"Bene, ma si può e si deve fare di più". E' un po' questo il succo delle reazioni a caldo da parte delle aziende produttrici di equivalenti e biosimilari in relazione al varo da parte della Commissione Ue della proposta di legge sul "Supplementary Protection Certificate (SPC) Manufacturing Waiver", ovvero la deroga che consentirebbe la produzione di medicinali generici durante la vigenza del certificato di protezione complementare ai soli fini dell'esportazione nei mercati dove questo sia scaduto o non sia in vigore.
La misura era invocata da lungo tempo dalle imprese del comparto che, nell'attuale quadro normativo europeo, subiscono una pesante concorrenza da parte delle aziende che producono nei Paesi extra-Ue, dove non esistono analoghe restrizioni. La conseguenza è che - per competere alla pari - le aziende europee si vedono costrette a spostare all'estero la produzione e a mantenercela a causa degli accordi di esclusività produttiva imposti dagli ospitanti.
I vantaggi derivanti dall'introduzione delle deroghe all'SPC protection erano stati chiaramente evidenziati in uno studio indipendente realizzato per la Commissione Ue dalla Charles River Associates (CRA) che pronosticava tra l'altro un significativo aumento dei posti di lavoro nel comparto farmaceutico europeo e importanti risparmi per i sistemi sanitari nazionali. Fattori che hanno indotto il Parlamento Ue a sollecitare azioni normative in materia da parte della Commissione Ue. Quest'ultima, del resto, richiama le stesse ricadute positive in termini economici e occupazionali nella scheda di lettura che accompagna il provvedimento, ma in quest'ultimo, datato 28 maggio, figurano disposizioni tali da renderle di fatto - secondo le aziende del comparto - del tutto irrealizzabili salvo importanti interventi emendativi in corso d'esame.
Questi in sintesi i "paletti" neanche tanto occulti introdotti nella neo-varata proposta di legge europea:
- sarebbe consentito produrre lotti industriali in vigenza di SPC ed esportarli in Paesi dove non c’è SPC ma solo fuori dal territorio europeo;
- sarebbe obbligatorio apporre su tutte le confezioni una apposita etichettatura recante la scritta “EU export”;
- non sarebbe consentito produrre stoccare lotti prodotti in presenza di SPC nei magazzini per venderli dal giorno successivo alla scadenza del brevetto;
- la deroga si applicherebbe solo agli SPC registrati dopo l'entrata in vigore della normativa Ue (ovvero non si applica agli SPC esistenti);
- l'azienda produttrice sarebbe obbligata a notificare in anticipo all'Autorità regolatoria - che ne darebbe ampia pubblicità - dati sensibili come l'avvio della produzione e la lista dei Paesi cui essa sarebbe destinata.
"Il lancio di questa proposta è un passo senz'altro positivo, ma il legislatore (Parlamento e Consiglio) devono modoficare la proposta della Commissione correggendo le anomalie che limiterebbero l'uso della nuova normativa in particolare da parte delle piccole e medie imprese", ha commentato Marc Alexander Mahl, presidente di Medicines for Europe, che rappresenta il comparto degli equivalenti e biosimilari in Europa. Secondo Mahl, infatti, "la posibilità di produrre e stoccare per il 'day 1 launch' è un requisito cruciale per la localizzazione nel territorio europeo di impianti produttivi che richedono investimenti elevati, come nel caso dei prodotti biosimilari".
E di "paletti ingiustificati, che renderebbero inutilizzabile la deroga per le imprese" parla anche Enrique Hausermann, presidente Assogenerici. "Basta pensare - spiega - che la deroga verrebbe concessa solo per l’export nei Paesi extraeuropei, rendendo impossibile la commercializzazione nei Paesi europei dove il certificato complementare di protezione sia già scaduto a totale discapito in particolare delle PMI. Mentre andrebbe a totale danno della sostenibilità dei sistemi sanitari il mancato risparmio di spesa che deriverebbe della tempestiva introduzione sul mercato di farmaci equivalenti e biosimilari".