Cosa ha fatto degli USA il primo mercato al mondo per le Value Added Medicines? Gli esperti sono d’accordo:  la creazione di una categoria apposita per le VAM e l’individuazione di un impianto regolatorio ad hoc. Fin dal 1984 nella regolamentazione farmaceutica è stato introdotto un percorso che prevede di evitare inutili duplicazioni della ricerca per l’approvazione di un miglioramento clinicamente significativo di un farmaco precedentemente approvato, consentendo l’uso di dati non sviluppati dal richiedente NDA.

Nel confronto con l’Italia le differenze sono evidenti, con una debolezza in più: l’assoluto mancato utilizzo di dati e informazioni ipoteticamente disponibili nell’ambito del nostro SSN che sarebbero indispensabili nella generazione di evidenze da utilizzare nel dialogo con l’Agenzia regolatoria.

E nel confronto Italia-USA emerge con chiarezza che oltreoceano proprio sulla disponibilità di dati - ad esempio amministrativi e gestionali presenti sulla cartella elettronica – hanno fatto leva le aziende per dimostrare la bontà nuove soluzioni terapeutiche proposte. 

Non dunque un caso se molte soluzioni ad esempio digitali introdotte in campo sanitario negli USA non vengono neanche commercializzate nei Paesi UE. C’è un limite strutturale che condiziona tutto il sistema.

Altro importante fattore che caratterizza l’evoluzione del mercato statunitense di settore è l’elevata fluidità di rapporti tra aziende farmaceutiche e centri ricerca e ospedali che ha determinato e determina un accesso più facile agli  studi clinici e un elevato coinvolgimento e consapevolezza dei medici.

In Italia tuttavia c’è interesse da parte della ricerca clinica ad aprirsi a nuove forme di studio: la diffidenza iniziale potrebbe essere legata proprio a una non conoscenza su questi temi, alla poca comprensione del ruolo che il medico potrebbe avere nell’adottare nuove tecnologie a supporto della propria attività clinica.

Proprio una elevata alfabetizzazione di medici e pazienti sull’information technology ha determinato negli USA la crescita esponenziale nell’uso di App che consentono il confronto sulla patient  experience e sulla customer satisfaction, registrando anche l’esperienza del medico curate.   

Si tratta in sintesi della raccolta e dell’utilizzo reale, concreto e quotidiano dei real world data, oggi in Italia reso impossibile da una clamorosa destrutturazione e in qualche caso anche da alcune norme in materia di privacy.

La rapida evoluzione degli strumenti per il monitoraggio da remoto con sensori, wearable, porterà in ogni caso ad una spinta dal punto di vista regolatorio anche da parte di altre aree produttive. Spinta che non va sottovalutata e che anzi deve portare a nuove alleanze tra settori diversi, con l’obiettivo di ottenere un cambio di passo su queste tecnologie, tenendo conto del fattore “distribuzione di valore”. Perché una diagnosi fatta bene, un monitoraggio intelligente, un monitoraggio dei costi abbinato alla scelta del miglior vantaggio per il paziente porta valore a tutti protagonisti.  È una evoluzione inevitabile.

Allora il problema è creare il quadro riferimento idoneo ad accogliere le soluzioni ibride, scegliendo i criteri giusti per misurarne il valore e sottoporlo all’attenzione dei pagatori.

Tenendo conto dei tre fondamentali ambiti d’azione delle VAM - miglioramento delle terapie, personalizzazione della cura, interesse per la comunità sanitaria - dall’esperienza USA emerge che la quality of life e l’esperienza del paziente sono centrali e non potranno mai essere esclusi dalla valutazione di un farmaco.  Altrettanto fondamentale il parametro relativo all’aderenza alla terapia. Il criterio più elevato resta comunque la capacità della terapia di evitare nuove ospedalizzazioni e il ricorso al medico, che rappresentano le voci più costose del sistema e sono numeratori facilmente quantificabili. Ultima ma non ultima, la patient advocacy: terza parte indipendente che negli USA non può non essere ascoltata..

Come trasferire nel Vecchio Continente il frutto delle esperienze maturate Oltreoceano?

L’ambito da cui partire è senz’altro il drug repurposing. L’aspirina - destinata al dolore e poi approdata con successo al cardiovascolare - ne è un esempio ante litteram.  Il Pharma è una delle industrie più arretrate sul digitale e proprio questa arretratezza ha rallentato il ripensamento delle molecole alla luce dei dati. Il numero delle molecole riposizionate è aumentato solo di recente grazie alla creazione negli USA di un repository ad hoc che ha consentito l’accesso ad una serie di scoperte fatte negli anni passati che hanno consentito di testare le molecole alcune molecole testate per patchway genetici nuovi.  

Per quanto riguarda la scelta dell’area in cui iniziare ad operare, la sfida più sostanziosa che le aziende si trovano a dover affrontare sono longevità e invecchiamento, fattori scatenanti di altre malattie. La longevity  è il campo giusto da dove partire, dove tantissima innovazione proveniente da altri ambiti - in una logica di crescente contaminazione - può fare la differenza. Conicità, mobilità, comorbidità richiedono soluzioni personalizzate. È necessario uscire dalla convinzione che la medicina di precisione riguardi solo il paziente oncologico. Nel caso dei pazienti cronici assistiamo alla co-somministrazione di più medicinali, le cui cross-correlazioni sono ancora solo parzialmente note. È in questo ambito che le nuove tecnologie devono aiutare le aziende a formulare risposte adeguate nella gestione incrociata delle diverse patologie che possono essere concomitanti in un paziente un cronico. Storicamente le cure sono state gestite per silos separati, ma già da diversi anni sono stati creati gruppi multidisciplinari nelle Asl. La ricucitura delle informazioni, la moltiplicazione dati generati da singolo paziente e l’utilizzo di algoritmi dell’intelligenza artificiale consentiranno una gestione migliore del cronico.  

Parallelamente va creato un percorso di riconoscimento da parte delle istituzioni, la cui assenza rappresenta certo una grande sfida ma anche una grandissima opportunità. Il processo va strutturato ma gli attori sono tutti mappati:  bisogna partire condividendo l’obiettivo con tutti i protagonisti, sapendo che l’allineamento porta vantaggio a tutta filiera.

Il suggerimento alle aziende: bisogna avere il coraggio di azzardare un piano, di individuare le sfide comuni a tutti e studiare come dimostrarne il valore da mettere sul tavolo nel confronto con le istituzioni, presentando un mondo futuro. Ma non futuribile. Perché è già qui.   

Serve coraggio e serve consapevolezza per fare percorso assieme a chi ha expertise. È necessario aprirsi alla cross-pollination con tutti i settori tenendo conto anche della concreta possibilità di poter entrare  anche nel sistema di finanziamento PNRR come aziende capaci di proporre risposte più efficienti di quelle attuali