Più farmacie, più volontari, più farmaci. E' questo il bilancio della diciottesima giornata della solidarietà in farmacia organizzata sabato 10 febbraio in tutta Italia dalla Fondazione Banco Farmaceutico Onlus sotto l’Alto Patronato della Presidenza della Repubblica, in collaborazione con Aifa, Cdo Opere Sociali, Federfarma, Fofi, Federchimica Assosalute e BFResearch e con il sostegno di Intesa Sanpaolo, Teva, Doc, EG EuroGenerici, Assogenerici, Responsabilità Sociale Rai, Pubblicità Progresso, Avvenire e Mediafriends.
Nata come risposta attiva alla povertà sanitaria sempre più diffusa nel nostro Paese, la Giornata di Raccolta 2018 ha totalizzato un "bottino" di oltre 376mila confezioni di farmaci da banco (375.240 nell’edizione del 2017), grazie all'adesione di 4.176 farmacie (+8,4% rispetto al 2017; +13,4% rispetto al 2016) e alla diponibilità di oltre 18mila volontari (4mila in più dello scorso anno).
I medicinali donati aiuteranno più di 535mila persone assistite da 1.761 enti caritativi convenzionati con la Fondazione Banco Farmaceutico Onlus (+39 enti rispetto ai 1.722 del 2017).
La generosità dei cittadini e dei farmacisti, che in occasione della GRF hanno donato oltre 610mila euro, non saranno però sufficienti a rispondere al fabbisogno di 991.187 farmaci espresso dagli enti assistenziali convenzionati con il Banco Farmaceutico: i farmaci raccolti durante la GRF 2018 serviranno a rispondere al 38% di tale fabbisogno.
La capacità di risposta è comunque cresciuta di 1,8 punti percentuali rispetto all’anno precedente e merita di essere ricordato che oltre ai farmaci della GRF ad arricchire il pool delle donazioni da inizio anno ci sono state anche 13.207 confezioni di medicinali attraverso l’iniziativa Recupero Farmaci Validi e 47.763 confezioni attraverso il sistema delle donazioni aziendali.
Nonostante il leggero calo della media delle donazioni il bilancio resta, dunque, più che positivo: "C'è stata una sostanziale tenuta degli ingenti volumi della GRF 2017 e si è registrato un significativo aumento, da un lato, delle farmacie aderenti, dall’altro, dei volontari - ha sottolineato Sergio Daniotti, presidente della Fondazione Banco Farmaceutico Onlus. - Si tratta di un importante segnale, da parte di un’Italia che, nonostante le difficoltà cerca il modo per contribuire al benessere di tutta la comunità e, in particolare, dei più deboli".
L'attività del Banco Farmaceutico prosegue del resto tutto l'anno attraverso molteplici iniziative: si possono donare i medicinali di cui non si ha più bisogno all'interno delle farmacie dove sono posizionati appositi contenitori facilmente identificabili ma si possono donare farmaci anche da Tablet o Smartphone utilizzando DoLine, la App realizzata in collaborazione con la Fondazione Tim.
Banco Farmaceutico raccoglie infine medicinali tutto l’anno attraverso una collaborazione con oltre 30 aziende farmaceutiche che nel 2017 hanno fornito quasi 933mila confezioni di farmaci per un valore economico pari a 8.299.440,21 euro.
Il focus è su patologie gravi, croniche e complesse come il cancro, l'artrite reumatoide, psoriasi, malattia infiammatoria intestinale, disturbi della crescita e il diabete e l'obiettivo è quello di documentare - parlando a tutti gli stakeholder, pazienti compresi - la rivoluzione terapeutica derivante dall'introduzione dei farmaci biologici e i vantaggi derivanti dall'avvento dei biosimilari, primo tra tutti l'ampliamento della platea dei pazienti eleggibili al trattamento con le terapie innovative.
Titolare dell'operazione verità sui biosimilari è IBGA (International Generic and Biosimilar Medicines Association) che proprio oggi ha lanciato una campagna di informazione in materia basata su uno slide kit che riassume tra l'altro l'esperienza decennale maturata dall'Europa che ha fatto da apripista all'introduzione dei biosimilari nel bagaglio terapeutico contemporaneo.
"Oggi a livello mondiale - sottolinea IGBA disponiamo dei dati di real worl evidence relativi ad oltre 700 milioni di giornate di terapia con i biosimilari e in 10 anni di attività il sistema di monitoraggio dell'UE non ha individuato alcuna differenza nella natura, gravità o la frequenza di eventi avversi tra biosimilari e il loro medicinale di riferimento. L'esperienza clinica accumulata con i farmaci biosimilari può rappresentare il punto di svolta globale per il più ampio accesso ai farmaci destinati al trattamento di condizioni mediche complesse".
Farmacovigilanza sotto i riflettori nelle relazioni presentate dai ricercatori assegnatari delle borse di studio Sif-Assogenerici per il 2016: sei borse, dell’importo di 5mila euro ciascuna, riservate ai Soci SIF, iscritti da almeno tre anni, non strutturati, di età massima 38 anni, che lavorano nell’Università per progetti di ricerca aventi ad oggetti i farmaci equivalenti in Italia.
Tra i lavori presentati (e pubblicati sul sito della SIF), particolare attenzione al tema delle ADR nel lavoro della dottoressa Cristina Scavone (Dipartimento di Medicina Sperimentale - Sezione di Farmacologia L.Donatelli, Università della Campania Luigi Vanvitelli), che sotto la guida della professoressa Annalisa Capuano ha sviluppato una interessante analisi delle segnalazioni di sospetta ADR in Regione Campania dai primi 20 principi attivi a brevetto scaduto a maggior spesa nell’anno 2015.
Dalla "valutazione delle differenze tra i rispettivi originator ed equivalenti in termini di insorgenza di ADR e correlazione tra i fallimenti terapeutici segnalati e il fenomeno del biocreep” contenuta nello studio emerge che i fallimenti terapeutici possono essere correlati a fattori medici (prescrizione inappropriata, sotto-dosaggio, mancata compliance), farmacologici (via di somministrazione inappropriata, interazioni farmacocinetiche e farmacodinamiche, polimorfismi genetici) nonché farmaceutici (prodotti contraffatti o con standard qualitativi insufficienti, errori di produzione, condizioni inappropriate di conservazione). Fenomenologia che sembra però accomunare a pari merito branded ed equivalenti: "Non sono state riscontrate differenze tra branded e rispettivi genenrici per quel che concerne la gravitàdelle ADR segnalate - sottolinea la ricercatrivce nelle conclusioni - mentre per quel che concerne le segnalazioni relative a fallimenti terapeutici, queste sono state primariamente correlate a farmaci branded antipertensivi e ipocolesterolemizzanti".
Segnalazioni delle reazioni avverse da generici sotto la lente anche nell'analisi di Lucia Gozzo (Programma Interdipartimentale di Farmacologia Clinica-Policlinico Vittorio Emauele, Università di Catania), che sotto la guida del professor Filippo Drago ha nalizzato le segnalazioni di reazioni avverse da generici presenti in rete alla delle disposizioni dettate dalla Regione Sicilia in merito alla non sostituibilità dei farmaci brand. I riultati dello studio sembrano sgombrare decisamente il campo dai falsi miti tendenti ad attribuire al farmaco equivalente un maggior numero di reazioni avverse rispetto all'originator.
“Nel 2016, pur rimanendo elevato il numero di ADR totali, le percentuali di segnalazioni da generici sono scese all’8,6%, riavvicinandosi ai valori del 2009-2012 (7,8%) - sottolinea infatti la Gozzo nelle conclusioni. - Questo sembra supportare il fatto che il picco registrato in questi anni sia stato legato alle disposizioni regionali in tema di sostituibilità dei generici e che i richiami alla segnalazione responsabile fatti sia da AIFA che dalla Regione Sicilia siano stati efficaci”.
Ha scelto invece di focalizzarsi sui biosimilari Ylenia Ingrasciotta (Dipartimento di scienze biomediche, Odontoiatriche e delle Immagini Morfologiche e Funzionali - Università di Messina) che ha scelto come tema di studio l'effectiveness e la sicurezza dello switch tra epoetine nella pratica clinica.
Lo studio - condotto nell’ambito del progetto multicentrico “Assessment of Short and Long Term Risk–Benefit Profile of Biologics Through Healthcare Database Network in Italy’’, finanziato dal ministero della Salute - si sviluppa utilizzando i flussi amministrativi di 6 Regioni/ASL italiane (Lazio, Toscana, Umbria, ASL di Caserta, ULSS di Treviso e ASP di Palermo), per una popolazione complessiva di circa 13 milioni assistiti e per un arco di 6 anni. Lo switch è analizzato a tre livelli (orignator-biosimilare; originator due o più epoetine rispetto al farmaco utilizzato inizialmente; switch back, ovvero due o più switch, dei quali almeno uno verso l’epoetina dispensata in fase iniziale), valutando sia l’effectiveness (minore probabilità di ricevere trasfusioni) sia la sicurezza (es. rischio di eventi cardiovascolari maggiori, discrasia ematica o reazioni allergiche gravi) dello switch.
"Lo switch tra epoetine è risultato essere un fenomeno frequente in pratica clinica, indipendentemente dall’indicazione d’uso - conferma la ricercatrice nelle conclusioni. - Il tipo di epoetina (biosimilare o originator) dispensata all’inizio del trattamento sembrava influenzare lo switch, così come le trasfusioni e la severità dell’IRC. I risultati, inoltre, mostrano che non sono emerse particolari criticità correlate allo switch a partire dall’epoetina alfa originator in termini di efficacia e sicurezza".
"Ad oggi - prosegue la Ingrasciotta -esiste ancora nel mondo scientifico qualche perplessità sull’immunogenicità dello switch tra prodotti biologici che può causare perdita di efficacia o tossicità. Tuttavia - conclude - sia le evidenze degli RCT che i dati real-world rassicurano che lo switch dal prodotto di riferimento verso un biosimilare non aumenta l’immunogenicità".
La Commissione per la Farmacopea Europea ha adottato la nuova monografia “Infliximab concentrated solution” (2928), ovvero la prima monografia su un anticorpo monoclonale, che sarà pubblicata nel supplemento 9.6 della Farmacopea Europea (Ph.Eur.) ed entrerà in vigore da gennaio 2019.
A darne notizia è una recente informativa dell'EDQM (European Directorate for the Quality of Medicines & Healthcare), sottolineando che la monografia rappresenta il traguardo del lavoro di definizione degli standards per gli anticorpi monoclonali terapeutici (mAbs) avviato dalla Commissione della Farmacopea Europea nel 2014, con una fase pilota seguita da ampie consultazioni con gli stakeholders.
L'attività relativa all'Infliximab - utilizzato come case study - è stata sviluppata con un approccio "bottom-up", caratterizzato da uno studio di fattibilità partito dall’analisi delle vigenti monografie, esaminando i testi generali applicabili ai mAbs e le aree necessariamente da sviluppare in relazione agli stessi, tenendo in specifico conto delle esigenze di flessibilità determinate dall’eterogeneità del prodotto processo-dipendente (es. glicosilazione, charge profile).
L'esito dei rigorosi test analitici eseguiti dagli esperti della Commissione Ph. Eur. e dagli Official Medicines Control Laboratories e i feedback ricevuti dagli stakeholders hanno dimostrato la possibilità di stabilire requisiti di qualità significativi per un anticorpo monoclonale complesso (150 kDa).
La monografia include i criteri di verifica di performance dei metodi analitici e prevede al contempo la presentazione di procedure-esempio per i complex assays, aprendo anche il campo all’uso di metodi alternativi.
La Commissione per la Farmacopea Europea - conclude l'informativa EDQM - "proseguirà nelle sue attività di definizione di standards per gli anticorpi monoclonali terapeutici, sviluppando approcci di tipo orizzontale atti a definire general requirements e metodologie applicabili a classi/sottoclassi di mAbs". Citati a titolo di esempio gli standards per il TNF-alpha.
Nei primi nove mesi del 2017 il mercato italiano dei farmaci biosimilari ha consolidato la sua crescita: le nove molecole in commercio hanno assorbito il 18% del loro mercato di riferimento - rappresentato da Epoetine, Filgrastim, Somatropina, Follitropina Alfa, Infliximab, Insulina Glargine, Etanercept, e dal neo entrato Rituximab - contro il 13% registrato nel 2016, per un totale di 7,07 milioni di unità di consumo a fronte dei 31,16 milioni di unità dei corrispondenti originator che controllano l’82% dello stesso mercato.
Il dato è contenuto nell’ultimo Report dell’Italian Biosimilars Group che segnala in avanzata vigorosa tutte le quattro molecole biosimilari in commercio da oltre 3 anni: le Epoetine, che tra gennaio e settembre hanno totalizzato il 66 % a volumi e il 58% a valori; il Filgrastim, che detiene il 92% del mercato sia a volumi e a valori; la Somatropina che assorbe il 28% a volumi e il 25% a valori; l’Infliximab che detiene il 54% a volumi e il 51% a valori del proprio mercato di riferimento ().
Ritmi diversi, ma comunque positivi, per la performance delle molecole di più recente registrazione, che risentano chiaramente della temporalità delle gare ospedaliere: il biosimilare dell'etanercept, lanciato nell'ottobre 2016, a circa un anno dalla commercializzazione assorbe il 9% a volumi ed il 6% a valori del mercato nazionale della molecola; l'Insulina Glargine, in commercio da febbraio 2016, quota invece il 13% a volumi e il 12% a valori.
Per quanto riguarda i consumi di biosimilari a livello regionale, l’analisi condotta per le quattro molecole in commercio da almeno tre anni trova al primo posto, a pari merito, la Valle d’Aosta e il Piemonte, con una incidenza dei biosimilari sul mercato di riferimento pari all’82,38%. A Seguire i Trentino (70,46%), la Liguria (68,66%), il Veneto (67,10%).
All’estremo opposto i consumi più bassi si registrano in Calabria (14,00%), Abruzzo e Molise (33,51 entrambe), Marche (39,29%).
“Le aziende aderenti ad Assogenerici chiedono con forza che Governo e Parlamento utilizzino l’ultima chance per dare sostenibilità al sistema di governo della spesa farmaceutica per gli anni a venire”: a dichiararlo è Enrique Häusermann, presidente Assogenerici.
A pochi giorni dal via libera finale alla Legge di Bilancio all’esame della Camera, infatti, nel testo in esame non compaiono ancora misure orientate a quella riforma della governance farmaceutica da tempo attesa e promessa al comparto e da quest’ultimo ritenuta assolutamente necessaria per garantire la sostenibilità del sistema e la sopravvivenza e la crescita delle imprese.
“La situazione che si va delineando ci preoccupa – prosegue Häusermann – perché senza un cambio di passo per il futuro assetto della governance farmaceutica, si mette a rischio la tenuta dell’intero sistema. Tra le misure relative al settore – spiega Häusermann - è indispensabile veder inserite:
• la compensazione, a parità di risorse, tra i tetti di spesa per acquisti diretti e convenzionata, e la compensazione tra i Fondi per i farmaci oncologici e innovativi, così che tutte le risorse stanziate possano essere realmente utilizzate per garantire l’accesso alle cure ai pazienti;
• la semplificazione del meccanismo di riparto del pay back, adottando il criterio delle quote di mercato sulla spesa Ssn, per consentire programmazione e prevedibilità sia alle aziende che al Ssn, lasciando inalterate le attuali regole che non chiamano al ripiano i farmaci fuori brevetto quando lo sfondamento derivi da farmaci innovativi, oncologici innovativi o orfani”.
“I limiti dell’attuale sistema – prosegue il presidente delle aziende produttrici di farmaci equivalenti – sono sotto gli occhi di tutti e hanno dato vita ad un contenzioso diffuso che ha bloccato il meccanismo di recupero degli sforamenti di spesa. Con grande senso di responsabilità le imprese sono oggi impegnate con il Ministero della Salute e l’Aifa con l’obiettivo di chiudere l’attuale fase dei contenziosi amministrativi, consentendo così alle Regioni di avere accesso ai pay back degli anni pregressi”.
“Per questo – conclude Häusermann – rivolgiamo un accorato appello al Parlamento e al Governo perché non vada persa l’ultima chance per guardare al futuro con un sistema di governo della spesa più stabile e prevedibile ed al contempo chiudere definitivamente la difficile pagina del contenzioso sul pay back degli anni passati”
http://www.rifday.it/2017/12/11/lappello-dellindustria-manovra-ultima-chance-nuova-governance/
Nei pazienti in emodialisi lo switch da diverse formulazioni di eritropoietina al biosimilare si è rivelato sicuro e di pari efficacia clinica, garantendo il mantenimento della stabilità dei livelli di emoglobina e ferro e consentendo un risparmio globale del 50,93%.
Il dato emerge da uno studio realizzato da esperti del dipartimento di Nefrologia e dialisi dell'Ospedale GB Grassi e del Dipartimento di farmacia della Asl Roma 3 ("Lo switch a biosimilari dell'eritropoietina alfa in emodialisi - Analisi dell'efficacia, della sicurezza e dei costi di un singolo centro", Massimo Morosetti e altri, http://www.ricercaepratica.it/articoli.php?archivio=yes&vol_id=2629&id=27028).
Lo studio osservazionale - pubblicato nella rivista del'Istituto "Mario Negri" Ricerca&Pratica - ha avuto l'obiettivo di valutare l’efficacia clinica, la sicurezza e l’impatto economico dello switch da diversi tipi di eritropoietina attualmente in commercio al biosimilare dell’ eritropoietina alfa.
A tale scopo sono stati arruolati 87 pazienti (36 maschi, età media 65,2 ± 16,1 anni) di cui sono stati raccolti i dati relativi ai parametri considerati sei mesi prima e sei mesi dopo lo switch: il passaggio al biosimilare- riferiscono gli studiosi - non ha detrminato variazioni significative nei livelli dell’emoglobina, ferritina e saturazione della transferrina e non si è avuto un aumento nell’incidenza di trombosi della fistola artero-venosa e di eventi cardiovascolari rispetto alla popolazione generale di pazienti in dialisi. Infine, il consumo medio mensile di eritropoietina per paziente è rimasto costante a fronte di un dimezzamento della spesa media mensile per il trattamento (la media mensile per paziente è variata da 317,78 euro a 155,91 euro.
Lo switch da originator a biosimilare - concludono i ricercatori - può essere considerato sovrapponibile allo switch tra originatori, a patto che il pazientie sia strettamente monitorato e fermarestando la tracciabilità del farmaco. Giudicato inoltre corretto che la decisione di modificare la terapia con eritropoietina somministrando il biosimilare debba essere una responsabilità del clinico discussa in modo appropriato con il paziente.
Nel primo semestre dell’anno, il mercato dei farmaci biosimilari continua la sua crescita; le sette molecole in commercio hanno assorbito il 21% del loro mercato di riferimento, contro il 13% registrato nel 2016.
Il dato emerge dal Report semestrale realizzato dall'Ufficio Studi dell'Italia Biosimilars Group che segnala in particolare l’avanzata di tutte le quattro molecole in commercio da oltre 3 anni: le Epoetine, che tra gennaio e giugno hanno totalizzato il 65 % a volumi e il 57% a valori; il Filgrastim, che detiene il 92% del mercato a volumi e a valori; la Somatropina che assorbe il 27% a volumi e il 23% a valori; l’Infliximab che detiene il 53% a volumi e il 50% a valori del proprio mercato di riferimento.
Interessanti per l’analisi anche le performance delle molecole di più recente registrazione, che risentano chiaramente della temporalità delle gare ospedaliere: il biosimilare dell'etanercept lanciato nell'ottobre 2016 assorbe dopo 8 mesi di commercializzazione appena il 6% a volumi ed il 4% a valori del mercato nazionale della molecola; l'Insulina Glargine, in commercio da febbraio 2016, quota invece il 15% a volumi e il 12% a valori.
Si conclude oggi la prima edizione della “Summer School on… Metodologia dei Trial Clinici”, realizzata dalla Fondazione GIMBE nell’ambito del programma GIMBE4young, con il sostegno non condizionante di Assogenerici. Obiettivo: preparare le nuove generazioni di ricercatori alle sfide che li attendono per migliorare qualità, etica, rilevanza e integrità della ricerca clinica.
"Nella gerarchia delle evidenze scientifiche – dichiara Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE – i trial clinici, in particolare quelli controllati e randomizzati, costituiscono lo standard di riferimento per valutare l’efficacia degli interventi sanitari. Tuttavia la loro qualità è spesso insoddisfacente, determinando inevitabilmente lo spreco di preziose risorse, oltre alla persistenza di numerose aree grigie".
La conferma giunge dalla comunità scientifica internazionale che, con la campagna Lancet REWARD (Reduce Research Waste And Reward Diligence), punta a ridurre gli sprechi ed aumentare il value della ricerca biomedica: "Pazienti e professionisti – spiega Cartabellotta – vengono raramente coinvolti nella definizione delle priorità, per cui molti trial rispondono a quesiti di ricerca irrilevanti e/o misurano outcome di scarsa rilevanza clinica; senza contare il fatto che oltre la metà dei trial vengono pianificati senza alcun riferimento a evidenze già disponibili, generando inutili duplicazioni".
Altri dati inquietanti giungono dagli studi più recenti: più del 50% dei trial pubblicati presentano rilevanti errori metodologici che ne invalidano i risultati; sino al 50% dei trial non vengono mai pubblicati e molti di quelli pubblicati tendono a sovrastimare i benefici e sottostimare i rischi degli interventi sanitari; oltre il 30% dei trial non riporta dettagliatamente le procedure con cui somministrare gli interventi studiati e spesso i risultati dello studio non vengono interpretati alla luce delle evidenze disponibili.
"Credo sia arrivato il momento di cogliere l’opportunità che deriva dalla crisi proprio riappropriarci dei valori che caratterizzano il nostro sistema sanitario universalistico. - commenta Enrique Häusermann, presidente di Assogenerici . - Per questo, in un momento in cui la sostenibilità del SSN è messa gravemente a rischio anche dall’apparente incapacità del sistema di trovare al proprio interno le giuste risposte, i corsi di alta formazione destinati a studenti e giovani professionisti rappresentano un investimento di valore sul futuro di una SSN rinvigorito e coerente con la mission ad esso affidata».
«Da questa convinzione – prosegue Häusermann – nasce la scelta di Assogenerici di sostenere l’iniziativa della Summer School del programma GIMBE4young: l’auspicio è che questa partnership con la Fondazione GIMBE tracci la rotta verso una maggior consapevolezza dei professionisti di domani sui temi della ricerca farmacologica, dell’accesso al farmaco e sulla corretta allocazione e gestione delle risorse».
Alla Summer School hanno partecipato 30 giovani studenti, medici e farmacisti selezionati con un bando nazionale fra più di 200 candidati, testimonianza indiretta del bisogno formativo sulla metodologia delle sperimentazioni cliniche.
"È per noi motivo di grande soddisfazione – conclude Cartabellotta –avere avuto la possibilità di trasferire a questi giovani le metodologie di pianificazione, conduzione, analisi e reporting dei trial clinici, e permettere loro di sviluppare 4 protocolli di studio: dalla identificazione dei gap di conoscenza, alla elaborazione del quesito di ricerca, alla definizione di tutti i requisiti elementi etici e metodologici richiesti dagli standard internazionali per i trial clinici".
L’impegno della Fondazione GIMBE per indirizzare le nuove generazioni di professionisti verso un modello di pratica clinica basata sulle evidenze, centrata sul paziente, consapevole dei costi e ad elevato value continua con numerose altre iniziative: www.gimbe4young.it
E' allo starter la seconda edizione di "Io equivalgo”, la campagna di informazione sui farmaci equivalenti promossa da Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato, con il patrocinio dell’Agenzia Italiana del Farmaco e con il sostegno non condizionato di Assogenerici, che toccherà 10 città italiane.
Il primo appuntamento è previsto l’8 settembre da Chiavari (Genova). La campagna proseguirà con le tappe in programma ad Aosta (11/9), Pisa (14/9), Bolzano (16/9), Varese (23/9), Bologna (26/9), Latina (1 ottobre), Policoro (MT - (8/10)) e Cagliari (14/10), per concludersi a Lamezia il 21 ottobre.
L’iniziativa, che ha preso il via nel 2016, ha raggiunto nel corso della prima edizione 12 città coin il coinvolgimento diretto nel corso delle varie tappe di 15mila cittadini. Sono stati invece 90mila gli utenti che hanno visitato il sito internet dedicato www.ioequivalgo.it; 4600 i like alla pagina Facebook; 165mila le visualizzazioni del video spot su Youtube e Facebook; 5670 i download della App dedicata che fornisce e informazioni sul prezzo dell’equivalente corrispondente al farmaco di marca.
Quest'anno la campagna si rinnova con un’estensione alle comunità straniere, grazie alla traduzione dei materiali di informazione in sette lingue (oltre all’italiano, inglese, arabo, francese, spagnolo, bengalese, tigrino, cinese).
Questi gli obiettivi di #IoEquivalgo:
· favorire la conoscenza dei farmaci “generici”;
· informare i cittadini e fornire loro un’opportunità di scelta consapevole e informata, a vantaggio della sostenibilità economica delle famiglie;
· promuovere ulteriormente la trasparenza sulle politiche dei prezzi;
· segnalare come il ricorso all'equivalente rappresenti uno strumento fondamentale per la riduzione della spesa farmaceutica italiana e quindi per la sostenibilità del SSN;
· ridurre gli sprechi da mancata aderenza terapeutica, dovuta all'interruzione delle cure per difficoltà economiche, garantendo così un più alto livello di salute della popolazione.
Alla campagna collaborano:
AIFA, AMSI (Associazione Medici di origine Straniera in Italia), ANP CIA (Associazione nazionale Pensionati della Confederazione Italiana agricoltori), AUSER, COMAI (la Comunità del Mondo Arabo in Italia), FEDERFARMA, FIMMG, FOFI, INMP (Istituto nazionale salute, migrazione e povertà), IPASVI, SIFO, SIGG (Società Italiana Gerontologia e Geriatria), SIMG, SPI – CGIL, UMEM (Unione Medica Euro-Mediterranea).
"Tutti i medicinali, quindi anche gli equivalenti, possono essere autorizzati solo ed esclusivamente se il contenuto di principio attivo è compreso nell'intervallo 95-105 per cento del quantitativo nominale indicato in etichetta" A precisarlo è l'Agenzia Italiana del Farmaco, replicando alle affermazioni relative ai farmaci equivalenti contenute in un intervento pubblicato il primo agosto all'interno della rubrica di Rsalute "Il medico risponde".
"Il requisito di non superare una "tolleranza" del 20 per cento, cifra di cui spesso si parla - prosegue la nota AIFA apparsa oggi sul quotidiano - , non si riferisce né al contenuto in principio attivo del medicinale, né alla concentrazione nel plasma del principio attivo (biodisponibilità), bensì al concetto statistico-matematico di intervallo di confidenza della stima di bioequivalenza".
"L'AIFA - si legge ancora - adotta gli stessi criteri di valutazione sia per quanto riguarda i cosiddetti medicinali "griffati" sia per quanto riguarda gli equivalenti: i controlli riguardano infatti da un lato l'ispezione alle officine di produzione dei principi attivi e del medicinale finito per valutarne la conformità alle Good Manufacturing Practices e dall'altro il rigoroso controllo della documentazione contenuta nel dossier di registrazione, obbligatorio per tutti i prodotti. L'Agenzia è impegnata a promuovere una cultura del farmaco incentrata sul potenziamento delle conoscenze di tutti i cittadini; per questo confidiamo che l'informazione scientifica sia affrontata in modo autorevole e chiaro".
Sarebbe stato bello - e climaticamente più compatibile - poter dedicare questa riflessione prima della pausa estiva alla condivisione di una “buona” notizia, ad esempio la risoluzione di qualcuno dei rebus ancora aperti con l’Agenzia Italiana del Farmaco.
Le cronache politico-economiche di questi roventi giorni ci costringono invece a prendere atto dei festeggiamenti governativi in merito all’approvazione della prima Legge annuale per il Mercato e la Concorrenza, che ha tagliato il traguardo dopo il calvario di un iter normativo protrattosi per oltre due anni e mezzo e che ha lasciato con l’amaro in bocca “mezza” filiera farmaceutica.
L’approvazione della nuova legge rappresenta “un importante segnale di serietà per il Paese”, ha affermato il ministro per lo Sviluppo Economico, Carlo Calenda, spiegando che essa ha come obiettivo quello di “stimolare la crescita e la produttività e consentire ai consumatori di avere accesso a beni e servizi a minor costo”.
Dispiace allora dover prendere atto - e purtroppo condividere - le motivazioni per cui il presidente della Commissione Industria del Senato, Massimo Muchetti (Pd), non ha partecipato al voto di fiducia: “si è evitato di intervenire sul patent linkage dei farmaci per risparmiare spesa pubblica sanitaria; i farmaci di fascia C siano rimasti preclusi alle parafarmacie senza varare altri provvedimenti; si è stabilito un tetto antitrust all’intervento del capitale finanziario nella proprietà delle farmacie così alto da non costituire in realtà alcun limite e da mettere il Servizio sanitario nazionale di fronte a una specie di potenziale monopolio di fatto….”, ha detto testualmente nel suo intervento in dissenso in merito ai contenuti del provvedimento.
E ha concluso denunciando le convergenze bipartisan che su alcune rilevanti questioni “hanno fatto della legge sulla concorrenza uno strumento per favorire o salvaguardare alcune grandi aziende”.
Assogenerici ha più volte alzato la voce – trovando peraltro il pieno appoggio dell’Antitrust - per reclamare l’abolizione delpatent linkage, cioè l'impossibilità di classificare in fascia A un generico prima della scadenza del brevetto del farmaco di marca corrispondente: un meccanismo che non esiste in nessun altro Paese del’UE e che ha il solo effetto di rallentare l’arrivo degli equivalenti sul mercato determinando un mancato risparmio per il Ssn laddove quel brevetto fosse nullo o, peggio, falso.
Allo stesso modo l’Associazione ha più volte stigmatizzato le norme relative all’ingresso delle società di capitali nella proprietà delle farmacie e il fatto che l’assenza di un tetto legato agli effettivi volumi di vendita apre la porta alla creazione di situazioni oligopolistiche, in totale antitesi con l’apparentemente auspicato effetto pro-concorrenziale.
A nulla sono valse tutte le analisi e le spiegazioni fornite a chi col proprio voto poteva e doveva favorire nel nostro - come in altri settori - la realizzazione dell’obiettivo proclamato dallo Sviluppo: “consentire ai consumatori di avere accesso a beni e servizi a minor costo”.
Andiamo in ferie sapendo che al ritorno ci sarà nuovamente da rimboccarsi le maniche sperando di portare a casa almeno i frutti dell’intenso dialogo avviato con AIFA in merito alla semplificazione delle fasi registrative e negoziali nazionali dei farmaci generici. Il percorso è ancora lungo, ma l’Agenzia si è assunta l’impegno di lavorare entro settembre nell’ottica di una semplificazione procedurale che – anche alla luce delle ultime novità legislative – non è ormai più rinviabile.
Enrique Häusermann
presidente Assogenerici
Sono 2.400 i medici di Medicina Generale che hanno accolto la sfida proposta dalla Regione con il progetto di presa in carico dei pazienti cronici lanciato a gennaio con la delibera che ha introdotto un nuovo modello di presa in carico dei 3 milioni e mezzo di pazienti lombardi affetti da cronicità, basato costruzione di percorsi strutturati per patologia e per livelli di complessità e fragilità, prevedendo tariffe ad hoc per la presa in carico di 62 patologie croniche.
A dare notizia in un comunicato di quello che definisce un “risultato eccezionale” è stato il vice segretario nazionale della Fimmg, Fiorenzo Corti, sottolineando che il percorso di gestione della conicità rappresenta un’opportunità in particolare per i molti colleghi, soprattutto giovani e da poco operativi sul territorio “per i quali poter disporre di un collaboratore di studio o di un infermiere è un miraggio”.
“Grazie alla cooperativa di cui sono soci - ha spiegato Corti - questi colleghi avranno a disposizione personale di supporto e potranno offrire un servizio di maggior qualità ai propri assistiti”. “Il progetto - ha proseguito - non è altro che il prosieguo della sperimentazione CReG iniziata nel 2012 che ha visto il coinvolgimento dapprima di circa 500 medici fino ad arrivare a circa 800 nel 2017 con la presa in carico di circa 200mila pazienti cronici. Un segmento di questi pazienti, circa 60mila, sono stati seguiti da due cooperative (IML, Iniziativa Medica Lombarda e CMMC, Cooperativa Medici Milano centro) operanti nelle aree di Milano e Bergamo e il progetto denominato “Buongiono CReG” ha ricevuto un riconoscimento ufficiale dalla Commissione Europea, diventando sito di riferimento anche per altri paesi dell'Unione”.
A motivare l’apprezzamento sono i risultati conseguiti dalla sperimentazione CReG: “I pazienti che hanno aderito al percorso – riassume ancora il comunicato - hanno subito un numero inferiore, statisticamente significativo, di ricoveri ospedalieri e di accessi al Pronto Soccorso rispetto ai pazienti curati tradizionalmente: un risultato assolutamente importante che va sottolineato”.
Risultati che si spera di estendere e potenziare con il nuovo progetto grazie al quale i pazienti affetti da patologie croniche si vedranno proporre dal proprio medico un PAI (piano assistenziale individuale) che consisterà nella prescrizione di farmaci, di esami di laboratorio, visite specialistiche o prestazioni di diagnostica strumentale. Nella realizzazione del percorso il medico associato ad una cooperativa sarà supportato, nel trattamento della patologia cronica, dal centro servizi della medesima, che provvederà a prenotare visite specialistiche ed esami previsti dal Piano Assistenziale Individuale, a controllare che questi siano eseguiti.
“La realizzazione del programma - ha spiegato ancora Corti - dovrebbe anche stimolare, come già accaduto con i CReG, la nascita di nuovi ambulatori (ad esempio per le prestazioni di telemedicina (elettrocardiogramma, spirometria, retinografia, finalizzate per evitare spostamenti inutili a poliambulatori e a ospedali) e i pazienti trattati passerebbero da 200mila a un milionepassiamo da 800 a 2400 medici e da 200.000 a un milione di pazienti trattati”. “Questa esperienza – ha concluso - è osservata con interesse da molte altre realtà territoriali, dentro e fuori i confini nazionali. E va infine sottolineato che l’Atto di indirizzo appena licenziato dal Comitato di settore Regioni Sanità per il rinnovo dell’accordo collettivo nazionale insiste molto nell’indicare proprio la gestione delle patologie croniche come uno dei punti più qualificanti del contratto della Medicna generale”.
“Per contenere il fenomeno della resistenza agli antibiotici dobbiamo combattere contemporaneamente su tre fronti: l'uomo, l'animale e l’ambiente. Questo è l’obiettivo che stiamo cercando di realizzare in Europa tramite Piano d'azione contro la resistenza antimicrobica, da poco lanciato e la nuova relazione che presentiamo conferma il legame il legame diretto tra il consumo di antibiotici e la resistenza agli antibiotici, sia negli esseri umani che negli animali che producono cibo”. Così Vytenis Andriukaitis, commissario Ue per la salute e la sicurezza alimentare, conferma il grido d’allarme e la nuova lancia spezzata dalle Autorità europee a favore dell’approccio “One-health” contenuto nel nuovo Rapporto congiunto (JIACRA Report) appena pubblicato da Efsa, Ema ed Ecdc.
Il nuovo documento - prodotto dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare, dall'Agenzia europea dei medicinali e dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie utilizzando i dati ottenuti dalle reti di sorveglianza comunitarie Ue per il periodo 2013-2015 - conferma tutte le indicazioni emerse dal primo report pubblicato nel 2015, fornendo dati di elevata qualità, idonei ad analisi sofisticate.
In linea generale emerge che l’uso complessivo degli antibiotici è più elevato negli animali da allevamento che nell'uomo, ma la situazione varia per Pese e per tipo di antibiotico utilizzato. In particolare, la classe delle polimixine - categoria di antibiotici particolarmente efficaci contro i microorganismi Gram-negativi, che include la colistina - risulta ampiamente utilizzata nel settore veterinario ma viene anche sempre più utilizzata in ospedale per trattare le infezioni multiresistenti.
Tra gli antibiotici più spesso utilizzati nell’uomo che negli animali figurano cefalosporine e quinoloni di terza e quarta generazione, considerati particolarmente importanti per la salute umana: il report sottolinea in proposito che la resistenza ai quinoloni, utilizzati per trattare la salmonellosi e la campilobatteriosi negli esseri umani, è associata all’uso degli stessi antibiotici negli animali. Gli esperti delle tre agenzie raccomandano comunque ulteriori studi per approfondire ulteriormente le influenze reciproche tra uso di antibiotici e sviluppo delle resistenze.
Ad accendere i riflettori sugli antibiotici e sulle radicate consuetudini associate al loro uso è anche il British Medical Journal che dà conto delle conclusioni cui sono giunti studiosi della Brighton and Sussex Medical School, sancendo un plateale dietro front sulla durata ottimale della terapia e sulla necessità di finire il ciclo di somministrazione standard già avviato.
Secondo gli esperti britannici non ci sarebbero evidenze scientifiche a supporto della convinzione che sia comunque necessario concludere la terapia anche se i sintomi regrediscono: anche il futuro delle terapie antibiotiche - dicono - è quello di ricette personalizzate, da tarare sul paziente e sull’infezione da curare.
Si intitola "Biosimilars for Oncologists: what you need to know" la convention organizzata dal Gruppo Biosimilari di Medicines for Europe nell'ambito dell'ESMO 2017, il Congresso annuale della Società europea di Oncologia medica in programma a Madrid dall'8 al 12 settembre.
Il meeting - un simposio satellite gratuito, aperto a tutti i partecipanti al congresso e in programma nella prima giornata dei lavori - punta a fornire agli specialisti l'opportunità di familiarizzare con i farmaci biosimilari, destinati ad entrare in pianta stabile nell'armamentario terapeutico dell'oncologia, rappresentando una opzione di trattamento di qualità, capace di ampliare l'accesso dei pazienti alle terapie innovative garantendo allo stesso tempo la sostenibilità dei sistemi sanitari.
Tra i relatori figura anche Elena Wolff-Holz, responsabile del gruppo di lavoro dell'Ema sui biosimilari, che affronterà tra gli altri il tema della biosimilarità, il ruolo dei test clinici nello sviluppo dei farmaci biosimilari e gli aspetti farmaco-economici connessi all'uso di questi prodotti, mentre l'estrapolazione delle indicazioni e l'intercambiabilità dei biosimilari in oncologia saranno oggetto della tavola rotonda che avrà luoogo nel corso dei lavori.
Ovunque finisca per essere collocata l’Ema, per le aziende di Big Pharma lo spauracchio Brexit si declina oggi in due priorità fondamentali: la necessità di garantire un trattamento speciale ai medicinali durante i negoziati che tracceranno il percorso della fuoriuscita britannica dall’Ue e quella di prevedere - non si sa come - un periodo di transizione più lungo, per evitare effetti negativi sulla salute pubblica in tutta Europa.
E’ su queste due esigenze impellenti che si concentra la prima azione concreta della coalizione (Brexit Task Force) che vede riunite le otto principali associazioni dei produttori farmaceutici europei e britannici, che in una lettera datata 13 luglio hanno messo nero su bianco il proprio appello in una lettera indirizzata a Michel Barnier, il principale negoziatore della Commissione Ue e David Davis, segretario di Stato inglese per l'uscita dall'Unione europea.
A farsi portavoce delle aree di interesse comune nel processo Brexit sono Hubertus Cranz, DG dell’AESGP (associazione europea delle aziende dell’automedicazione); Nathalie Moll, Dg dell’EFPIA (l’associazione delle farmaceutiche europee); il segretario generale di EuropaBio (industria biotecnologica europea), John Brennan; il DG di Medicines for Europe (equivalenti e biosimilari), Adrian van den Hooven e i loro rispettivi corrispondenti britannici: Mike Thompson per l’ABPI, Warwick Smith per la BGMA (generici), Steve Bates poer la BIA (biotech) e John Smith per la PAGB, che rappresenta l'industria OTC nel Regno Unito.
Il messaggio riprende il dialogo a distanza dopo la lettera pubblicata all’inizio del mese sul Financial Times con cui il segretario di Stato britannico per la salute, Jeremy Hunt, e il segretario di Stato per gli Affari, Greg Clark, hanno cercato di rassicurare l’industria farmaceutica sul fatto che i problemi con la Brexit saranno ridotti al minimo, individuando tre obiettivi aurei: “i pazienti non dovranno essere svantaggiati; le aziende che innovano dovranno poter immettere i loro prodotti sul mercato il più rapidamente e semplicemente possibile; il Regno Unito dovrà continuare a svolgere un ruolo chiave nella salute pubblica”.
Un "gancio" che gli otto firmatari non esitano a sfruttare: “La nostra industria è altamente integrata in tutta Europa e regolata dal diritto comunitario attraverso un sofisticato sistema di regolamenti giuridici e normativi condivisi tra le istituzioni dell’UE, gli Stati membri e le autorità nazionali competenti – scrivono. - La lettera di Clark e Hunt rappresenta un'occasione per garantire la cooperazione sul regolatorio farmaceutico nell'ambito dei negoziati sulla Brexit. Vorremmo esplorare questa possibilità di mantenere stretti legami tra l'UE e il Regno Unito e avviare immediatamente il confronto, perché è importante avere il maggior numero possibile di certezze possibile, il più presto possibile, per consentire all'industria farmaceutica e delle Life Sciences di passare senza problemi al nuovo assetto, garantendo così che non vi siano problemi d’accesso ai farmaci per i pazienti”.
Secondo le imprese, una transizione ordinata ad dopo Brexit sarà cruciale per continuare a garantire la fornitura di medicinali nel Regno Unito e nell’UE: "Nel caso di un ritiro irregolare c’è il rischio che tutte le merci da trasferire tra il Regno Unito e l’UE possano essere bloccate dai controlli alle frontiere o essere soggette a forti richieste di riesame - sottolinea la lettera - e ciò comporterebbe una grave perturbazione delle catene di approvvigionamento della maggior parte delle imprese, con a potenziali interruzioni di approvvigionamento di medicinali salvavita". In quest’ottica risulterebbe cruciale “mantenere le AIC precedentemente concesse sia nel Regno Unito che nell'UE, garantire la continua cooperazione tra le autorità nazionali competenti e gli organismi europei e non pregiudicare la ricerca, lo sviluppo, la produzione e la fornitura di medicinali in tutta Europa, anche per studi clinici”.
Sotto la lente anche i rischi legati alla perdita delle competenze dell’Agenzia regolatoria britannica MHRA che attualmente contribuisce i modo significativo alle attività comunitarie sul fronte della sorveglianza e la supervisione della sicurezza dei prodotti.
Alla luce di tante criticità, la richiesta per i negoziatori è di “poter disporre di un periodo di attuazione che rifletta adeguatamente il tempo necessario per le aziende farmaceutiche e biotecnologiche di passare ad un nuovo assetto”. “Questo - concludono gli otto vertici del pharma comunitario e britannico - lascerebbe alle aziende di disporre del tempo necessario tempi necessari per evitare qualsiasi conseguenza indesiderata sulla disponibilità dei medicinali”.
Il regolamento europeo sulla Privacy diventerà definitivamente applicabile in via diretta in tutti i Paesi UE a partire dal 25 maggio 2018.
In attesa che anche in Italia vengano definiti criteri e requisiti comuni per la conformità delle certificazioni in materia il Garante per la protezione dei dati personali (ovvero l’Autorità indipendente che ha il compito di garantire l’attuazione della normativa italiana in materia di protezione dei dati personali e rispetto della vita privata) e Accredia (l’Ente unico nazionale di accreditamento incaricato dal Governo di attestare l'attività di laboratori e organismi caddetti alle verifiche di conformità) prodotti, servizi e professionisti agli standard di riferimento, facilitandone la circolazione a livello internazionale hanno voluto richiamare l'attenzione sul fatto che le eventuali certificazioni a vario titolo rilasciate in Italia rappresentano un "atto di diligenza" ma non possono definirsi conformi ai contenuti del Regolamento.
"Il recente regolamento europeo in materia di protezione dei dati personali (Regolamento UE 2016/679) prevede e incoraggia l'istituzione di meccanismi per la certificazione della protezione dei dati personali, nonché di sigilli e marchi, allo scopo di dimostrare la conformità dei trattamenti effettuati dai titolari e dai responsabili del trattamento - sottolinea una nota dell'Autority. - In tale contesto, i soggetti legittimati al rilascio della certificazione sono l’Autorità di controllo competente (per l’Italia, il Garante per la protezione dei dati personali) oppure gli organismi di certificazione. Tali organismi, in base al regolamento, possono essere accreditati dall’Autorità di controllo competente o dall'Organismo nazionale di accreditamento (per l’Italia, ACCREDIA), o da entrambi (cfr. art. 43, paragrafo 1, del regolamento), secondo i requisiti previsti dalla norma UNI CEI EN ISO/IEC 17065:2012 (che stabilisce i requisiti per gli organismi di certificazione di prodotti, processi e servizi) integrata da “requisiti aggiuntivi” che devono essere stabiliti dall’Autorità di controllo competente".
"Al riguardo - prosegue il Garante - è opportuno evidenziare che in Italia non è ancora stato stabilito dal Legislatore nazionale a chi spetti il ruolo di ente di accreditamento ai fini del regolamento, né sono stati definiti i “requisiti aggiuntivi” per l’accreditamento degli organismi di certificazione (cfr. art. 43, paragrafo 1, lettera b)) e i criteri di certificazione (cfr. art. 42 paragrafo 5)".
Il Garante - prosegue il comuncato - sta lavorando congiuntamente alle altre Autorità Ue per la protezione dei dati allo scopo di delineare, entro l’anno, un quadro comune di criteri per accreditare gli organismi di certificazione e per la certificazione dei trattamenti nel rispetto del regolamento. Allo stesso tempo è in corso la collaborazione con ACCREDIA poter riuscire a garantire l’avvio delle attività di accreditamento e certificazione nel rispetto delle scadenze previste dal regolamento, che diventerà definitivamente applicabile in via diretta in tutti i Paesi UE a partire dal 25 maggio 2018.
ACCREDIA e il Garante per la protezione dei dati personali ritengono però necessario sottolineare - al fine di indirizzare correttamente le attività svolte dai soggetti a vario titolo interessati in questo ambito - "che al momento le certificazioni di persone, nonché quelle emesse in materia di privacy o data protection eventualmente rilasciate in Italia, sebbene possano costituire una garanzia e atto di diligenza verso le parti interessate dell’adozione volontaria di un sistema di analisi e controllo dei principi e delle norme di riferimento, a legislazione vigente non possono definirsi “conformi agli artt. 42 e 43 del regolamento 2016/679”, poiché devono ancora essere determinati i “requisiti aggiuntivi” ai fini dell’accreditamento degli organismi di certificazione e i criteri specifici di certificazione".
Una Regione su due prevede una regolamentazione relativa all’attività di valutazione delle tecnologie sanitarie (HTA). Nel biennio 2014-2015 sono stati prodotti 102 report Regionali di HTA, di cui il 44% dei casi relativo ai dispositivi medici e il 22% ai farmaci.
Sono i principali risultati dell’indagine conoscitiva diretta a rilevare lo “stato dell’arte” delle attività di Health Technology Assessment (HTA) nelle Regioni italiane condotta da AGENAS, in collaborazione con la SIHTA (Società Italiana di Health Technology Assessment), a distanza di circa 10 anni dal Piano Sanitario Nazionale 2006-2008 che ne riconosceva il ruolo strategico nel supportare i diversi livelli decisionali del Servizio sanitario nazionale.
Nello specifico, dalla survey, cui hanno aderito 17 Regioni su 21, è emerso che 11 Regioni hanno adottato leggi e regolamenti in materia: Basilicata, Lazio, Liguria, Lombardia, Piemonte, Puglia, Sicilia, Toscana, Veneto, Emilia Romagna, Abruzzo. Non hanno legiferato: Valle D’Aosta, Marche, Umbria e Trento, Bolzano e Calabria, pur svolgendo attività di valutazione delle tecnologie sanitarie. Infine: Campania, Molise, Friuli Venezia Giulia e Sardegna non hanno risposto al questionario.
L’indagine ha, inoltre, messo in evidenza che solo 5 Regioni: Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Puglia e Sicilia, tutte appartenenti al gruppo delle realtà che hanno regolamentato le attività di HTA, hanno adottato disposizioni relative al conflitto di interesse. Mentre riguardo all’impatto regionale delle valutazioni di HTA, soltanto in Veneto i risultati dei report sono “sempre vincolanti”. (http://www.agenas.it/images/agenas/In%20primo%20piano/HTA/Indagine_conoscitiva_su_HTA_.pdf ).
“I risultati dell’indagine conoscitiva evidenziano uno scenario variegato che testimonia lo sviluppo delle attività di Health Technology Assessment in Italia, seppure in forme eterogenee - dichiara Marina Cerbo, Dirigente dell’Area Innovazione, Sperimentazione e Sviluppo di AGENAS. -Questo patrimonio informativo conforta la scelta del Legislatore di istituire una Cabina di Regia presso il Ministero della Salute (L. 23 dicembre 2014 n. 190) per assicurare uniformità nella governance del settore, in particolare dei dispositivi medici. Inoltre, costituisce la nuova base per un impianto del Programma nazionale di HTA che tenga conto di quanto realizzato sinora e delle realtà più avanzate e promuova il progresso delle altre, ponendo al centro l’interesse del cittadino in quanto paziente e contribuente ad accedere alle tecnologie sanitarie di maggior valore rispetto ai propri bisogni”.
“L’HTA è l’unica risposta strutturale in grado di garantire innovazione e sostenibilità al Servizio sanitario nazionale assicurando, allo stesso tempo, equo accesso alle tecnologie sanitarie di valore per i cittadini”- sottolinea invece Americo Cicchetti, Presidente della SIHTA. - L’indagine mostra come molta strada sia stata fatta dalle Regioni in termini di produzione di report, ma che c’è ancora molto da fare in termini di qualità delle valutazioni e per garantire un impatto sistematico degli esiti delle valutazioni stesse sulle decisioni a livello regionale e aziendale. Il nuovo Programma nazionale di HTA promette di mettere a sistema tutte le competenze a livello nazionale, regionale e aziendale sviluppate in questi anni e garantire un reale impatto dell’HTA sulle decisioni politiche e manageriali nel sistema. Importante è fare presto e renderlo operativo senza indugi”.
Solo il 9% dei medici statunitensi è pronto ad accettare senza riserve la proposta della FDA di una denominanazione non proprietaria per tutti i prodotti biologici: originator o biosimilari che siano. Viceversa ben il 60% dei prescrittori preferirebbe veder abbinato al nome scientifico non proprietario anche il nome del produttore.
A dimostrare che l'assorbimento dei biosimilari sul mercato a stelle striscie sarà fortemente condizionatodalle scelte regolatori in tema di naming ed etichettatura sono i risultati di uno studio appena pubblicato dalla Alliance for Safe Biologic Medicines (ASBM) che in un sondaggio ha interpellato un totale di 800 medici prescrittori di biologici sulla guideline per il non-proprietary biologicals naming dell'agenzia regolatoria statunitense, pubblicata nel gennaio di quest'anno.
Secondo la proposta della FDA dovrebbe essere assegnato a tutti i biologi originari, biologici correlati e biosimilari un nome non proprietario (core name) accompagnato da un suffisso distinto e casuale, composto di quattro lettere minuscole e privo di significato stabilito dalla FDA, senza il nome del produttore.
In uno studio separato, l'ASBM aveva in precedenza invitato 9.813 prescrittori ad esprimersi sull'etichettatura dei biologi, chiedendo loro quali informazioni avrebbero voluto vedere inserite nell'etichetta per essere aiutati a scegliere tra più biosimilari e i loro prodotti di riferimento.
Su una scala di 1-5, dove 1 corrispone a "per nulla importante" e 5 a "molto importante", il 90% dei medici in discussione ha attribuito il massimo punteggio alla presenza nell'etichetta dell'indicazione che il prodotto è un biosimilare; il 79% degli intervistati ha attribuito un punteggio 4-5 all'inclusione nell'etichetta di indicazioni sulla intercambiabilità del biosimilare; il 75% degli intervistati, infine, ha attribuito un punteggio 4-5 all'inclusione dei relativi dati post-maketing.
Non sono emerse differenziazioni particolari in rapporto alle diverse Specialità di appartenenza degli intervistati, ma le richieste di maggiore inclusione di informazioni nell'etichetta sono state invariabilmente avanzate da professionisti con una maggiore pratica clinica sulle spalle. E va comunque sottolineato che i 35% degli intervistati ha dichiarato di ritenere fondamentale in ogni caso la facoltà di dichiarare la non sostituibilità del prodotto prescritto.
Estrapolazione delle indicazioni, ma anche etichettatura, denominazione e studi post marketing nel mirino delle Società scientifiche che si sono espresse sul progetto di orientamento della Food and Drug Administration (FDA) sull'intercambiabilità dei biosimilari con i loro biologici di riferimento.
La bozza - pubblicata per la prima volta a gennaio e sottoposta a consultazione fino a maggio – ha raccolto un totale di 53 commenti tra cui figurano quelli dell'American College of Reumatology (ACR), dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO), dell’American Gastroenterological Association (AGA), dell’American Academy of Dermatology Association (AADA) e dell’American Association of Autoimmune Related Diseases (AARDA), tra gli altri.
Sul fronte dell'estrapolazione le principali preoccupazioni sollevate hanno riguardato la fisiopatologia dei farmaci e le indicazioni pediatriche; preoccupazioni sono state espresse anche sul rischio di sostituzioni inadeguate nei casi in cui un farmaco ritenuto intercambiabile non deovesse ottenere l'approvazione per tutte le indicazioni riconosciute al farmaco originatore.
Tra le richieste rivolte alla FDA quella di utilizzare negli studi di commutazione solo prodotti di riferimento autorizzati negli Stati Uniti negli studi di commutazione.
Perplessità sono state espresse anche sull'ipotesi di considerare intercambiabile con il proedotto di riferimento quaslsiasi bioismilare e sull'opportunità di considerare anche i pazienti affetti d malattie autoimmuni, per la complessità delle patologie considerate.
Dalle associazioni mediche sono arrivate anche rischieste specifiche sull'etichettatura (prevedere nomi distinti per i diversi biosimilari) ed è stata inoltre richiesta una guida specifica per i farmacist,i per evitare il rischio di sostituzioni involontarie di un biosimilare non intercambiabile.
Avanzata infine la richiesta di studi post-marketing osservazionali per garantire la sicurezza e l'efficienza longitudinali per tutte le popolazioni di pazienti trattate con questi prodotti.