Via libera alle deroghe sui requisiti dei centri per sperimentazioni cliniche di Fase I nell'ambito delle infezioni da COVID-19. Con la determina 564/2020 l'Agenzia Italiana del Farmaco è intervenuta in relazione ai requisiti previsti dalle regole vigenti (Determine AIFA 809/2015 e 415/2016), individuando requisiti ridotti ma essenziali in modo da permettere l’avvio di sperimentazioni cliniche di Fase I COVID-19 nel più largo numero possibile di strutture sanitarie.
"Gli studi clinici - spiega infatti Aifa in una nota - costituiscono lo strumento principale per l'individuazione di terapie efficaci nella lotta contro l’infezione da COVID-19. Tra questi studi sono di rilevante importanza quelli di Fase I e in particolare quelli su possibili vaccini. L’urgenza con la quale tali sperimentazioni devono essere iniziate rende difficilmente raggiungibili, in tempi brevi, per i centri clinici non autocertificati ad AIFA, tutti i requisiti che regolano l’attivazione dei centri di Fase I".
Dopo settimane di entusiasmi e polemiche, politiche e non, dopo che la sperimentazione avviata a Pavia e Mantova il 17 marzo ha iniziato a dilagare anche fuori dal circuito lombardo (la stanno testando anche in Trentino, Lazio, Toscana e in altre Regioni) rendendo oggetti del desiderio i separatori cellulari che servono a estrare gli anticorpi dal sangue, la plasmaterapia entra ufficialmente nella variegata lista degli studi contemplati da Aifa in vista dell'individuazione di un protocollo di cura valido per il trattamento del Covid-19.
La news in una nota stringata diffusa in tarda serata dall'Agenzia Italiana del Farmaco che recita: "Istituto Superiore di Sanità e AIFA, insieme, sono impegnati nello sviluppo di uno studio nazionale comparativo (randomizzato) e controllato per valutare l’efficacia e il ruolo del plasma ottenuto da pazienti guariti da Covid-19 con metodica unica e standardizzata. Il plasma dei soggetti guariti viene impiegato per trattare, nell’ambito di questo studio prospettico, malati affetti da forme severe di COVID-19. Allo studio partecipano diversi centri, a cominciare da quelli che sin dall’inizio di marzo ne stanno già valutando a livello locale l’efficacia. Questo progetto consentirà di ottenere evidenze scientifiche solide sul ruolo che può giocare l’infusione di anticorpi in grado di bloccare l’effetto del virus e che sono presenti nel plasma di soggetti guariti dall’infezione da nuovo Coronavirus".
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Foto: Markus Winkler da Pexel
L'Agenzia europea per i medicinali (Ema) ha avviato uno studio di revisione continua dei dati con procedura rapida relativo al farmaco antivirale remdesivir in relazione al trattamento del Covid-19. Si tratta di una procedure di cui l'Ema si avvale per velocizzare la valutazione di un farmaco sperimentale promettente durante un'emergenza di salute pubblica, come l'attuale pandemia. "L'avvio dello studio - sottolinea un comunicato dell'Agenzia - significa che è iniziata la valutazione del farmaco e non implica che i suoi benefici siano maggiori dei rischi".
La decisione dell'Ema si basa sui risultati preliminari dello studio “Actt", che suggerisce un effetto benefico del remdesivir nel trattamento dei pazienti ospedalizzati con forme moderate o severe di Covid-19. Anche un altro recente studio cinese ha mostrato evidenze di efficacia del farmaco. Tuttavia, precisa l’Ema, "è ancora troppo presto per trarre conclusioni sul rapporto rischio-beneficio del farmaco”.
Il remdesivir è un antivirale sviluppato originariamente contro l'Ebola. Sebbene esso non sia ancora autorizzato nell'Unione europea (mentre il suo uso è stato autorizzato nei giorni scorsi i negli Strati Uniti dall'Agenzia statunitense per i farmaci Fda) esso può essere disponibile per i pazienti attraverso gli studi clinici e i programmi di uso compassionevole attraverso cui i pazienti hanno accesso a farmaci non autorizzati in situazioni di emergenza.
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Foto: Gerd Altmannsu Pixabay.jpg
AIFA ha aggiornato la scheda informativa relativa all'utilizzo dell'idrossiclorochina nella trapia dei pazienti affetti da COVID-19, L'aggiornamento riporta una revisione critica delle ultime evidenze di letteratura e riassume, in modo chiaro, le prove di efficacia e sicurezza attualmente disponibili, fornendo ai clinici elementi utili a orientare la prescrizione e a definire unadeguato rapporto fra i benefici e i rischi sul singolo paziente.
Pubblicato anche, sul sito dell'Agenzia, il via libera a due nuove sperimentazioni cliniche e un programma di uso compassionevole per il trattamento della pandemia. Si tratta, in particolare, di uno studio monocentrico di dose escalation a singolo braccio in aperto che prevede l’utilizzo di sarilumab, un inibitore dell’interleuchina IL6, sarà condotto presso la Divisione Interdipartimentale di Malattie Infettive ASST Fatebenefratelli Sacco di Milano e di uno studio multicentrico multinazionale, coordinato in Italia dall’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria – Negrar di Valpolicella (VR), che valuterà l’efficacia e la sicurezza della profilassi con idrossiclorochina negli operatori sanitari ad alto rischio.
A tal proposito l’Agenzia richiama l’attenzione sul fatto che l’uso profilattico di idrossiclorochina deve essere considerato esclusivamente nell’ambito di studi clinici.
È stato poi autorizzato il programma di uso compassionevole con Solnatide per il trattamento dell’edema da permeabilità polmonare in pazienti affetti da COVID-19 con insufficienza polmonare acuta. Solnatide è un farmaco attualmente non autorizzato, ma in sviluppo clinico per il trattamento della Sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS) e dell’edema polmonare.
Questo il quadro complesivo in merito a trattamenti, sperimentazioni cliniche e usi compassionevoli autorizzati per l’emergenza Covid-19.
1) Farmaci a carico del SSN
2) Sperimentazioni cliniche in corso (da quella approvata per prima fino alla più recente)
3) Programmi di uso compassionevole
4) Altro
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Foto: Gerd Altmann da Pixabay
L’epidemia di Covid-19 ha aggravato le criticità sulla carenza di medicinali già presenti in Europa, i problemi dei trasporti e di chiusura delle frontiere hanno fatto il resto, limitando ulteriormente le opzioni terapeutiche disponibili in alcune Regioni. A lanciare l’ennesimo allarme condito di raccomandazioni è la dichiarazione congiunta diffusa dall’Associazione europea per i medici ospedalieri senior (AEMH), l’Associazione europea dei farmacisti ospedalieri (EAHP), la European Society of Clinical Pharmacy (ESCP) e la European Society of Oncology Pharmacy (ESOP).
«I pazienti che necessitano di intubazione - ricordano in una nota - devono anche seguire una terapia concomitante per la quale è essenziale l’uso di anestetici, antibiotici e miorilassanti. Inoltre, sono indispensabili altri medicinali di supporto necessari nelle unità di terapia intensiva, come rianimazione, medicine respiratorie e cardiache, analgesici, medicinali per tromboprofilassi, nonché nutrizione medica e parenterali di grande volume. La domanda di questi medicinali è notevolmente aumentata nelle ultime settimane, in particolare nei Paesi fortemente colpiti dalla pandemia».
«In combinazione con le barriere di trasporto ed esportazione tra i paesi, la riduzione della produzione in Europa e problemi di fornitura di medicinali e ingredienti farmaceutici attivi (API) provenienti da paesi extraeuropei, le opzioni terapeutiche stanno diventando sempre più limitate in alcune regioni. Incoraggiamo di conseguenza i Paesi europei ad adottare misure simili a quelle prese in Francia e nei Paesi Bassi, dove i livelli delle scorte di medicinali necessari per il trattamento dei pazienti COVID-19 vengono monitorati e assegnati in base alle necessità dall’associazione nazionale delle farmacie ospedaliere / con l’aiuto di un’applicazione dedicata. Solo la conoscenza della situazione può aiutare a salvaguardare un’adeguata distribuzione delle scorte tra gli ospedali in base al numero di pazienti che stanno servendo».
«Accogliamo con favore gli sforzi intrapresi dai nostri colleghi in tutta Europa alla ricerca di un trattamento per il coronavirus - prosegue la nota congiunta delle quattro associazioni. - I medici e i farmacisti, in generale, devono seguire i principi della medicina basata sull’evidenza. Pertanto, chiediamo ai nostri colleghi di monitorare attentamente e valutare i dati clinici e di ricerca emergenti per fare uso di pratiche informate sulle prove quando si valutano i rischi e i benefici per ogni singolo caso, in particolare quando si usano farmaci per un’indicazione non approvata. Inoltre, sollecitiamo quei colleghi che hanno la capacità di partecipare alle attività di ricerca per facilitare la generazione e la condivisione delle prove tanto necessarie per l’ottimizzazione del trattamento per i pazienti COVID-19. Per quanto riguarda il ricorso a opzioni terapeutiche già autorizzate per indicazioni diverse dal trattamento dei pazienti COVID-19, vorremmo anche sollevare ulteriori preoccupazioni. Chiediamo ai nostri colleghi, nonché ai governi nazionali e alle autorità competenti, di garantire che le scorte e gli ordini anticipatori per determinati medicinali usati attualmente off-label nei pazienti COVID-19 non influenzino il trattamento dei pazienti che già assumono questi farmaci».
«Data la necessità di una collaborazione a livello europeo – concludono AEMH, EAHP, ESCP e ESOP - apprezziamo i passi che vengono adottati dalle autorità dell'UE, in particolare quelli che aumentano il coinvolgimento dell’Agenzia europea per i medicinali (EMA) per supportare la disponibilità di medicinali utilizzati nella pandemia di COVID-19 . Oltre a consentire all'EMA di diventare un coordinatore centrale, vorremmo anche incoraggiare i governi nazionali e le autorità competenti ad adottare le misure necessarie che vanno oltre il semplice scambio che garantirà la disponibilità di medicinali essenziali in tutta l’Unione».
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Davanti al nuovo coronavirus non siamo tutti uguali. Età avanzata, tumore maligno in corso, ipertensione arteriosa e malattia coronarica sono i fattori di rischio primari per la mortalità da Covid-19. Così come ad accomunare i pazienti a maggior rischio è un basso numero di linfociti nel sangue – perché esauriti da una risposta immunitaria fuori misura – e valori elevati di alcuni marcatori che misurano la presenza di una reazione iper-infiammatoria. Sulla base di queste evidenze scientifiche è possibile costruire un percorso preventivo di screening, presa in carico e cura dei pazienti a rischio, che preceda il ricovero.
Il dato emerge da un maxi studio clinico osservazionale realizzato ma medici e ricercatori dell'IRCCS Ospeadale San Raffaele da due mesi in prima linea nei reparti e nelle terapie intensive Covid-19 dove sono stati seguiti circa 1000 pazienti. A guidare l’equipe il professor Alberto Zangrillo, direttore delle Unità di Anestesia e Rianimazione Generale e Cardio-Toraco-Vascolare, e il professor Fabo Ciceri, vice direttore scientifico per la ricerca clinica e primario dell’unità di Ematologia e Trapianto di Midollo.
L'analisi ha consentito di identificare i soggetti a maggior rischio di sviluppare le forme più aggressive della malattia e le evidenze scientifiche che suggeriscono la necessità di uno stretto coordinamento tra la medicina del territorio e gli ospedali ad alta specializzazione per guidare la riapertura del Paese in sicurezza durante la fase I, costruendo un percorso preventivo di screening, presa in carico e cura dei pazienti a rischio, che preceda il ricovero.
“Attraverso gli indicatori che abbiamo individuato possiamo riconoscere in anticipo i pazienti che svilupperanno la forma più grave della patologia” spiega Fabio Ciceri. “Su questi pazienti potremo intervenire più precocemente e con maggior efficacia usando le terapie che già stiamo testando con discreto successo su pazienti in condizioni più avanzate.”
Per fare tutto ciò è però fondamentale costruire un’alleanza forte tra ospedali ad alta specializzazione, che hanno l’esperienza della malattia e i farmaci innovativi a disposizione, e la medicina del territorio, che grazie a una veloce identificazione può proteggere la popolazione di pazienti a maggior rischio di ricovero e mortalità.
“Attraverso un programma di screening e attraverso l’intervento tempestivo, innanzitutto a domicilio, possiamo gestire la patologia in anticipo, riducendo altamente la mortalità,” afferma Alberto Zangrillo. “Per fare un esempio, concreto, un iperteso con più di 65 anni, a fronte di un episodio febbrile non deve essere lasciato a casa nella speranza di un’evoluzione positiva del quadro clinico. Deve essere tempestivamente inserito in un percorso di diagnosi, monitoraggio e cura.
Alimentazione ed integrazione, emozioni e riposo, movimento ed attività fisica, salute e bellezza della pelle: è su questi quattro pilastri che si fonda il Vademecum indirizzato a tutta la popolazione messo a punto dai Farmacisti Preparatori per aiutare nella gestione dell'emergenza.
Il documento indica le buone pratiche per affrontare in maniera corretta la limitazione di movimento e il distanziamento sociale, proponendo un insieme di buone pratiche che va oltre alle semplici istruzioni quotidiane.
"Una sana alimentazione - si legge in una nota - prevede il giusto apporto di nutrienti specifici, come ad esempio le vitamine che irrobustiscono il sistema immunitario; l'eventuale stress deve essere riconosciuto, dobbiamo gestirlo e combatterne i sintomi con i corretti comportamenti e il supporto di principi attivi naturali; alcuni semplici esercizi sono praticabili a casa anche in spazi ristretti e migliorano i problemi della sedentarietà, per esempio quelli inerenti al mal di schiena; la pelle del viso risente degli stati emotivi e della permanenza al chiuso, quella delle mani è stressata dai trattamenti frequenti per l’igiene e la disinfezione, va quindi curata e nutrita in maniera particolare. In questo momento storico, il rapporto tra comunità e farmacista si stringe, diviene vicinanza e comunione di intenti. Per questo vi proponiamo un insieme di buone pratiche che va oltre alle semplici istruzioni quotidiane". "Questo tempo di crisi va gestito in modo ampio perché non basta dare il consiglio, ma è necessario entrare in empatia con le persone per comprenderne anche il disagio, fornendo quindi strumenti che possano servire ad un riequilibrio fisico e mentale".
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Foto: Edward Jenner su Pexels 4031692
Un modello dinamico per mappare e monitorare l’evoluzione del contagio da Covid-19 a livello regionale e provinciale, al fine di fornire uno strumento univoco per informare le decisioni di Governo e Regioni «troppo spesso concentrate sulle variazioni giornaliere che alimentano facili ottimismi sui tempi di riapertura e sottostimano i rischi in aree con pochi casi ma ad elevata prevalenza».
E' questo il contributo della Fondazione GIMBE al piano nazionale in elaborazione per l'avvio della "fase 2", che - spiega il presidente, Nino Cartabellotta - «deve essere guidata da criteri scientifici oggettivi condivisi tra Governo, Regioni ed enti locali, tenendo in considerazione i rischi legati a cinque variabili: attività produttive, libertà individuali, mezzi di trasporto, rischio di specifici sottogruppi di popolazione in relazione all’età e patologie concomitanti ed evoluzione del contagio nelle diverse aree geografiche».
Considerato che per rallentare la diffusione del virus occorre ridurre in maniera costante la crescita percentuale dei casi, in particolare se la prevalenza aumenta, il modello GIMBE si basa su due variabili:
Utilizzando come “spartiacque” i valori medi nazionali di prevalenza e incremento percentuale le Regioni si posizionano in un grafico suddiviso in quattro quadranti (figura 1):
Considerato che la posizione di ciascuna Regione consegue a differenti dinamiche locali, la Fondazione GIMBE ha elaborato analoghi grafici regionali, che vedono le province distribuirsi in relazione ai valori medi regionali di prevalenza e di incremento percentuale (es. Regione Lombardia: figura 2).
«Questo modello – continua Cartabellotta – non ha l’obiettivo di stilare una classifica tra Regioni, ma solo di posizionarle e monitorarle nel tempo rispetto alla media nazionale di due variabili che condizionano l’evoluzione dell’epidemia». Ovvero, la distribuzione delle Regioni secondo il modello GIMBE dimostra che ad oggi la suddivisione del Paese in tre macro-aree (Nord, Centro, Sud) non riflette il rischio di evoluzione del contagio. Infatti:
«In generale – continua Cartabellotta – la fotografia scattata a 2 settimane dalla possibile riapertura non è affatto rassicurante perché gli incrementi percentuali negli ultimi 7 giorni sono ancora molto elevati anche nelle Regioni che si trovano nel quadrante verde, fatta eccezione per l’Umbria».
«Al di là delle indiscrezioni trapelate negli ultimi giorni – conclude Cartabellotta – i criteri con cui il Governo ridisegnerà la mappa dell’Italia per l’avvio e il monitoraggio della “fase 2” non sono ancora noti. Il modello proposto dalla Fondazione GIMBE permette di applicare la stessa unità di misura a livello nazionale, regionale e provinciale, sia al fine di consentire una “personalizzazione” degli interventi di allentamento o restrizione, sia di evitare valutazioni locali finalizzate a improprie fughe in avanti che rischiano di danneggiare la salute pubblica».
Prevalenza e incremento percentuale dei casi di COVID-19
Il grafico illustra il posizionamento delle Regioni in relazione alle medie nazionali di prevalenza e incremento percentuale dei casi (settimana 12-19 aprile)
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Foto Hank Williams da Pixabay
La fine dell’emergenza Covid-19 in Italia potrebbe avere tempistiche diverse nelle Regioni a seconda dei territori più o meno esposti all’epidemia: in Lombardia e Marche, verosimilmente, l’assenza di nuovi casi si potrà verificare non prima della fine di giugno, in Emilia-Romagna e Toscana non prima della fine di maggio. Nelle altre Regioni l’azzeramento dei contagi potrebbe avvenire tra la terza settimana di aprile e la prima settimana di maggio. A provare a dare una risposta a quella che è ormai la principale domanda degli italiani - "Quando finirà?" - sono le proiezioni fatte dagli esperti dell'Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane, coordinato dal Walter Ricciardi, Direttore dell’Osservatorio e Ordinario di Igiene all’Università Cattolica, e dal Dottor Alessandro Solipaca, Direttore Scientifico dell’Osservatorio.
“In questo momento è quanto mai necessario fornire una valutazione sulla gradualità e l’evoluzione dei contagi, al fine di dare il supporto necessario alle importanti scelte politiche dei prossimi giorni”, spiega quest'ultimo.
Il nuovo coronavirus SARS CoV-2 ha finora provocato oltre 22 mila e 700 decessi in Italia, dove attualmente si contano circa 172 mila e 400 contagiati.
“L’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane ha effettuato una analisi con l’obiettivo di individuare, non la data esatta, ma la data prima della quale è poco verosimile attendersi l’azzeramento dei nuovi contagi - spiega il Dottor Solipaca – e si basa sui dati messi a disposizione quotidianamente dalla Protezione Civile dal 24 febbraio al 17 aprile”. I modelli statisticistimati per ogni Regione sono di tipo regressivo (di natura non lineare) e, quindi, non sono di tipo epidemiologico, pertanto nonfondati sull’ammontare della popolazione esposta, di quellasuscettibile e sul coefficiente di contagiosità R0, ma approssimanol’andamento dei nuovi casi osservati nel tempo.
Le proiezioni tengono conto dei provvedimenti di lockdown introdotti dai DPCM. Pertanto, eventuali misure di allentamento del lockdown, con riaperture delle attività e della circolazione di persone che dovessero intervenire a partire da oggi, renderebbero le proiezioni non più verosimili. Infine, si sottolinea che la precisione delle proiezioni è legata alla corretta rilevazione dei nuovi contagi, è infatti noto che questi possono essere sottostimati a causa dei contagiati asintomatici e del numero di tamponi effettuati.
Secondo le proiezioni dell’Osservatorio a uscire per prima dal contagio da Covid-19 sarebbero la Basilicata e l’Umbria, le quali il 17 aprile contavano rispettivamente solo 1 e 8 nuovi casi; le ultime sarebbero le Regioni del Centro-Nord nella quali il contagio è iniziato prima. In Lombardia, in cui si è verificato il primo contagio, non è lecito attendersi l’azzeramento dei nuovi casi prima del 28 giugno, nelle Marche non prima del 27 giugno. Infatti, per entrambe le Regioni il trend in diminuzione è particolarmente lento. La PA di Bolzano dovrebbe avvicinarsi all’azzeramento dei contagi a partire dal 28 maggio, nonostante il numero di contagi osservati complessivamente è basso in valore assoluto (29 casi il 18 aprile), tuttavia il trend dei nuovi casi sta scendendo con particolare lentezza. Nella Regione Lazio dovremmo aspettare almeno il 12 maggio, nel Sud Italia l’azzeramento dei nuovi contagi dovrebbe iniziare ad avvenire tra la fine del mese di aprile e l’inizio di maggio.
Le proiezioni effettuate evidenziano che l’epidemia si sta riducendo con estrema lentezza, pertanto questi dati suggeriscono che il passaggio alla così detta “fase 2” dovrebbe avvenire in maniera graduale e con tempi diversi da Regione a Regione. Una eccessiva anticipazione della fine del lockdown, con molta probabilità, potrebbe “riportare indietro le lancette della pandemia” e vanificare gli sforzi e i sacrifici sin ora effettuati.
Tabella 1 - Persone (valori assoluti) positive e decedute al 17 Aprile 2020 per Covid-19 e data minima di assenza di nuovi casi di contagio per Regione
Regioni |
Totale positivi al 17aprile 2020 |
Totale decessi al 17aprile 2020 |
Nessun nuovo caso (non prima di) |
Piemonte |
19.803 |
2.171 |
21/05/2020 |
Valle d'Aosta |
993 |
123 |
13/05/2020 |
Lombardia |
64.135 |
11.851 |
28/06/2020 |
Bolzano-Bozen |
2.296 |
234 |
26/05/2020 |
Trento |
3.376 |
342 |
16/05/2020 |
Veneto |
15.374 |
1.026 |
21/05/2020 |
Friuli Venezia Giulia |
2.675 |
220 |
19/05/2020 |
Liguria |
6.188 |
866 |
14/05/2020 |
Emilia-Romagna |
21.834 |
2.903 |
29/05/2020 |
Toscana |
8.110 |
602 |
30/05/2020 |
Umbria |
1.337 |
57 |
21/04/2020 |
Marche |
5.668 |
785 |
27/06/2020 |
Lazio |
5.524 |
332 |
12/05/2020 |
Abruzzo |
2.443 |
246 |
07/05/2020 |
Molise |
269 |
16 |
26/04/2020 |
Campania |
3.951 |
293 |
09/05/2020 |
Puglia |
3.327 |
307 |
07/05/2020 |
Basilicata |
337 |
22 |
21/04/2020 |
Calabria |
991 |
73 |
01/05/2020 |
Sicilia |
2.625 |
190 |
30/04/2020 |
Sardegna |
1.178 |
86 |
29/04/2020 |
Fonte dei dati: Elaborazioni su dati della Protezione Civile.
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Foto Anna Shvets su Pexel
Una scelta campo per migliorare la rete assistenziale delle terapie intensive e garantire la qualità dell’assistenza nel futuro, per non farsi cogliere di sorpresa da nuove emergenze analoghe a quella del Covid-19. A sollecitarla sono SIAARTI (Società Italiana di Anestesia, Analgesia, Rianimazione e Terapia Intensiva) e l’AAROI-EMAC (Associazione Anestesisti Rianimatori Ospedalieri Italiani Emergenza Area Critica) segnalando al governo e alla politica che a pandemia e l’evoluzione epidemiologica dell’infezione da SARS-CoV-2 hanno fatto emergere gravi criticità del SSN, tra queste, la più grave è stata l’insufficiente dotazione di posti letto di Terapia Intensiva. Le azioni suggerite dagli specalisti si sviluppano in due fasi:
1. STABILIZZARE i posti letto di Terapia Intensiva utilizzando le tecnologie acquisite e già finanziate da Governo e Regioni corripondenti ad un aumento del 35%-50% rispetto all'attuale;
2. ATTIVARE le dotazioni organiche degli Specialisti in Anestesia Rianimazione Terapia Intensiva e del Dolore attraverso: l'incremento significativo (2000/2500 unità) delle Borse di Studio indirizzate alle Scuole di Specializzazione in Anestesia, Rianimazione, Terapia Intensiva e del Dolore; l'arruolamento in servizio - secondo quanto già previsto dal Decreto Cura Italia 2020 – delquarto e quinto anno delle Scuole di Specializzazione: questo permetterebbe di immettere con la sola integrazione economica del contratto MIUR di avere sul campo immediatamente oltre 1000 Anestesisti Rianimatori con competenze intensivologiche allineate al Core Curriculum europeo aggiornato alle nuove emergenze.
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Foto di Anna Shvets da Pexel
In questo momento di grande emergenza in Italia a causa del Covid-19, AIFA, Farmindustria e Assogenerici hanno promosso modalità di costante collaborazione, in assiduo contatto con le Regioni, per garantire accesso e continuità delle cure per tutti i pazienti che ne hanno bisogno, con l’ininterrotta produzione e distribuzione di tutti i farmaci, l’appropriatezza delle cure, l’intensificazione delle attività di ricerca e sperimentazione per le terapie e i vaccini.
AIFA, Farmindustria e Assogenerici invitano a fare riferimento innanzitutto alle Istituzioni e al SSN per acquisire informazioni affidabili sul Covid-19. Informazioni false o prive di fondamento scientifico reperibili online possono condurre a gravi conseguenze per la salute. Controllare l’attendibilità delle fonti è indispensabile.
La produzione in Italia è straordinariamente flessibile e capace di rispondere alle esigenze di salute, grazie alla qualità del suo lavoro, internazionalmente riconosciuta. Così come l’eccellenza di gran parte degli ospedali del nostro Paese consente elevati livelli qualitativi e quantitativi di studi clinici. E la ricerca italiana è leader indiscussa in molti ambiti della salute.
AIFA, Farmindustria e Assogenerici ringraziano i medici e il personale sanitario in prima linea, le donne e gli uomini dell’AIFA e delle numerose imprese del farmaco e di tutta la filiera farmaceutica che assicurano la continuità operativa. Un ringraziamento particolare va alle aziende che hanno promosso attività compassionevoli e benefiche con le quali sostengono le difficoltà della comunità nazionale e delle comunità locali.
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Foto: Elena Mozhvilo - Unsplash
Programmare subito una vaccinazione antinfluenzale di massa per l'autunno per evitare drammatiche coincidenze con il contagio da Coronavirus. Questo l'appello della Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie (Simg) a Governo e Regioni, per evitare che il sovrapporsi delle patologie possa generare gravi ritardi diagnostici con conseguenze nefaste dal punto di vista clinico ed economico.
“Una vaccinazione diffusa può ridurre di oltre il 40% le ospedalizzazioni per influenza stagionale, del 45% le assenze stagionali per malattia e permettere miliardi di euro di risparmi al SSN. Deve però essere esaminata dalla politica il prima possibile per la programmazione dei vaccini 2020-21”, commenta in una nota il presidente Simg, Claudio Cricelli.
Il Covid19 - scrive la Simg - non deve essere considerato un evento a sé stante: l’ipotesi di una concomitanza tra l’Influenza Stagionale e l’eventuale persistenza sub-epidemica o endemica del SarsCoV2 e della malattia Covid19 preoccupa la classe medica. “Stiamo maturando la convinzione che i sintomi di esordio delle due patologie provocheranno un ulteriore aggravio del carico di malattia, con difficoltà crescenti per medici e pazienti a orientarsi nella diagnosi - evidenzia Cricelli. - In molti Paesi le autorità sanitarie stanno suggerendo una vaccinazione anti-influenzale di massa. È necessario dunque riflettere immediatamente sul rischio che anche nel nostro Paese, al sopraggiungere dell’epidemia stagionale di influenza, sia ancora in corso un’epidemia, anche ridotta, di Sars-CoV2. L’impatto combinato delle due patologie potrebbe provocare danni incalcolabili alla popolazione del nostro Paese”.
La vaccinazione gratuita prioritaria nel nostro Paese è ormai da molti anni una realtà - prosegue la nota Simg - Coinvolge la popolazione sopra i 65 anni, i soggetti affetti da malattie croniche ed altri soggetti a rischio. La vaccinazione globale non è sconsigliata, ma nemmeno esplicitamente suggerita. Tuttavia, una buona parte delle patologie croniche colpisce fasce di età ben inferiori ai 65 anni e la prima diagnosi si manifesta negli individui sopra i 50 anni, con un progressivo abbassamento dell’età d’esordio. La vaccinazione anti-influenzale nella popolazione sopra i 65 anni, quindi, da una parte produce una buona copertura di questa coorte, ma vede una costante presenza di alcuni milioni di individui che vengono comunque colpiti dall’Influenza Stagionale. Benché in rapida diminuzione, l’ISS stima il numero di casi totali dall’inizio della sorveglianza in circa 7.300.000; il conteggio finale ci porterà a valori intorno agli otto milion i di casi. I circa 160mila casi di Covid19 stimati ad oggi in Italia si sono inizialmente sovrapposti ai circa 2 milioni di casi di influenza stagionale, generando nelle prime settimane dell’epidemia problemi diagnostici con una iniziale sottovalutazione dei casi di coronavirus.
Non è possibile ad oggi effettuare una stima appropriata della mortalità in eccesso per influenza. La stima dei casi di influenza sulla popolazione over 65 si aggira per stima intorno al 3,2%, ossia circa 1,2–1,5 milioni di persone. Si stima un’incidenza dell’influenza di circa il 9% nella fascia d’età 50-64, con circa 3,5 milioni di individui colpiti, soprattutto nella popolazione non vaccinata. In conclusione, stimando un andamento epidemico di influenza simile a quello del 2019-20, la capacità confondente della patologia influenzale, nel caso essa si sovrapponga all’epidemia Covid19, si estenderebbe ad alcuni milioni di persone.
“La Società Italiana di Medicina Generale propone una vaccinazione di massa per la prossima epidemia di influenza stagionale per far fronte a questi rischi di sovrapposizione che potrebbero verificarsi – afferma ancora Cricelli. - Esistono dubbi assai fondati sulla durata del Covid19: le previsioni più equilibrate parlano di una durata complessiva non inferiore a sette mesi, con una coda epidemica spinta fino a 180-270 giorni dall’esordio del Caso 1. La lunghezza e le modalità di espressione sono tuttavia difficili da definire, ma si prevede che l’inizio e lo sviluppo dell’epidemia di influenza stagionale possa sovrapporsi alla coda epidemica di Covid-19. Si rivela pertanto fortemente raccomandabile estendere la vaccinazione anti-influenzale al maggior numero possibile di cittadini”.
La proposta della SIMG è quella di confermare la raccomandazione di vaccinarsi secondo i criteri ormai consolidati. “In tale prospettiva – conclude Cricelli – suggeriamo anzitutto di applicare il principio di raccomandare la vaccinazione a tutta popolazione sopra i sei mesi di età. In secondo luogo, di estendere la vaccinazione gratuita ai soggetti sopra i 50 anni, in particolare se affetti da patologie croniche secondo i criteri del Centers for Disease Control and Prevention dell’OMS. Infine, invitiamo ad applicare la vaccinazione gratuita prioritaria non gerarchica ai seguenti casi stabiliti dal CDC dell’OMS: bambini dai 6 mesi ai 4 anni di età; adulti over 50; soggetti affetti da patologie croniche di tipo polmonare, cardiovascolare, epatica, neurologica, ematologica, nefrologica, sindromi metaboliche (incluso il diabete mellito); pazienti immunosoppressi; donne in stato di gravidanza; individui tra i 6 mesi e i 18 anni che possono svil uppare la sindrome di Reye dopo un’influenza virale; chi risiede in case di cura o strutture di lungodegenza;; soggetti affetti da obesità; personale sanitario; chi si occupa di bambini sotto i 5 anni o di adulti sopra i 50; tutti coloro che possono essere soggetti a maggior rischio per assistenza a individui deboli o malati. Riteniamo che questa misura produca importanti effetti di valore clinico, sanitario ed economico: riduzione del 40% delle ospedalizzazioni per influenza stagionale, del 45% delle assenze stagionali per malattia e risparmi per miliardi di euro al SSN. Questa proposta è in fase di perfezionamento, ma è importante che venga esaminata dalla classe dirigente il prima possibile per la programmazione dei vaccini 2020-21".
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«Per la prima volta, facendo ricorso ad una procedura totalmente inedita, la Commissione UE si è schierata al fianco di un comparto industriale con una “Comfort Letter” (“Coordination in the pharmaceutical industry to increase production and to improve supply of urgently needed critical hospital medicines”) a supporto del progetto proposto da Medicine for Europe, l’associazione europea dei produttori di generici e biosimilari, per la raccolta dei dati sui medicinali necessari alle terapie intensive nei Paesi europei e la messa a punto di una strategia produttiva che dia una risposta concreta. La Commissione ha contemporaneamente pubblicato anche un Temporary Framework per fornire una copertura Antitrust - preventivamente concordata con tutte le corrispondenti Autority nazionali - alle aziende che parteciperanno al progetto. Si tratta della prima risposta concreta a livello comunitario, dopo l’allarme lanciato dall’Ema e dagli ospedali europei sul rischio di carenze dei medicinali attualmente utilizzati per i pazienti in terapia intensiva a causa della pandemia di COVID-19 (es. anestetici, curaro- simili e miorilassanti)».
Ad esprimere il proprio apprezzamento per la scelta fatta ieri dalla Commissione UE è Enrique Häusermann, presidente Assogenerici: «Per evitare il rischio di carenza di prodotti e servizi essenziali, determinata dall’aumento senza precedenti della domanda a causa della pandemia, abbiamo bisogno che le aziende collaborino, in linea con le regole europee sulla concorrenza: i documenti prodotti oggi dalla Commissione ci offrono un quadro certo di garanze entro cui operare a vantaggio della salute pubblica italiana ed europea».
Il progetto di cooperazione volontaria tra produttori farmaceutici proposto da Medicines for Europe – che, come sottolineato dalla Commissione, fornisce la stragrande maggioranza dei medicinali utilizzati nelle terapie intensive per i pazienti sottoposti a ventilazione, che in questo momento sono necessari in grandi quantità in tutta Europa - è aperto a tutte le aziende farmaceutiche che vorranno partecipare e vedrà anche la partecipazione di rappresentanti della Commissione UE.
Il progetto punta ad una modellizzazione dei fabbisogni grazie agli input provenienti dai vari Paesi, una modalità di lavoro oggi indispensabile per garantire la stabilità delle forniture. Tra le ipotesi di collaborazione rientrano la fornitura incrociata delle materie prime (principi attivi e intermedi), l’individuazione congiunta dei siti dove concentrare la produzione di determinati prodotti, la redistribuzione concordata dell’eventuale surplus o eccesso di offerta. Pratiche che eccezionalmente, grazie al Temporary framework approvato dalla Commissione, non saranno ritenute in contrasto con l’articolo 101 del Trattato sul funzionamento dell’unione Europea (accordi anticoncorrenziali).
Il progetto si basa sull’esperienza sviluppata in Italia dai produttori di medicinali generici: «Il modello italiano di cooperazione tra industria ed autorità, che ha visto nascere l’Unità di Crisi AIFA per la gestione dei fenomeni di scarsità dei medicinali necessari nelle terapie intensive – spiega infatti Häusermann - rappresenta ora un modello per l’Europa e fornirà un’esperienza preziosa anche nel campo della flessibilità regolatoria adottata per gestire la straordinaria domanda di questi medicinali».
«Sarebbe auspicabile – conclude il presidente Assogenerici - che l’attività di cooperazione emergenziale, avviata in Italia con la creazione dell’unità di Crisi AIFA, possa rapidamente passare alla fase di programmazione dei fabbisogni e alla gestione e distribuzione dei farmaci condivisa con tutte le Regioni, che sono chiamate a dare massimo sostegno alle iniziative di coordinamento messe in campo dalla nostra agenzia regolatoria. Il progetto europeo approvato ieri potrà dare grande spinta propulsiva in tal senso, a patto che sia attuata una forte collaborazione fra Stato centrale e Regioni. Per questo faccio un appello a tutte le autorità regionali italiane: dobbiamo remare tutti dalla stessa parte, quindi stop agli accaparramenti, stop alle procedure di esecuzione in danno verso le aziende che per prime hanno risposto al grido delle Regioni del Nord e si all’adozione di procedure straordinarie di analisi dei fabbisogni attraverso il modello già in atto».
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Ben il 95% dei farmacisti ospedalieri europei ha denunciato carenze di medicinali nel 2019 (era il 91,8% nel 2018) - in particolare gli antimicrobici - e riferisce che il fenomeno continua a crescere. Il dato emerge dal Rapporto annuale diffuso oggi dell’Associazione europea dei farmacisti ospedalieri (EAHP) che per la prima volta ha coinvolto nel sondaggio anche pazienti, infermieri, medici e altri operatori sanitari. Il sondaggio è stato aperto tra novembre 2019 e metà gennaio 2020 e pertanto non ha tenuto conto dei problemi di disponibilità che si stanno attualmente verificando a causa della pandemia di COVID-19.
A condividere la preoccupazione per le carenze è stato l’89% degli operatori sanitari che hanno partecipato al sondaggio, il 62% degli infermieri e il 71% dei medici. Oltre metà dei farmacisti ospedalieri partecipanti ha dichiarato di aver registrato carenze che hanno avuto un impatto sulle cure dei pazienti nel loro ospedale. Un tasso di risposta simile è stato osservato per i medici e altri operatori sanitari. I ritardi nella cura o nella terapia, il trattamento non ottimale, compresa l'efficacia inferiore, e la cancellazione delle cure sono state le conseguenze più segnalate.
Farmacisti, medici e infermieri ospedalieri hanno indicato gli agenti antimicrobici come il tipo di medicina principalmente in carenza, mentre altri operatori sanitari hanno notato carenze più frequenti per i farmaci oncologici. L’indagine ha anche raccolto impressioni sui motivi della carenza di medicinali: sotto accusa per farmacisti ospedalieri, la carenza globale di un ingrediente farmaceutico attivo, nonché i problemi della catena di produzione e di approvvigionamento; nel mirino dei medici come fattore scatenante delle carende di medicinali figurano i prezzi elevati di alcuni prodotti, i problemi della catena di approvvigionamento e le esportazioni parallele.
Dagli intervistati emerge anche la richiesta di una strategia basata su una migliore applicazione dei requisiti obbligatori di notifica preventiva e su risposte strutturate di mitigazione, ad esempio adottando misure reattive, come lo svolgimento di valutazioni del rischio prospettiche, nonché misure proattive, come le pratiche di gara prudente. Da EAHP, infine, anche la richiesta di un miglioramento della trasparenza e della condivisione delle informazioni: «Solo una strategia di comunicazione globale sulle carenze indirizzata a tutti gli Stati europei - afferma il Rapporto - garantirà che tutti gli attori della catena di approvvigionamento, compresi i farmacisti ospedalieri, ricevano informazioni adeguate sulla carenza di medicinali nel loro Paese».
«Gli Stati membri dell’Ue stanno iniziando a registrare - o si aspettano che si verifichino molto presto - carenze dei medicinali utilizzati per la pandemia di COVID-10. Tra questi figurano medicinali usati in unità di terapia intensiva- come alcuni anestetici, antibiotici e miorilassanti - nonché prodotti usati off-label per contrastare il virus. Le autorità dell'UE stanno quindi mettendo in atto misure aggiuntive per mitigare in modo coordinato l'impatto della pandemia sulla catena di approvvigionamento dei medicinali».
L'annuncio segna la discesa in campo dell'EMA nel ruolo di ente coordinatore sovranazionale delle problematiche legate alla carenza di farmaci utili a contrastare la pandemia in corso. A darne notizia è la stessa Aenzia Europea dei Medicinali, che riassume in una nota le cause dell’aggravamento del problema carenze, preesistente all’emergena COVID: «blocco nelle fabbriche a causa di quarantena, problemi logistici causati da chiusure di frontiere, divieti di esportazione, blocchi nei paesi terzi che forniscono medicinali all’UE, aumento della domanda a causa del trattamento di pazienti COVID-19, stoccaggio in alcuni ospedali, ma anche stoccaggio individuale da parte dei cittadini nonché a livello di Stati membri (per evitare carenze dovute allo stoccaggio, alcuni Stati membri hanno ad esempio imposto restrizioni sul numero di confezioni che possono essere prescritte ai pazienti o acquistate dai cittadini, ndr.)».
Per aiutare a mitigare le interruzioni dell’approvvigionamento - spiega EMA - il gruppo direttivo esecutivo dell’UE sulle carenze di medicinali sta attualmente istituendo, con l’industria farmaceutica, il sistema i-SPOC: un single point of contact attraverso il quale ciascuna azienda farmaceutica riferirà direttamente all’EMA, carenze anticipate o carenze attuali di medicinali critici utilizzati nel contesto di COVID-19, sia per i medicinali autorizzati a livello centrale sia per quelli autorizzati a livello nazionale, ovviamente pur continuando a segnalare tali carenze alle autorità nazionali competenti.
Si tratta dunque di un sistema “fotocopia” dello SPOC,) istituito nel 2019 tra l'EMA e le autorità nazionali competenti per condividere informazioni sulle carenze di medicinali. «Il nuovo meccanismo - scrive EMA -consentirà una migliore supervisione dei problemi di approvvigionamento in corso e un flusso più rapido di informazioni con l’industria farmaceutica, con l’obiettivo di mitigare e, se possibile, prevenire le carenze nel contesto dei medicinali COVID-19.
«Nel contesto della pandemia - prosegue il comunicato - l’EMA e la rete UE stanno prendendo in considerazione azioni normative per supportare l'aumento delle capacità produttive (es. accelerando l'approvazione di una nuova linea o sito di produzione), mentre sono in corso confronti con l’industria farmaceutica per aumentare la capacità di produzione di tutti i medicinali utilizzati nel contesto di COVID-19, in particolare per i medicinali potenzialmente a rischio di carenza di approvvigionamento. E si stanno esaminando le aree in cui le normative potrebbero essere applicate con maggiore flessibilità per garantire la fornitura di medicinali essenziali. Ulteriori informazioni saranno fornite in un documento di domande e risposte, attualmente in fase di sviluppo».
Il comunicato chiude sottolineando e chiarendo il ruolo assegnato all’Agenzia europea dei Medicinali in questo frangente: «Sebbene le carenze mediche siano affrontate a livello nazionale, dalle autorità nazionali competenti - si lege nella nota - all'EMA è stato chiesto di assumere il ruolo di coordinatore centrale per supportare attivamente le azioni di prevenzione e gestione degli Stati membri durante questa straordinaria crisi sanitaria. Si tratta di un nuovo tipo di attività che non può avvalersi dei meccanismi esistenti e significa che l’Agenzia deve mettere in atto nuovi processi ad hoc e dare priorità alle risorse per questa attività. L'Agenzia, ad esempio, ha raccolto in modo proattivo informazioni dagli Stati membri per monitorare o anticipare la carenza a livello di UE in ambito ospedaliero. Ha inoltre collaborato con gli Stati membri riguardo al modo in cui il divieto di esportazione di 14 sostanze attive (API) emesso dalle autorità indiane incide sulla disponibilità di determinati medicinali negli Stati membri».
Con una nota pubblicata ieri sul proprio sito l'Agenzia Italiana del Farmaco ha fatto il punto sui farmaci utilizzati per emergenza COVID-19 e sulle relative modalità di prescrizione. " Alcuni di questi medicinali - spiega l'AIFA - sono disponibili esclusivamente all’interno di sperimentazioni cliniche mentre altri che sono disponibili sul mercato con altre indicazioni terapeutiche sono stati messi a disposizione a carico del SSN con specifici provvedimenti. In alcuni casi si rende necessario passare attraverso delle sperimentazioni cliniche in quanto la mancanza totale di dati di efficacia e sicurezza richiede un protocollo di studio definito al fine di garantire al meglio la sicurezza dei pazienti e l’eticità della prescrizione. Per tale ragione la CTS sta quotidianamente valutando ed aggiornando la lista degli studi che vengono proposti con lo scopo di capire quali terapie potrebbero offrire, in tempi rapidi, la migliore efficacia nella cura e prevenzione del COVID 19".
"Vi sono anche alcuni farmaci - prosegue la nota - che per le loro caratteristiche e/o sulla base del meccanismo d’azione, soprattutto nella prima fase emergenziale, essendo già in commercio per altre indicazioni terapeutiche, sono stati utilizzati per la terapia della COVID 19. In questo caso l’AIFA ha adottato con procedura urgente provvedimenti atti a non ostacolare l’accesso ad alcuni medicinali già presenti in protocolli nazionali e internazionali. In quest’ultimo caso si tratta di medicinali che vengono utilizzati al di fuori delle indicazioni ufficialmente registrate (off-label). Per questa ragione è indispensabile rendere disponibile in modo continuo tutte le informazioni che si stanno via via accumulando riguardo alla sicurezza ed efficacia di tali trattamenti".
A tal fine - spiega ancora AIFA - sono state predisposte dalla CTS le schede che rendono espliciti gli indirizzi terapeutici entro cui è possibile prevedere un uso controllato e sicuro nell’ambito di questa emergenza. Le schede riportano in modo chiaro le prove di efficacia e sicurezza oggi disponibili, le interazioni e le modalità d’uso raccomandabili nei pazienti COVID 19. Nello stesso formato, vengono individuati i farmaci per cui è bene che l’utilizzo rimanga all’interno di sperimentazioni cliniche controllate".
"Nella predisposizione di tali schede si è tenuto conto delle evidenze più aggiornate disponibili al momento pwr cquesto, conclude - AIFA la nota, "non deve sorprendere in un momento in cui vengono continuamente resi noti nuovi dati per lo più incompleti, le nuove evidenze impongono alcune modifiche rispetto alle decisioni assunte solo poche settimane fa. In particolare, al momento si ritiene opportuno non raccomandare l’associazione di idrossiclorochina e lopinavir/ritonavir o darunavir/cobicistat. Tale decisione è dettata dall’acquisizione di dati che, a fronte di evidenze ancora incerte di un miglioramento dell’efficacia a seguito della combinazione, indicano un rischio di potenziamento degli effetti tossici quando tali farmaci sono somministrati insieme".
Il percorso appena descritto verrà dettagliato e formalizzato attraverso una nuova Determinazione dell’AIFA.
Partirà lunedì 6 aprile il Bando per la ricerca Covid-19, promosso dal Ministero della Salute e già consultabile sul portale ministeriale. Lo annuncia una nota del ministero precisando che ciascun progetto selezionato potrà ricevere fino ad un milione di euro, dei 7 milioni complessivamente stanziati.
I quesiti, cui i ricercatori sono chiamati a rispondere, approvati dalla Sezione ricerca del Comitato Tecnico-Scientifico, organo consultivo del Ministero, riguardano cinque aree di indagine:
“È una iniziativa che va nella direzione giusta – commenta il ministro della salute, Roberto Speranza – per mettere a disposizione della comunità medica e scientifica conoscenze utili per le scelte cliniche e di sanità pubblica. Per questo motivo nella selezione delle proposte sarà data priorità a quelle in grado di evidenziare, già nella presentazione dei dati preliminari, l’applicabilità dei risultati ai processi di cura”.
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Sostituire definitivamente l’ambigua etichetta “dimessi/guariti” con “guariti”; riclassificare i soggetti con status di guarigione non noto come casi attivi in isolamento domiciliare; distinguere i soggetti guariti per guarigione clinica e guarigione virologica. Sono queste le tre richieste rivolte oggidalla Fondazione GIMBE al ministro della Salute e ala Protezione Civile per fare ordine sui numeri dell'emergenza coronavirus. La richiesta a valere sull'analisi realizzata in collaborazione con Youtrend sudefinizioni e discrepanze sul contegio e classificazione dei casi di infezione d coronavirus in Italia.
I dati ufficiali sui casi di COVID-19 comunicati in occasione della conferenza stampa quotidiana della Protezione Civile, pubblicati sulla dashboard ufficiale e sul sito del Ministero della Salute, sono aggregati in tre macro-categorie, la cui somma corrisponde al totale dei casi riportati quotidianamente dal nostro Paese all’Organizzazione Mondiale della Sanità.
«In termini di sanità pubblica – afferma Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE – questa classificazione mira a distinguere i casi attivi (totale positivi), che possono contribuire alla diffusione dell’infezione, dai casi chiusi, ovvero i deceduti e i guariti che non possono contagiare altre persone. Se il numero dei casi chiusi è condizionato, nel bene e nel male, dalla qualità dell’assistenza sanitaria, quello dei casi attivi influenza sia le decisioni sanitarie per contenere l’epidemia, sia quelle politiche per l’eventuale rimodulazione delle misure di distanziamento sociale».
Dal monitoraggio GIMBE dei dati pubblici sono emerse alcune incongruenze, relative sia ai trend regionali dei “Dimessi/Guariti”, sia alle definizioni e alle modalità comunicative della Protezione Civile. In particolare, nella dashboard nazionale si rileva una discrepanza tra la denominazione del box “Dimessi/Guariti” e la legenda che riporta “Guariti: totale persone clinicamente guarite”. Inoltre, in calce al report quotidiano, dove vengono riportati i totali del giorno, il dato della colonna “Dimessi/Guariti” viene etichettato come “Totale guariti”.
«Di fronte a queste discrepanze – spiega Cartabellotta – abbiamo deciso di approfondire la questione con ulteriori analisi condotte in collaborazione con YouTrend, progetto digitale di informazione e analisi dati, edito dall'agenzia Quorum».
«Le nostre valutazioni – spiega Lorenzo Pregliasco, co-fondatore di YouTrend – evidenziano una notevole eterogeneità dei dati raccolti dalle Regioni e inviati alla Protezione Civile, vista anche l’assenza di un modello informatizzato univoco. Infatti, i dati sono trasmessi da ciascuna Regione con modalità diverse e i criteri sulla definizione dei casi “Dimessi/Guariti” sono estremamente variabili».
L’analisi effettuata il 1 aprile su 8 Regioni che rappresentano l’85,7% dei casi totali e il 91,6% dei “Dimessi/Guariti” comunicati dalla Protezione Civile (tabella) conferma l’estrema eterogeneità di questo “contenitore” nel quale confluiscono 4 tipologie di casi: pazienti virologicamente guariti (2 tamponi negativi a distanza di 24 ore), pazienti in via di guarigione virologica (primo tampone negativo, in attesa del risultato del secondo), pazienti guariti clinicamente (non sottoposti a tampone), pazienti “dimessi” da un setting ospedaliero senza alcuna informazione sullo stato di guarigione, sia essa clinica o virologica.
«Al fine di sanare questa misclassificazione e garantire la massima trasparenza – aggiunge Pregliasco – è indispensabile uniformare i dati comunicati dalle Regioni alla Protezione Civile, con la diffusione dei dettagli in formato open data per consentire ai ricercatori di effettuare analisi sui dati grezzi e su unità geografiche a livello di provincia e di comune».
Emblematico l’impatto del caso Lombardia. La Regione, infatti, nel bollettino quotidiano non menziona affatto il numero delle guarigioni, ma riporta solo il numero di pazienti dimessi dall’ospedale (o dal pronto soccorso) e inviati in isolamento domiciliare. Tutti questi casi (ieri 11.415, il 68% del totale) confluiscono nei “Dimessi/Guariti” del bollettino nazionale sovrastimando il tasso di guarigione. Infatti, il comunicato stampa giornaliero della Protezione Civile ieri riporta 16.847 persone guarite, dato confermato anche sul sito del Ministero della Salute.
«Al fine di non alimentare un irrealistico senso di ottimismo sul reale andamento dell’epidemia – conclude Cartabellotta – rischiando di affidare le decisioni sanitarie e politiche ad un numero che contiene anche casi ancora attivi, la Fondazione GIMBE chiede al Ministero della Salute e alla Protezione Civile di allineare la comunicazione pubblica ai criteri di guarigione clinica e virologica ribaditi il 19 marzo dal Comitato Tecnico-Scientifico».
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La diagnostica molecolare è l’unico metodo, al momento, raccomandato per l’identificazione dei casi infettivi di COVID-19. I test sierologici (per la rilevazione anticorpale o antigenica) saranno destinati a rivestire un ruolo importante nella ricerca e nella sorveglianza ma non sono, ad oggi, affatto raccomandati per l’individuazione dei casi. A sottolinearlo è un documento predisposto da AMCLI (Associazione Microbiologi Clinici Italiani) in merito al tema del SARS CoV2: la diagnosi sierologica. Secondo i microbiologi clinici i metodi biomolecolari si confermano ancora oggi fondamentali quali test diagnostici (meno per finalità epidemiologiche), quelli sierologici potranno essere utilizzati massimamente per valutazioni di sieroprevalenza (per le quali le tecnologie biomolecolari non risultano appropriate) e meno – se non in associazione sulla base di precisi e rigorosi algoritmi diagnostici – a fini clinici. «In tutto il mondo si considera la “sierologia” come una speranza. Dal punto di vista tecnico è una sfida. Dal punto di vista diagnostico è, certamente, una necessità», si legge nel documento che tuttavia segnala «l’assoluta inaffidabilità di kit presentati come affidabili, utilizzati ma non credibili». In proposito, sintetizza il documento:
Con queste premesse, conclude l’analisi «È necessario che i microbiologi si facciano carico di una valutazione di merito sulle nuove metodiche, suggerendo nel contempo il migliore utilizzo (diagnostico, analisi di popolazione, epidemiologico, di primo livello o conferma) nella pratica clinica anche proponendo, alla fine, ragionevoli algoritmi di utilizzo, anche combinato. Fino alla disponibilità di dati di letteratura certi o di risultati consolidati di valutazioni policentriche non si ritiene opportuno procedere con l’introduzione, in algoritmi operativi, dei test sierologici né per la definizione eziologica di infezione né per valutazioni epidemiologiche di sieroprevalenza».
«In questo momento di assoluta criticità per il Paese – è la conclusione - AMCLI mette a disposizione tutte le competenze tecniche e scientifiche dei laboratori suoi associati e di chi vi lavora per “mettere insieme” dati ed esperienze già acquisiti e collaborare alle proposte multicentriche di studio che organismi nazionali di coordinamento o singole Regioni dovessero proporre».
Il numero dei guariti da Covid-19 aumenta di giorno in giorno, m a una volta debellato il virus, nei soggetti in fase di remissione possono persistere sintomi quali dispnea (respirazione faticosa) per sforzi modesti, facile faticabilità, vertigini e instabilità posturale, dolore, ansia e, più in generale, una severa sindrome da decondizionamento, tipica del riposo prolungato a letto dopo malattie acute.
Per questo un gruppo di medici e fisioterapisti della Clinica di Neuroriabilitazione, coordinati da Maria Gabriella Ceravolo, professore ordinario di Medicina fisica e riabilitativa all’Università Politecnica delle Marche, e da Marianna Capecci, direttore della Scuola di Specializzazione in Medicina fisica e riabilitativa della medesima università, hanno promosso un progetto di educazione terapeutica dedicato alle persone in convalescenza dopo un ricovero per infezione da COVID-19.
Il progetto gode del patrocinio di Simfer, la Società italiana di Medicina fisica e riabilitativa, a cui fanno capo i medici fisiatri del nostro paese.
«Come noto», spiega la professoressa Ceravolo, che è anche presidente del Board di Medicina fisica e riabilitativa dell’Unione Europea Medici Specialisti, «le conseguenze della patologia indotta dall’infezione da COVID-19 sono numerose e tra le più frequenti e serie, in fase acuta, annoverano la compromissione della funzione respiratoria. Tuttavia, anche dopo la dimissione, l’insieme dei sintomi residui può interferire a lungo con la ripresa dell’autonomia nelle attività di vita quotidiana e indurre rischi di complicanze come fatica, depressione, cadute».
Per questo motivo, considerata l’impossibilità, nell’immediato, di fruire di prestazioni riabilitative, l’équipe anconetana ha sviluppato un progetto di educazione terapeutica, in versione completamente digitale, fruibile da qualsiasi supporto (smartphone, computer portatile) e accessibile con qualsiasi sistema (Windows, Android, i-OS). Il progetto ha due componenti: un opuscolo informativo che comprende una raccolta di esercizi respiratori e muscolari, tutti accompagnati da opportune spiegazioni e una piattaforma web navigabile in maniera gratuita senza necessità di autenticazione. Entrambi sono accessibili al link simfer.online/protocollo_postcovid19.
Il protocollo prevede due situazioni di partenza, con percorsi differenziati per chi è stato appena dimesso dall’ospedale, oppure ha manifestato una sindrome lieve curata in casa. In entrambi i percorsi sono visionabili tante video clip quanti sono gli esercizi richiamati nell’opuscolo. Per ciascun esercizio è disponibile una guida audio che illustra la finalità e le modalità di esecuzione e si forniscono raccomandazioni su come distribuire gli esercizi nel corso della settimana, tra mattina e pomeriggio.
«I protocolli di educazione terapeutica - avverte Ceravolo - non sostituiscono le prestazioni riabilitative che potranno rendersi indicate in soggetti con disabilità di grado moderato-severo pre-esistente o conseguente l’infezione da CoVID19. Auspichiamo che l’assistenza riabilitativa domiciliare o ambulatoriale che è stata drasticamente ridimensionata per arginare la diffusione del contagio possa essere prontamente ripristinata».