell’Agenzia del Farmaco».
"Assicurare gli approvvigionamenti nell'interesse del paziente, garantire l'accesso ai trattamenti medici per tutti i pazienti dell'UE e ripristinare l'indipendenza sanitaria europea". È questo il diktat contenuto nella risoluzione approvata oggi dal Parlamento Europeo sulla "penuria di medicinali" che prende le mosse dal Rapporto approvato a metà luglio dalla commissione del Parlamento europeo per l’Ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare (ENVI). Nel mirino dei parlamentari europei le cause profonde del fenomeno ricorrente delle carenze di medicinali notoriamente aggravato dalla crisi sanitaria determinata dalla pandemia di Covid-19.
"La carenza di medicinali è una grave minaccia per il diritto alle cure mediche essenziali per i pazienti nell'UE, in quanto provoca disuguaglianze tra i pazienti in base al paese di residenza e può creare perturbazioni del mercato unico" sottolinea la risoluzione riaccendendo i riflettori sulla necessità di riportare ripristinata la disponibilità e accessibilità dei farmaci riportandone la produzione in Europa.
"A causa della delocalizzazione della produzione - si legge nel documento - il 40 % dei medicinali finiti commercializzati nell'Unione proviene da paesi terzi, il che si traduce in una perdita di indipendenza dell'Europa sul piano sanitario. Sebbene l'Europa abbia una solida impronta produttiva, la catena di approvvigionamento fa ricorso massiccio a subappaltatori all'esterno dell'UE per la produzione delle materie prime in considerazione del costo del lavoro inferiore e della presenza di norme ambientali meno rigorose, facendo sì che dal 60 all'80 % dei principi attivi dei medicinali venga fabbricato al di fuori dell'Unione, segnatamente in Cina e in India. Trenta anni fa questa percentuale era pari al 20 % - prosegue la risoluzione - e oggi questi due paesi producono il 60 % del paracetamolo, il 90 % della penicillina e il 50 % dell'ibuprofene di tutto il mondo".
Tra le sottolineature anche il fatto che ad oggi "non è richiesta alcuna etichetta o etichettatura visibile ai pazienti/clienti per i medicinali e i principi attivi relativamente alla loro origine e al paese di fabbricazione"; che "l'accesso limitato ai principi attivi necessari per la produzione di medicinali generici pone una sfida particolare"; che "la perturbazione della catena di approvvigionamento globale derivante dalla pandemia di COVID-19 ha messo ancor più in risalto la dipendenza dell'UE dai paesi terzi nel settore della sanità"; che la nuova pandemia di coronavirus ha messo in luce anche "carenze di dispositivi medici, prodotti medici e dispositivi di protezione".
Di qui il pressante invito alla Commissione UE ad "adottare rapidamente le misure necessarie per garantire la sicurezza dell'approvvigionamento dei prodotti sanitari, ridurre la dipendenza dell'UE nei confronti dei paesi terzi e sostenere la produzione farmaceutica locale per i medicinali di forte interesse terapeutico, dando priorità ai medicinali di interesse sanitario e strategico in stretta cooperazione con gli Stati membri". Quella suggerita a Commissione e Paesi mebri è una strategia difensiva in piena regola: "elaborare una mappatura dei siti di produzione dell'UE nei paesi terzi e una mappatura in evoluzione, da utilizzare come riferimento, dei siti di produzione esistenti e potenziali nell'UE, per poter sostenere, modernizzare e rafforzare le loro capacità, laddove è necessario, possibile e praticabile".
In attesa della bacchetta magica per l'inversione di rotta suggerita, ancora un appello all'adozione di un lingaggio comune: la risoluzione insiste sull'importanza di una definizione armonizzata a livello UE di "carenze", "tensioni", "interruzioni della fornitura", "esaurimento delle scorte" e "costituzione di scorte eccessive" e l'invito alla Commissione a garantire che la propria strategia per il settore farmaceutico sia effettivamente volta a "contrastare le pratiche commerciali inammissibili in qualunque fase del circuito dei medicinali che potrebbero pregiudicare la trasparenza e le relazioni equilibrate tra i vari enti pubblici e privati, direttamente o indirettamente coinvolti nell'espletamento del servizio pubblico essenziale di garantire l'accesso ai medicinali". Riflettori accesi anche sul differenziale dei prezzi tra Stati membri che "favorisce le esportazioni parallele verso i paesi nei quali i medicinali sono venduti a un prezzo maggiore".
Prima mission per la politica di settore europe: "rafforzare il mercato europeo dei medicinali al fine di accelerare l'accesso dei pazienti ai medicinali, rendere l'assistenza sanitaria economicamente più accessibile, ottimizzare il risparmio nei bilanci dei sistemi sanitari nazionali ed evitare oneri amministrativi alle aziende farmaceutiche".
Focus immediato anche su generici e biosimilari: "consentono di rafforzare la concorrenza, ridurre i prezzi e realizzare risparmi a vantaggio dei sistemi sanitari, contribuendo così a migliorare l'accesso dei pazienti ai medicinali" sottolinea la risoluzione, che invita ad "analizzare il valore aggiunto e l'impatto economico dei medicinali biosimilari" valutando anche "misure atte a sostenere la loro introduzione sul mercato" e sollecita la Commissione a stroncare le controversie tese a ritardare l'ingresso sul mercato dei medicinali generici garantendo "il rispetto della fine del periodo di esclusiva commerciale dell'innovatore".