Avanza a grandi passi verso l’adozione definitiva il testo delle misure destinate a rafforzare la competitività dei produttori di generici e biosimilari dell’UE.
Gli ambasciatori degli Stati membri riuniti oggi nel Coreper - il Comitato dei rappresentanti permanenti dei governi degli Stati membri dell'Unione europea - hanno infatti approvato il testo del Regolamento che introduce una deroga alla protezione accordata a un medicinale originale da un certificato protettivo complementare (SPC) a fini di esportazione e stoccaggio nella versione concordata dal Trilogo il 14 febbraio scorso.
Grazie alla deroga, i produttori di generici e biosimilari con sede nell'UE avranno il diritto di produrre una versione generica o biosimilare di un medicinale protetto da SPC durante il periodo di vigenza dello stesso allo scopo di esportare in un mercato extra-UE in cui la protezione sia già scaduta o non sia mai esistita e di creare uno stock che sarà immesso sul mercato UE immediatamente dopo la scadenza del SPC. Saranno così rimossi gli svantaggi competitivi incontrati dai produttori di generici e biosimilari con sede nell'UE nei confronti dei produttori stabiliti al di fuori dell'UE nei mercati globali.
L'eccezione opererà solo nei casi in cui:
Per i primi tre anni dall'entrata in vigore del Regolamento la disciplina si applicherà solo agli SPC richiesti a partire dalla medesima data. Successivamente si estenderà anche agli SPC richiesti prima dell'entrata in vigore del Regolamento, ma che sono diventati efficaci solo successivamente.
Il testo sarà ora sottoposto al controllo giuridico e linguistico, per essere poi presentato al Parlamento europeo per l'adozione definitiva.
Nei primi tre anni di entrata in vigore della normativa la deroga potrà essere richiesta solo per i nuovi SPC, ovvero quelli richiesti a partire dalla data di entrata in vigore del Regolamento, ovvero dal 2022; successivamente potrà essere estesa anche a quelli di più vecchia data ma divenuti efficaci dopo l'entrata in vigore dello stesso. .
In una risoluzione adottata mercoledì, il Parlamento europeo ha chiesto agli Stati membri di rafforzare la ricerca sulla cannabis medica e sfruttare il potenziale dei farmaci a base di cannabis.
Nella risoluzione non legislativa, si invitano la Commissione e le autorità nazionali ad operare una chiara distinzione tra l’uso medico e gli altri usi della cannabis e ad affrontare gli ostacoli normativi, finanziari e culturali che gravano sulla ricerca scientifica, finanziandola adeguatamente e promuovendo una maggiore conoscenza della cannabis medica tra i professionisti del settore.
I deputati chiedono agli Stati membri di permettere ai medici di usare il loro giudizio professionale nel prescrivere farmaci a base di cannabis che - ove efficaci - devono essere normalmente coperti dai regimi di assicurazione sanitaria, alla pari degli altri medicinali.
Tra i vantaggi derivanti da una regolamentazione dei farmaci a base di cannabis - si legge in una nota del PE - si avrebbero entrate supplementari per le autorità pubbliche, e garantirebbe la qualità e un'etichettatura accurata e si limiterebbe la vendita della sostanza al mercato nero ostacolandone l'uso da parte dei minori.
Tra i vantaggio in campo sanitario della cannabis o dei cannabinoidi individuati dal PE figurano, tra l'altro, la capacità di:
Grazie ai progressi della ricerca, circa l'82% dei bambini e l'86% degli adolescenti è in vita cinque anni dopo una diagnosi di tumore, ma servono terapie sempre più specifiche ed efficaci per le forme più rare e aggressive. A segnalarlo, in occasione della Giornata Internazionale contro il cancro infantile, che si celebra domani 15 febbraio, è l'AIRC , ricordando che che per molti tumori pediatrici, specialmente quelli più rari, mancano terapie specifiche, formulate sulla base di studi dedicati, tanto che spesso bambini e adolescenti sono trattati con protocolli per adulti. È urgente mettere a punto terapie anche per i piccoli pazienti che soffrono di malattie ancora difficili da curare.
Per questo motivo proprio alla ricerca sui tumori pediatrici l' AIRC ha destinato oltre 21 milioni di euro nell'ultimo quinquennio, cui si aggiungono i fondi erogati nel 2019: oltre 6 milioni e 235 mila euro per 68 progetti e borse di studio, con l’obiettivo di sviluppare terapie specifiche sempre più efficaci, personalizzate e meno tossiche per i circa 1.400 bambini (0-14 anni) e 800 adolescenti (15-18 anni) che ogni anno in Italia si ammalano di cancro.
In occasione della Giornata Internazionale contro il cancro infantile, AIRC ha inaugurato una nuova sezione del sito airc.it dedicata interamente ai tumori pediatrici, che sarà online dal 15 febbraio: una vera e propria Guida, che mette a disposizione dei genitori le informazioni necessarie per difendere i loro piccoli dal tumore, e risponde alle domande più comuni dopo una diagnosi o nel corso della cura. Per combattere questa malattia è infatti fondamentale conoscere i progressi fatti nella ricerca, nella diagnosi precoce e nella terapia.
Tra i successi ottenuti dalla ricerca AIRC, l'aplicazione delle terapie CAR-T ai tumori pediatrici, l'individuazione del meccanismo che induce le cellule staminali a riparare gli osteosarcomi, il tumore come se si trattasse di una ferita, l'individuazione dello stretto legame tra l’oncogene MYCN e la rapida produzione delle poliammine, un insieme di molecole con un ruolo cruciale nella crescita e nella proliferazione del neuroblastoma, la forma tumorale più diffusa tra quelle che colpiscono i bambini al di sotto dei cinque anni.
Prosegue con un nuovo ricorso alla Corte di Giustizia UE il tentativo dell'Italia di opporsi al trasferimento dell'Agenzia europea dei medicinali ad Amsterdam decretato con il contro il Regolamento 2018/1718. A renderlo noto una nota del Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Enzo Moavero Milanesi , che conferma la nuova azione avviata dal Governo, tramite l’Avvocatura dello Stato.
"L’impugnazione del Regolamento UE - si legge nella nota - si ricollega, in logica sequenza, al ricorso presentato un anno fa dal Governo – e tuttora pendente davanti alla Corte di Giustizia UE – nei confronti della decisione del Consiglio UE di assegnare ad Amsterdam la nuova sede dell’EMA, quando l'organismo europeo lascerà Londra a seguito della cosiddetta Brexit".
"Il nuovo ricorso - conclude il comunicato della Farnesina - conferma la determinazione italiana a far debitamente verificare, a livello giurisdizionale, la legittimità delle procedure seguite per stabilire la nuova sede dell'EMA, a fronte del fatto che la candidatura di Milano offriva tutte le garanzie immediate per la continuità operativa di un’agenzia UE, come EMA, fondamentale per la tutela della salute dei cittadini dell’Unione Europea".
"Per il terzo anno consecutivo formalizziamo con un accordo unanime la nostra proposta al ministero della Salute all’inizio dell’anno. Questo significa che diamo un contributo importante alle successive azioni del ministero e consentiamo alle Regioni di avviare una programmazione in tempi certi. E’ un fatto – ha continuato Bonaccini – molto positivo visto che riguarda un settore fondamentale, come è quello sanitario, dei servizi pubblici", così il Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, Stefano Bonaccini, ha commentato in una nota l'approvazione del riparto tra le Regioni dei 111,2 miliardi destinati al finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale per il 2019.
A sottolineare "concordia e compattezza delle istituzioni regionali" è stato anche Antonio Saitta (Assessore Regione Piemonte), Coordinatore della Commissione Salute della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, che ha fornito anche alcune specifiche tecniche utili per la lettura della tabella: “Prima di tutto va precisato che il valore evidenziato in corrispondenza delle Province autonome di Trento e Bolzano e delle Regioni a statuto speciale Sardegna, Valle d’Aosta e Friuli Venezia Giulia ha un carattere figurativo - ha spiegato - giacché queste Regioni provvedono autonomamente all’integrale finanziamento del Servizio sanitario nei rispettivi territori e secondo quanto previsto dai propri statuti. La seconda questione da tenere presente è che nel fabbisogno standard sono state considerate tutte le risorse comprese quelle relative alla quota premiale, pari allo 0,25% del Fondo, circa 286 milioni di euro, per cui nel riparto si è tenuto conto di meccanismi premiali e di riequilibrio che determinano il fabbisogno standard".
Ora le Regioni – ha proseguito Saitta –si aspettano che il Ministero proceda celermente perché si arrivi nel più breve tempo possibile al riparto. C’è poi la necessità di recepire in un prossimo provvedimento una proposta emendativa relativa alle risorse per la quota premiale, prevedendo che tale quota tenga conto dei criteri di riequilibrio proposti dalla Conferenza delle Regioni. E’ infine necessario – ha concluso - modificare il decreto sulle Regioni benchmark, prevedendo che tutte le Regioni elegibili siano considerate come ‘Regioni di riferimento’”.
Per il 2019 secondo quanto deciso dalla Conferenza Stato Regioni le Regioni Benchmark scelte saranno ancora una volta Emilia-Romagna, Piemonte e Veneto.
Riparto risorse sanità 2019*
Regioni | totale finale 2019 |
PIEMONTE | 8.199.389.129 |
V D'AOSTA | 233.489.531 |
LOMBARDIA | 18.405.555.557 |
BOLZANO | 944.819.487 |
TRENTO | 983.292.573 |
VENETO | 9.019.816.105 |
FRIULI | 2.287.867.446 |
LIGURIA | 3.078.088.485 |
E ROMAGNA | 8.259.653.603 |
TOSCANA | 6.997.515.170 |
UMBRIA | 1.658.798.201 |
MARCHE | 2.853.649.804 |
LAZIO | 10.747.015.715 |
ABRUZZO | 2.433.217.003 |
MOLISE | 579.437.434 |
CAMPANIA | 10.448.921.447 |
PUGLIA | 7.362.600.967 |
BASILICATA | 1.060.623.383 |
CALABRIA | 3.564.285.340 |
SICILIA | 9.080.186.397 |
SARDEGNA | 3.047.777.222 |
TOTALE | 111.246.000.000 |
(*) escluse le quote della fibrosi cistica, degli extracomunitari e dell'esclusività e comprese quote vaccini e stabilizzazioni |
L'anno in corso è l'ultimo durante il quale i farmaci antivirali contro per l’epatite C conserveranno l’etichetta di farmaci ‘innovativi’ e saranno quindi a completo carico di un fondo speciale: dal 2020 le cure per l'eradicazione della patologia saranno a carico del fondo ordinario della spesa farmaceutica e finitranno col creare problemi di sostenibilità nei budget regionali dedicati, anche se finora sono stati trattati 167 mila italiani, appena un terzo del totale.
A lanciare l'allarme, con l'invito a non abbassare la guardia e a proseguire nell’opera di eradicazione dell’HCV, avviando al trattamento il maggior numero possibile di soggetti entro la scadenza , sono gli esperti del consiglio direttivo della Società Italiana di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva (Sige).
Secondo il rapporto sulle epatiti della Organizzazione mondiale della sanità (Oms) pubblicato nel 2017 (Global Hepatitis Report 2017), ben 325 milioni di persone nel mondo sono affette da epatite cronica B (Hbv) o C (Hcv). La maggior parte di loro non ha accesso ai test diagnostici e alle terapie ed è quindi a rischio di una lenta progressione della malattia epatica che può portare a cirrosi, cancro del fegato e morte.
Allo stato attuale, pertanto, l’epatite virale è non solo una patologia clinicamente rilevante, ma un importante problema di salute pubblica, che richiede una risposta urgente a tutto campo. La predisposizione di misure e programmi di prevenzione e la disponibilità di terapie altamente efficaci hanno reso l’eliminazione a livello globale un obiettivo realistico. E’ comunque fondamentale tenere ben presente che il progetto di eliminazione richiede un salto concettuale, spostando l’attenzione dalla cura del singolo paziente ad un approccio di sanità pubblica, che ha come obiettivo l’interruzione della trasmissione dell’infezione. Il vaccino per l’epatite B ed i farmaci per l’epatite B e C sono una realtà, ed è necessario fare in modo che possano raggiungere ed aiutare tutti coloro che ne hanno bisogno.
L’obiettivo, molto ambizioso, dell’Oms è quello di raggiungere entro il 2030 una riduzione globale della mortalità correlata alle epatiti del 65 per cento ed una riduzione del 90 per cento di nuove infezioni. Il rapporto dell’Oms, prendendo come riferimento l’anno 2015, rileva tuttavia che solo il 9 per cento di tutte le infezioni da epatite B ed il 20 per cento di tutte le infezioni da epatite C sono state diagnosticate. Nel 2016 è stata istituita dall’Oms la Global Health Sector Strategy (Ghss) per le epatiti B e C, con lo scopo di identificare e sviluppare le strategie per l’eliminazione delle epatiti virali nel mondo.
L'’Italia - sottolineano gli esperti Sige - mostra di aver già adottato gran parte delle raccomandazioni dell’Oms e può quindi essere considerata tra i Paesi che potranno raggiungere l’obiettivo prefissato. E’ importante quindi evitare di abbassare la guardia su tale argomento e continuare nella strategia di eliminazione con grande impegno, anche nei prossimi anni.
"È necessario che Consiglio europeo, Parlamento e Commissione resistano alle pressioni provenienti dai gruppi stranieri che puntano a far deragliare la riforma del certificato supplementare di protezione dei brevetti farmaceutici (SPC)”.
A lanciare l’allerta sulle sorti dell’SPC manufacturing waiver – ovvero la normativa europea attualmente all’attenzione del Trilogo che dovrebbe dettarne le sorti definitive per arrivare al voto finale entro la fine dell’attuale legislatura (marzo) - è un comunicato odierno di Medicines For Europe, l’associazione europea delle aziende produttrici di generici e biosimilari.
“Tutte le parti coinvolte in queste discussioni – si legge nel comunicato – sono ben consapevoli che portatori d’interesse stranieri (extra-UE) temono la concorrenza dei produttori di farmaci biosimilari dell’UE, attività in cui le aziende europee sono state pioniere e leader tecnologiche”.
“La deroga alla produzione per l’export in Paesi terzi e per lo stoccaggio ai fini del “day-one launch” - ha dichiarato Adrian van den Hoven, direttore generale di Medicines for Europe -porterà enormi benefici in termini di produzione, occupazione e accesso ai medicinali in ambito europeo, senza ricadute negative dimostrabili”. “Gli interessi di Paesi extra-UE non dovrebbero poter interferire in un processo legislativo europeo trasparente, in cui tutte le parti interessate sono state consultate e coinvolte – ha proseguito Van del Hoven. - Il futuro dell'offerta di farmaci in Europa dipende da questa decisione dell'UE – ha concluso - e confidiamo nella determinazione della nostra democrazia a fare ciò che è giusto per l'Unione ".
E’ stato redatto ieri un primo documento emerso dalla "Consultazione sulla partecipazione civica" promossa da Cittadinanzattiva per individuare punti di forza, indice dei rischi e azioni per minimizzarli, per una partecipazione di qualità dei cittadini alle politiche sanitarie pubbliche. A produrlo 100 stakeholder della partecipazione – fra esponenti di istituzioni e di organizzazioni civiche, cittadini ed esperti – che si sono confrontati il 30 e 31 gennaio a Roma nel corso della “Consultazione sulla partecipazione civica in sanità” promossa da Cittadinanzattiva, con il contributo non condizionante di Novartis. Il documento sarà presentato, nella sua versione finale, nel corso di un evento che si terrà sempre a Roma il prossimo 16 maggio.
La riflessione ha preso le mosse dai dati emergenti dalla indagine preparatoria che ha riguardato due aree di analisi: la prima inerente le norme sulla partecipazione civica in sanità, sia a livello nazionale che regionale; la seconda riguardante 34 pratiche partecipative attuate in 5 Regioni (Basilicata, Emilia Romagna, Piemonte, Puglia, Toscana) e nella Provincia autonoma di Trento, che hanno visto il coinvolgimento di 24 Enti, fra Assessorati, Asl, Aziende ospedaliere ed IRCSS, e di 41 associazioni civiche.
Partecipazione a variabilità locale. Dal punto di vista della normativa, il contesto regionale italiano appare molto diversificato: leggi specifiche sulla partecipazione dei cittadini alle politiche pubbliche si trovano in Toscana (dal 2007), Emilia Romagna (2010), Puglia (2017) e PA di Trento (2014). La Toscana è l’unica regione ad aver approvato nel 2017 una legge specifica sulla partecipazione in campo sanitario; nella maggior parte delle Regioni abbiamo leggi con specifici articoli dedicati al tema della partecipazione in sanità; nel Lazio, Campania, Calabria e Friuli Venezia Giulia manca una normativa sanitaria che parli di partecipazione, mentre figurano indicazioni alla partecipazione solo per l’integrazione sociale o socio-sanitaria. Sempre nel Lazio e in Campania troviamo leggi con riferimenti alla partecipazione per specifici ambiti (quali handicap e salute mentale nel Lazio).
Dodici Regioni hanno previsto un organismo stabile di partecipazione in sanità, ma solo in Emilia Romagna lo stesso è presieduto da un rappresentante dell’associazionismo civico. Sempre l’ER si distingue in positivo perché pubblica sul proprio sito internet tutti gli ordini del giorno delle riunioni dell’organismo, come anche i relativi decreti di nomina.
Solo in dieci regioni la partecipazione è riconosciuta sin dalla fase di definizione dell’agenda, mentre in tutte sembra garantita nella fase di programmazione e in quasi tutte (ad eccezione di Sardegna, Abruzzo, Liguria e Calabria) in fase di controllo e valutazione. Solo sei la garantiscono nella fase decisionale.
Pratiche partecipative: si può fare di più. Le 34 pratiche partecipative, sulle 85 pervenute, sono state analizzate sotto quattro dimensioni: inclusività, grado di potere, esito della pratica e capacità di render conto.
Con riferimento alla dimensione della inclusività - ossia la capacità delle istituzioni di coinvolgere tutti i cittadini, singoli ed associati, interessati dalla pratica – è evidente che gli Enti coinvolgono soprattutto i soggetti già noti, sulla base della attività svolta e della rilevanza esterna, mentre spesso sono escluse le fasce deboli e le rappresentanze delle comunità locali.
In merito alla dimensione “grado di potere” – ossia capacità delle istituzioni di riconoscere ed attribuire potere ai cittadini su questioni rilevanti – emerge che gli Enti coinvolgono principalmente per consultare (31%), co-progettare (22%), co-gestire (17%); solo nel 38% dei casi le pratiche partecipative risultano vincolanti ai fini del risultato. Inoltre, le indicazioni/raccomandazioni derivanti dalla pratica partecipativa, a detta delle associazioni, sono state prese abbastanza in considerazione dall’Ente nel 61% dei casi, molto nel 20%.
In riferimento all’esito della pratica partecipativa – ossia la capacità delle istituzioni di garantire i risultati della stessa – emergono dati positivi: nel 71% dei casi, il prodotto della pratica viene implementato dall’Ente. Inoltre nell’82% dei casi gli Enti ammettono che la pratica partecipativa ha prodotto un output con un valore aggiunto rispetto a quanto si sarebbe potuto ottenere in assenza di coinvolgimento civico. Inoltre, partecipazione chiama partecipazione: nel 59% dei casi si osserva negli Enti l’innescarsi di un processo virtuoso che partendo dalla pratica partecipativa porta a generare nuove esperienze simili.
Sul tema dell’accountability – ossia la capacità delle istituzioni di rendere conto ai cittadini della pratica partecipativa – si segnalano invece le principali aree di miglioramento dato che l’Accountability è garantita poco e a pochi; nel 38% dei casi non viene prodotto alcun report finale della pratica partecipativa. Laddove realizzato, il contenuto si presenta alquanto diversificato, come pure la sua diffusione che solo in poche occasioni (15% a detta degli Enti, 10% secondo le associazioni) viene estesa all’opinione pubblica in generale.
Il documento. “Dalla Consultazione è emerso sicuramente un approccio unitario, indipendentemente dal loro ruolo, fra tutti gli stakeholder intervenuti e la condivisione di un linguaggio comune. Ma si è lavorato insieme soprattutto all’individuazione di un Indice di rischi che compromettono una partecipazione di qualità e di alcune azioni che possono essere messe in campo per minimizzarli”, sintetizza Anna Lisa Mandorino, vice segretario generale di Cittadinanzattiva. "Questo Indice dei rischi e delle azioni di minimizzazione sarà a disposizione delle istituzioni che intendano realizzare pratiche di democrazia partecipativa come una traccia, utile ad affrontare con consapevolezza le dimensioni dell’inclusività, del grado di potere, dell’esito e della rendicontabilità delle pratiche stesse. Dunque uno strumento che rimarrà aperto, visto che ciascuno potrà continuamente arricchirlo sulla base della propria esperienza, ma anche utilizzabile fin da subito per orientare alla qualità le proprie pratiche di partecipazione”.
Di seguito cinque punti salienti in cui il documento in elaborazione identifica a pratica partecipativa, che deve:
• essere attuata coinvolgendo i cittadini organizzati ma anche i singoli, e, particolarmente in ambito socio-sanitario, valorizzare il protagonismo delle comunità;
• utilizzare maggiormente le possibilità che la rete offre per potenziare una partecipazione estesa, possibilità ancora sottodimensionate nelle pratiche partecipative in sanità;
• essere orientata a garantire effetti di un vero cambiamento nella realtà, affinché il valore aggiunto della partecipazione non sia destinato a rimanere sulla carta;
• coinvolgere i cittadini sia nel momento della decisione sia nel momento dell’applicazione delle decisioni e della valutazione dei loro risultati, affinché l’azione pubblica risulti più incisiva e più rispondente ai bisogni dei cittadini stessi e della comunità;
• prevedere comunicazione e trasparenza in ogni fase della pratica partecipativa.
Primo incontro del nuovo tavolo della filera distributiva farmaceutica dopo la mancata proroga alla legge 135/2012 in materia di remunerazione. A darne notizia un comunicato congiunto Federfarma, Assofarm, Federfarma Servizi, ADF che accende i riflettori sul tema cruciale della categoria: il progressivo depauperamento della farmacia italiana dettato da una remunerazione legata al prezzo medio del farmaco SSN che negli anni è diminuito vertiginosamente, soprattutto per la crescente diffusione della distribuzione diretta da parte delle ASL dei farmaci più costosi che nel 2017 si è attestata a circa 9,3 miliardi di euro, a fronte di una progressiva riduzione della spesa territoriale.
"Di fronte a dati così netti - si legge nel comunicato - il Tavolo ritiene che una riforma della remunerazione sia imprescindibile e debba, tra gli altri aspetti, anche sviluppare processi che riportino nella farmacia territoriale tutti i farmaci, ad esclusione di quelli che per motivi sanitari devono essere distribuiti nei presidi pubblici". Una prospettiva questa che " potrà certamente portare benefici logistici e terapeutici ai cittadini e al contempo dovrà essere sostenibile sia per la filiera che per la sanità pubblica".
Tema che le sigle presenti intenderebbero far approdare al Tavolo della Governance istituto dal Governo - ritenuto il "contesto ideale per gestire le interrelazioni tra farmacia e gli altri protagonisti della sanità italiana" - anche con la partecipazione di FOFI.
Invito prontamente accolto dal presidente Andrea Mandelli, che condivide la scelta di "soluzioni condivise da presentare al decisore politico e sanitario, così come è stato fatto in occasione delle riforme della Tariffa e della Farmacopea”. "Siamo convinti che la remunerazione delle farmacie di comunità dovrà basarsi anche sulle prestazioni e sui servizi cognitivi resi dal professionista: è quanto accade in Gran Bretagna e sta accadendo ora in Francia - ha commentato - . Questo comporta non soltanto un’evoluzione della nostra professione ma anche un diverso rapporto con le altre professioni della salute. La stessa evoluzione che è necessaria anche per il ritorno dei farmaci innovativi nella distribuzione territoriale”.
Tonino Aceti è da oggi il Portavoce della Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche (FNOPI) che rappresenta gli oltre 445mila infermieri iscritti agli Ordini. Aceti, 39 anni, ha ricoperto fino a gennaio 2019 il ruolo di Coordinatore Nazionale del Tribunale per i diritti del malato e di Responsabile del Coordinamento nazionale delle Associazioni dei Malati Cronici di Cittadinanzattiva. Nel 2013 è riconosciuto dalla Rivista Wired.it tra i 50 Under 35 più promettenti d’Italia. È stato membro dell’”Osservatorio Nazionale sulla condizione delle persone con disabilità” presso il ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Ha partecipato ai lavori della Commissione nazionale per la stesura del Piano Nazionale della Cronicità ed è stato componente della sua cabina di regia nazionale. Ha fatto parte del Comitato Tecnico Sanitario del ministero della Salute - sezione Cure Palliative e Terapia del Dolore L. 38/2010 e del Tavolo Innovazione istituito presso lo stesso ministero. È componente del Comitato Nazionale del Programma Nazionale Esiti (PNE) presso l’AGENAS e ha fatto parte della Commissione ministeriale per la stesura del nuovo Piano Nazionale di Governo delle Liste di Attesa 2018-2020.
“Il mio impegno non cambia - spiega Aceti - al centro continueranno a esserci sempre la salvaguardia e l’allargamento del perimetro del diritto alla salute delle persone, l’umanizzazione dell’assistenza, il contrasto alle disuguaglianze e il rilancio del Servizio sanitario pubblico. Lo farò insieme ai miei nuovi compagni di viaggio: gli infermieri. Lo farò contribuendo a orientare sempre più le politiche della professione infermieristica verso i diritti dei pazienti, verso i vecchi e nuovi bisogni delle comunità e del Ssn, in tutte le aree del Paese, soprattutto in quelle interne e più disagiate. Lo farò promuovendo il confronto e il dialogo con tutte le altre professioni sanitarie, con le Associazioni di cittadini e di pazienti e con le istituzioni tutte. Ho scelto gli infermieri - ha continuato Aceti - per la loro vicinanza h24 al letto del paziente, per la loro capacità di entrare con rispetto e competenza nelle case delle persone, perché rappresentano una leva fondamentale per ridurre le disuguaglianze, ma anche perché sono un grande motore per l’innovazione e la sostenibilità del Ssn.”
“C’è indubbiamente molto da lavorare perché – prosegue Aceti – una delle vere necessità del nostro servizio sanitario pubblico e che pubblico deve restare, è raggiungere la perfetta sinergia, collaborazione e condivisione tra le professioni che di più sono vicine alle persone”.
“In questo senso – conclude Aceti – a fianco degli infermieri e con l’aiuto dei miei amici e compagni di viaggio in tutti questi anni di Cittadinanzattiva che ringrazio uno ad uno, alle altre organizzazioni di cittadini e pazienti, e dei miei amici medici, farmacisti e rappresentanti di tutte le professioni vicine alla salute dei cittadini, intendo aprire la strada a un nuovo modello, a una nuova era dell’assistenza che assuma consapevolezza delle necessità che ormai sono alle porte, senza alcuna strumentalizzazione di parte, nel rispetto ciascuno del suo ruolo e dei suoi compiti, ma soprattutto nel rispetto primario dei bisogni dei cittadini di cui io stesso mi faccio garante. Lavorerò – ha concluso - affinché l’Ordine delle Professioni infermieristiche sia sempre più in grado di rispondere alle esigenze e alle aspettative di cittadini e infermieri”.
“Per la Federazione nazionale degli Ordini degli infermieri – ha detto la presidente, Barbara Mangiacavalli – è motivo di grande soddisfazione poter lavorare accanto a chi finora ha difeso quello che è il nostro obiettivo primario: la salute dei cittadini. E lo ha fatto e intende farlo con lo stesso spirito che gli infermieri ritengono l’unica strada percorribile per mantenere un Servizio sanitario nazionale davvero universalistico, senza diseguaglianze e senza divisioni: una multiprofessionalità e una multidisciplinarità basata sulla sinergica collaborazione con i medici e gli altri professionisti sanitari, che riconosca le professionalità acquisite e capaci di contribuire ad innalzare la qualità della risposta assistenziale”.
“La nostra professione – prosegue - ha come scopo il rapporto coi pazienti. È per noi un elemento valoriale importante sia professionalmente che per il ‘patto col cittadino’ che da anni ci caratterizza. Per noi è essenziale avere una relazione privilegiata con loro, per comprendere come ci vedono e come possiamo soddisfare nel modo migliore i loro bisogni di salute. In questo la figura di Tonino Aceti assume un ruolo determinate e direttamente coinvolgente”.
“Lavorare assieme per definire linee guida condivise tra tutti i professionisti della sanità, ognuno per la propria area di competenza e nell’interesse della corretta gestione del paziente – sottolinea Mangiacavalli - è una necessità ormai indifferibile che non può essere fermata o rallentata da chi non ha capito come si è evoluta la figura e la professionalità dell’infermiere e anche tutte le altre figure professionali, sia nel senso delle capacità clinico-assistenziali, sia per quanto riguarda la responsabilità professionale e tenta, facendo ombra alla sua professionalità, di compiere manovre che con l’assistenza non hanno nulla a che fare e soprattutto non sono lo specchio della multiprofessionalità di cui ha bisogno il nostro sistema sanitario nei prossimi anni”.
“Da oggi in poi – conclude Mangiacavalli – e con una squadra sicuramente più forte, rappresentativa e coesa, questo è il nostro obiettivo”.
Studiosi italiani del CNR hanno dimostrato per la prima volta che gli astrociti, le cellule cerebrali a forma di stella finora considerate passive, possono essere eccitati con uno campo elettrico applicato da un dispositivo organico. Gli astrociti, così denominati per la loro tipica morfologia stellata, sono stati infatti a lungo considerati mero ‘collante’ che riempiva gli spazi tra neuroni, ovvero cellule non eccitabili perché non in grado di generare e propagare l’impulso bioelettrico come fanno i neuroni.
A ribaltare questa convinzione è stato uno Un lavoro pubblicato sulla rivista Advanced Healthcare Materials e coordinato da Valentina Benfenati dell’Istituto per la sintesi organica e la fotoreattività del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isof), in collaborazione con Michele Muccini e Stefano Toffanin dell’Istituto per lo studio dei materiali nanostrutturati del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ismn), dimostra che anche gli astrociti, e non solo i neuroni, rispondono al campo elettrico applicato dal dispositivo organico, e che è possibile stimolare e modulare l’attività degli astrociti applicando un campo elettrico estremamente piccolo.
Dallo studio è emerso infatti che gli astrociti comunicano tra loro tramite segnali ed onde di calcio, e che questa forma di eccitazione è fondamentale per il corretto funzionamento dell’attività neuronale, per esempio, nella memoria e nell’apprendimento. La disfunzione di questi segnali è inoltre implicata in patologie come Alzheimer, Parkinson, Ictus ed Epilessia.
Il problema nello studio degli astrociti - spiegano gli studiosi - è di tipo tecnologico, infatti nella ‘neuro’ ingegneria gli strumenti attualmente disponibili sono progettati e mirati esclusivamente per lo studio dei neuroni. Il lavoro del CNR pone le basi per una visione radicalmente nuova, puntando alla possibilità di generare tecnologie che mirino alla modificazione o al ripristino di attività cerebrali, non avendo come target i neuroni bensì le cellule non neuronali.
Il lavoro - frutto dell'integrazione di competenze multidisciplinari che vanno dalla chimica, alla scienza dei materiali, alla fisica dei dispositivi, alla biologia e all'elettrofisiologia neurologica e supportato dal Progetto europeo ‘Olimpia’, coordinato da Muccini e Benfenati e dal Progetto di ricerca ‘Astromat’, supportato dall’Air Force Office of Scientific Research, coordinato da Benfenati - apre dunque la strada all'utilizzo di tecnologie organiche, cioè basate su molecole, biocompatibili per la comprensione del funzionamento e la cura di malattie del cervello.
Legalizzare la produzione di generici e biosimilari durante il periodo di vigenza del certificato di protezione supplementare europeo del brevetto (Supplementary Protection Cerificate-SPC) per l’esportazione nei Paesi terzi dove esso non esiste o è già scaduto e consentire lo stoccaggio del prodotto negli ultimi due anni di vigenza del SPC per essere pronti a lanciarlo anche sul mercato interno il primo giorno utile dopo la scadenza (day -1 launch). È con queste due armi di pregio che il Parlamento europeo è intenzionato a dare l’ultima spallata ai paletti che frenano la competitività delle aziende farmaceutiche con sede nell'UE, rispetto agli altri protagonisti del settore off patent a livello mondiale.
Le misure sono contenute nel testo del Regolamento sulla Supplementary Protection Cerificate (SPC) manufacturing waiver approvato ieri dalla Commissione giuridica del PE con una sorta di plebiscito - 22 voti favorevoli e 1 contrario - e con il mandato ad avviare i negoziati trilaterali con Consiglio e Commissione. L’intenzione è quella di concludere i lavori nel Trilogo entro il mese di febbraio e arrivare all’approvazione finale, in plenaria, nel mese di marzo.
Un passaggio cruciale e un importantissimo passo avanti rispetto alla versione licenziata appena una settimana fa dal Consiglio.
“I parlamentari europei sono convinti che queste misure riaffermeranno l’attrattiva dell'UE come hub globale per gli investimenti nella ricerca farmaceutica innovativa, riducendo al contempo i costi e migliorando l'accesso ai medicinali generici e biosimilari all'interno dell'UE”, spiega il comunicato diffuso ieri dalla Commissione Giuridica del PE.
Attualmente, il Supplementary Protection Cerificate (SPC) estende fino a ulteriori 5 anni la durata già ventennale dei brevetti farmaceutici europei, per consentire il recupero del tempo intercorso tra il deposito della domanda e l’ottenimento dell’AIC dei prodotti, creando - secondo la Commissione Juri - “barrriere legali non intenzionali per i produttori di generici e biosimilari con sede nell'UE, ponendoli in una posizione di svantaggio rispetto alle aziende extra-Ue non soggette a tali restrizioni”.
E sono i dati a delineare l’entità dei danni che deriverebbero dalla delocalizzazione forzata cui sarebbero sottoposte le aziende per competere alla pari: “I mercati farmaceutici globali stanno subendo profondi cambiamenti e si stanno spostando verso una maggiore quota di mercato per i farmaci generici e biosimilari, con una domanda globale che raggiunge 1,1 trilioni di euro nel 2017. Con un tasso di crescita annuale del 6,9% entro il 2020, biosimilari e generici sono proiettati per rappresentare l'80% di tutte le medicine in volume e il 28% in valore”.
Quanto basta per motivare l’introduzione delle deroghe all’SPC approvate ieri che, in sintesi, consentono ai produttori di:
fabbricare legalmente un prodotto per l'esportazione in paesi terzi durante il periodo di vigenza dell’SPC;
Il testo approvato include infine forti salvaguardie per garantire la protezione della proprietà intellettuale nell'UE e aumentare la trasparenza, prevendendo tra l’altro:
"Siamo felici che la relazione sia stata accolta da tutti i gruppi con un sostegno così schiacciante - ha commentato il relatore, lo spagnolo Luis de Grandes Pascual (PPE, ES) - il nostro obiettivo era trovare una proposta equilibrata che risultasse utile sia ai produttori di farmaci generici che agli innovatori dell’Unione: si tratta di un passo importante per consolidare il ruolo dell'UE nella produzione farmaceutica e nell'innovazione".
Passo avanti in Europa nell’iter legislativo per l’approvazione della Supplementary Protection Cerificate (SPC) manufacturing waiver, la riforma del certificato supplementare di protezione (SPC) dei brevetti farmaceutici che consentirebbe alle aziende italiane di competere alla pari con gli altri protagonisti del settore off patent a livello mondiale.
Nella seduta di ieri, infatti, il Coreper – il comitato dei rappresentanti permanenti dei governi degli Stati membri dell'Unione europea, ovvero l’organo che prepara le determinazioni del Consiglio – ha raggiunto una posizione di compromesso sulla bozza di Regolamento che introduce una deroga al certificato di protezione complementare ai soli fini dell’export (SPC Waiver).
La normativa consentirebbe cioè ai produttori di generici e biosimilari con sede nell'UE di produrre una versione generica o biosimilare di un medicinale ancora protetto da SPC esclusivamente allo scopo di esportare in un mercato extra-UE dove la protezione è scaduta o non è mai esistita.
Attualmente, invece, il Supplementary Protection Cerificate (SPC) estende fino a ulteriori 5 anni la durata già ventennale dei brevetti farmaceutici europei, per consentire il recupero del tempo intercorso tra il deposito della domanda e l’ottenimento dell’AIC dei prodotti, impedendo qualunque attività produttiva ai fini dell’export. La conseguenza è che le aziende europee sono così esposte ad una pesante concorrenza da parte dei produttori extra-Ue, non soggetti ad analoghe restrizioni, e costrette a delocalizzare gli impianti stringendo accordi vincolati con i Paesi ospiti.
Secondo quanto previsto dalla bozza di Regolamento concordata ieri, la deroga per l’export dovrebbe dunque essere concessa quando :
• generici e biosimilari sono prodotti esclusivamente per l'esportazione verso Paesi terzi in cui la protezione del medicinale originale non esiste o è scaduta;
• il produttore ha fornito almeno tre mesi le informazioni richieste dal Regolamento sia alle autorità dello Stato membro di produzione sia al titolare del SPC;
• il fabbricante ha debitamente informato tutti coloro che sono coinvolti nella commercializzazione del prodotto del fatto che il prodotto può essere immesso sul mercato solo al di fuori dell'UE;
• il produttore ha apposto sulla confezione del prodotto il logo specifico previsto dal Regolamento, indicando chiaramente che è solo per l'esportazione.
Nei primi tre anni di entrata in vigore della normativa però la deroga potrà essere richiesta solo per i nuovi SPC, ovvero quelli richiesti a partire dalla data di entrata in vigore del Regolamento, successivamente potrà essere estesa anche a quelli di più vecchia data ma divenuti efficaci dopo l'entrata in vigore del Regolamento.
A rimanere in sospeso è ancora la questione dell’on Day-1 Launch, contenuta nelle proposte emendative avanzate dall’ENVI, il Comitato per la salute del Parlamento Europeo: ovvero la possibilità per le aziende di produrre e stoccare i lotti prodotti in presenza di SPC nei propri magazzini per venderli nei paesi UE dal giorno successivo alla scadenza dell’SPC (Day-1 entry).
A fronte delle aspettative circa l’introduzione del Day-1 launch da parte del Parlamento Europeo, la mancanza di questa previsione sarebbe dannosa per le imprese, in particolare le PMI e per i pazienti europei, che sembra potranno però contare sul parere favorevole che Italia, Francia, Germania e Spagna sarebbero orientate a esprimere in modo compatto all’avvio dei negoziati con il Parlamento europeo nella procedura del Trilogo che la presidenza rumena sembra intenzionata ad attivare in tempi stretti per arrivare all’adozione del testo in prima lettura.
“Il progetto di Regolamento – ha sottolineato ieri il comunicato del Consiglio - dovrebbe contribuire alla competitività dell'Europa come centro per la ricerca e lo sviluppo nel settore farmaceutico. Aiuterà le nuove aziende farmaceutiche ad avviarsi e ad espandersi in aree ad alta crescita, generando nei prossimi 10 anni, un fatturato annuo netto aggiuntivo superiore a 1 miliardo di euro, che potrebbe tradursi nello stesso arco di tempo in 20.000-25.000 nuovi posti di lavoro”.
Passo avanti in Europa nell’iter legislativo per l’approvazione della Supplementary Protection Cerificate (SPC) manufacturing waiver, la riforma del certificato supplementare di protezione (SPC) dei brevetti farmaceutici che consentirebbe alle aziende italiane di competere alla pari con gli altri protagonisti del settore off patent a livello mondiale. Nella seduta di ieri, infatti, il Coreper – il comitato dei rappresentanti permanenti dei governi degli Stati membri dell'Unione europea, ovvero l’organo che prepara le determinazioni del Consiglio – ha raggiunto una posizione di compromesso sulla bozza di Regolamento che introduce una deroga al certificato di protezione complementare ai soli fini dell’export (SPC Waiver).
La normativa consentirebbe cioè ai produttori di generici e biosimilari con sede nell'UE di produrre una versione generica o biosimilare di un medicinale ancora protetto da SPC esclusivamente allo scopo di esportare in un mercato extra-UE dove la protezione è scaduta o non è mai esistita.
Attualmente, invece, il Supplementary Protection Cerificate (SPC) estende fino a ulteriori 5 anni la durata già ventennale dei brevetti farmaceutici europei, per consentire il recupero del tempo intercorso tra il deposito della domanda e l’ottenimento dell’AIC dei prodotti, impedendo qualunque attività produttiva ai fini dell’export. La conseguenza è che le aziende europee sono così esposte ad una pesante concorrenza da parte dei produttori extra-Ue, non soggetti ad analoghe restrizioni, e costrette a delocalizzare gli impianti stringendo accordi vincolati con i Paesi ospiti.
Secondo quanto previsto dalla bozza di Regolamento concordata ieri, la deroga per l’export dovrebbe dunque essere concessa quando:
• generici e biosimilari sono prodotti esclusivamente per l'esportazione verso Paesi terzi in cui la protezione del medicinale originale non esiste o è scaduta;
• il produttore ha fornito almeno tre mesi le informazioni richieste dal Regolamento sia alle autorità dello Stato membro di produzione sia al titolare del SPC;
• il fabbricante ha debitamente informato tutti coloro che sono coinvolti nella commercializzazione del prodotto del fatto che il prodotto può essere immesso sul mercato solo al di fuori dell'UE;
• il produttore ha apposto sulla confezione del prodotto il logo specifico previsto dal Regolamento, indicando chiaramente che è solo per l'esportazione.
Nei primi tre anni di entrata in vigore della normativa però la deroga potrà essere richiesta solo per i nuovi SPC, ovvero quelli richiesti a partire dalla data di entrata in vigore del Regolamento, successivamente potrà essere estesa anche a quelli di più vecchia data ma divenuti efficaci dopo l'entrata in vigore del Regolamento.
A rimanere in sospeso è ancora la questione dell’on Day-1 Launch, contenuta nelle proposte emendative avanzate dall’ENVI, il Comitato per la salute del Parlamento Europeo: ovvero la possibilità per le aziende di produrre e stoccare i lotti prodotti in presenza di SPC nei propri magazzini per venderli nei paesi UE dal giorno successivo alla scadenza dell’SPC (Day-1 entry).
A fronte delle aspettative circa l’introduzione del Day-1 launch da parte del Parlamento Europeo, la mancanza di questa previsione sarebbe dannosa per le imprese, in particolare le PMI e per i pazienti europei, che sembra potranno però contare sul parere favorevole che Italia, Francia, Germania e Spagna sarebbero orientate a esprimere in modo compatto all’avvio dei negoziati con il Parlamento europeo nella procedura del Trilogo che la presidenza rumena sembra intenzionata ad attivare in tempi stretti per arrivare all’adozione del testo in prima lettura.
“Il progetto di Regolamento – ha sottolineato ieri il comunicato del Consiglio - dovrebbe contribuire alla competitività dell'Europa come centro per la ricerca e lo sviluppo nel settore farmaceutico. Aiuterà le nuove aziende farmaceutiche ad avviarsi e ad espandersi in aree ad alta crescita, generando nei prossimi 10 anni, un fatturato annuo netto aggiuntivo superiore a 1 miliardo di euro, che potrebbe tradursi nello stesso arco di tempo in 20.000-25.000 nuovi posti di lavoro”.
"Salutiamo la riforma del sistema del pay back, introdotta con la legge di bilancio che, dopo molti anni di riflessioni, va incontro alle esigenze di tutela delle PMI farmaceutiche. Con questa scelta il Governo ha ascoltato la richiesta di maggiore equità proveniente dal nostro comparto; avevamo infatti manifestato le nostre preoccupazioni sull’ipotesi di eliminazione delle clausole di salvaguardia previste dalla normativa vigente sulla partecipazione al ripiano da parte di equivalenti e biosimilari allo sfondamento dei farmaci innovativi e dei farmaci orfani", ad affermarlo è Enrique Häusermann, presidente Assogenerici, in relazione al testo della Manovra 2019 approvato in nottata con voto di fiducia dall'Assemblea di Palazzo Madama.
"L’esclusione delle aziende del nostro comparto dal ripiano dell’extra-tetto dei farmaci innovativi e l’introduzione di una “franchigia” che tutela le PMI sotto i 3 milioni di euro di fatturato dimostra la volontà di ascolto e dialogo da parte del Governo - prosegue Häusermann - anche se dobbiamo registrare il permanere di criticità sullo sforamento derivate dall’acquisto dei farmaci orfani da registro comunitario che non sono dotati di risorse dedicate e la cui extra-spesa continuerebbe comunque a gravare sull’intero comparto. Servirebbe aprire un dibattito serio su forme alternative di finanziamento per questa categoria di farmaci ad alto impatto sociale, recuperando ad esempio la richiesta avanzata da tutte le imprese di destinare alla copertura dei nuovi bisogni tutte le risorse disponibili nei tetti di spesa".
"Ci auguriamo che il dialogo costruttivo permanga anche in sede di attuazione delle misure ipotizzate nel documento della Salute sulla nuova governance farmaceutica - conclude il presidente Assogenenrici - sperando che anche su questo sia possibile un franco dialogo che consenta di considerare in modo equilibrato l’evoluzione delle diverse componenti della spesa di settore".
Da gennaio a settembre i farmaci equivalenti hanno assorbito il 22% dei consumi in farmacia, mentre i biosimilari hanno conquistato il 14% del mercato di riferimento. A confermare il trend a tutta crescita delle cure off patent nel nostro Paese il report sull’andamento del mercato nei primi nove mesi del 2018 nei report realizzati dall’Ufficio studi Assogenerici-IBG.
Il mercato degli equivalenti nei primi nove mesi del 2018. Da gennaio a settembre 2018 i farmaci equivalenti hanno rappresentato il 22,1% del totale del mercato farmaceutico a volumi nel canale farmacia e il 13,5% a valori, per un totale di 1,88 miliardi in prezzi ex factory, facendo registrare una performance positiva rispetto ai primi nove mesi del 2017 (tutte le classi), del 2,8% a unità e del 9,7% a valori, a fronte di un rallentamento del mercato farmaceutico complessivo (-0,5% a unità, -1,4% a valori) determinato dall’arretramento dei brand a brevetto scaduto (-1,4% a unità e -3,2% a valori).
Il giro d’affari del comparto si conferma concentrato essenzialmente in classe A per un totale di 1.48 miliardi che rappresentano il 78,8% del totale della spesa per farmaci generici (l’89,5% a confezioni).
Entrando nel dettaglio dei consumi in classe A nel canale farmacia, nel periodo gennaio-settembre 2018 si registra una flessione del -1% del numero di confezioni rimborsate dal SSN rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente con una conseguente contrazione della spesa netta rimborsata del 4%.
In particolare si registra una flessione dei consumi relativa ai prodotti ancora coperti da brevetto o privi di generico: - 13,5% a unità e -16,8% a valori rispetto ai primi nove mesi del 2017. In crescita invece il segmento relativo ai farmaci a brevetto scaduto, in particolare quello degli equivalenti che rappresentano il 29,6% delle confezioni di Classe A (+ 3,4% rispetto al gennaio-settembre 2017) e il 22,4% della spesa di classe A (+ 8,5%).
Per quanto riguarda l’analisi dei consumi per area geografica, il consumo degli equivalenti di classe A si concentra soprattutto al Nord (36,7% a unità; 27,5% a valori), mentre restano distanziati il Centro (27,1%; 20,7%) e il Sud Italia (21,8%; 16,5%). A guidare la classifica dei consumi di equivalenti è la Provincia Autonoma di Trento, con il 42,7 sul totale delle unità dispensate SSN nel periodo gennaio-settembre. Trento con L’Emilia Romagna sono anche i due territori dove si registra la più alta incidenza di consumi complessivi di farmaci off patent (generici e branded a brevetto scaduto) - l’83,4% - a carico del Ssn. Secondo territorio a maggior consumo di equivalenti la Lombardia (38,9%), seguita da Emilia Romagna (36,6%), Friuli Venezia Giulia (36,3%) e Valle d’Aosta (35,3%). Fanalino di coda Calabria (19,8%), Basilicata (20,1%), Campania e Sicilia (21,3% a pari merito).
Per quanto riguarda infine il mercato ospedaliero gli equivalenti in classe A e H assorbono il 26,8% dei consumi a volumi e il 6,1% a valori. A dominare il mercato ospedaliero sono i brand a brevetto scaduto che quotano il 39,1% dei consumi a volumi e il 5,1% a valori, mentre ai farmaci esclusivi (protetto o senza generici corrispondente) resta il 34,2% dei consumi a volumi che valgono però il 92,8% della spesa farmaceutica pubblica ospedaliera.
Il mercato dei biosimilari nei primi nove mesi del 2018. Nei primi nove mesi del 2018 le 10 molecole biosimilari in commercio sul mercato italiano - Epoetine, Filgrastim, Somatropina, Follitropina alfa, Infliximab, Insulina Glargine, Etanercept, Rituximab, Enoxaparina e Insulina Lispro, per un totale di 45 prodotti - hanno assorbito il 14% dei consumi nazionali contro l’86% detenuto dai corrispondenti originator.
Su base annua il pool dei biosimilari presenti sul mercato nazionale ha fatto registrare una crescita complessiva del 51,1% rispetto ai primi nove mesi del 2017, calcolata al netto delle new entry, ovvero le nuove molecole biosimilari lanciate sul mercato solo da giugno 2017 (Enoxaparina e Insulina Lispro), a fronte di una contrazione dei biologici originator dell’8,8%. Il dato dirompente è legato all’esordio sul mercato del Rituximab biosimilare (lanciato proprio nel settembre 2017) che nel giro di un anno ha assorbito il 48,16% del mercato nazionale della molecola.
Titolari del “sorpasso” rispetto al biologico originatore restano invece altre tre molecole ad altissima penetrazione nel mercato: il Filgrastim, i cui 5 biosimilari in commercio assorbono il 95% del mercato a volumi (90% a valori, a prezzo medio), le Epoetine (77% del relativo mercato a volumi e 64% a valori) e l’Infliximab (72% del mercato a volumi; 57% a valori).
Da segnalare tra gli “inseguitori” il Rituximab, la cui versione biosimilare in commercio dal luglio 2017 concentra il 48% dei consumi a unità e il 31% a valori.
Diversificato ma comunque in crescita il quadro dei consumi a livello regionale. A registrare il maggior consumo di biosimilari per tutte le molecole in commercio sono la Valle d’Aosta e il Piemonte: in entrambe quotano il 43,74% del mercato sul mercato complessivo di riferimento e addirittura l’81,63% del mercato riferito all’insieme delle cinque molecole in commercio da almeno 3 anni (Epoetine, Filgrastim, Somatropina, Infliximab, Follitropina Alfa).
Lo stesso pool di molecole di più antica commercializzazione ottiene consensi di rilievo praticamente in tutte le Regioni (Liguria, 76,37; Toscana, 76,16%; Trentino 73,65%; Sardegna 70,85%; Sicilia, 64,92%; Veneto 64,27%; Emilia Romagna, 63,89%). Fanalini di coda Abruzzo (47,33%) e Calabria (16,71%).
La classifica varia ampliando l’analisi a tutti i biosimilari in commercio: tolto il già citato primato il Piemonte e Valle d’Aosta, seguono in classifica Sicilia (20,62% del mercato complessivo), Basilicata (15,14%), Friuli Venenzia Giulia (14,69%), Toscana (14,26%). Tutte le altre Regioni risultano al di sotto della media nazionale.
Il mercato italiano dei farmaci generici: dati gennaio-settembre 2018
Il mercato italiano dei farmaci biosimilari: dati gennaio-settembre 2018
Prende il via lunedì 17 dicembre la terza edizione della campagna di Cittadinanzattiva “IoEquivalgo” nata per sensibilizzare e diffondere la cultura sui farmaci equivalenti. Dopo due edizioni con le tappe del “villaggio” su tutto il territorio italiano #IoEquivalgo si mette al servizio di alcune Amministrazioni Regionali del Sud Italia, affinché costruiscano strategie d’intervento, comunicazione e sensibilizzazione a supporto del farmaco equivalente.
Il primo appuntamento - spiega in una nota Cittadinanzattiva - si terrà lunedì 17 a Bari, presso l’Ufficio di Presidenza della Regione Puglia, dove saranno illustrati i quattro obiettivi principali di questa terza edizione, che si colloca nella più ampia strategia di empowerment, health literacy e contrasto delle disuguaglianze. Nello specifico la campagna mira a: far conoscere i farmaci equivalenti; informare i cittadini e fornire loro un’opportunità di scelta consapevole, a vantaggio della sostenibilità economica delle famiglie; promuovere la trasparenza sulle politiche dei prezzi; ridurre gli sprechi da mancata aderenza terapeutica, dovuta molto spesso ad un’interruzione delle cure per difficoltà economiche.
Strumenti dii #IoEquivalgo il sito web (www.ioequivalgo.it), la app “IOEquivalgo” (sui principali store online), che vede come partner tecnico FARMADATI ITALIA,
la pagina Facebook dedicata www.facebook.com/ioequivalgo, i leaflet in italiano e in sette lingue (inglese, francese, spagnolo, arabo, tigrino, bengalese, cinese).
Partner della campagna - realizzata con il patrocinio dell'AIFA e anche grazie al sostegno non condizionante di Assogenerici - sono AUSER (Associazione per l’invecchiamento attivo), ANP-CIA (Associazione nazionale Pensionati CIA), SPI CGIL (Sindacato Pensionati Italiani), Federfarma, FOFI (Federazioni Ordini Farmacisti Italiani), FNOMCEO (Federazione Nazionale Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri), FNOPI (Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche), SIFO (Società Italiana di Farmacia Ospedaliera e Servizi Farmaceutici delle Aziende Sanitarie), SIGG (Società Italiana di Gerontologia e Geriatria), SIMG (Società Italiana di Medicina Generale e delle cure primarie), FIMG (Federazione Medici di Medicina Generale), INMP (Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti ed il contrasto delle malattie della Povertà), AMSI (Associazione Medici di origine Straniera in Italia), COMAI (Comunità del Mondo Arabo in Italia), UMEM (Confederazione internazionale Unione Medica Euro Mediterranea) e UNITI PER UNIRE (Movimento Internazionale transculturale e interprofessionale).
"Nel documento diffuso oggi dalla Salute non figura l’obiettivo di reinvestire nella farmaceutica le risorse recuperate grazie alla concorrenza di equivalenti e biosimilari. Anzi le dichiarazioni rese i sono di segno opposto.Così si rischia di trasformare i farmaci in commodities" Questa la preoccupazione espressa dal presidente Assogenerici, Enrique Häusermann, in relazione ai contenuti del documento sulla governance farmaceutica presentato oggi al ministero della Salute dal ministro Giulia Grillo, dal direttore generale dell'AIFA, Luca Li Bassi e da una rappresentaza degli esperti coinvolti nell'elaborazione del documento.
“Accogliamo con grande attenzione il documento di programmazione della nuova governance farmaceutica presentato oggi dal ministro della Salute, Giulia Grillo e da una rappresentanza degli esperti che hanno contribuito alla sua stesura e apprezziamo l’esplicito e reiterato riferimento ai farmaci equivalenti e ai biosimilari che hanno storicamente avuto il merito di ampliare l’accesso alle terapie stimolando la concorrenza all’interno del mercato farmaceutico - afferma Häusermann. - Ci auguriamo tuttavia che l’annunciata revisione del Prontuario terapeutico e riallocazione delle risorse non si traduca invece in un impoverimento complessivo delle potenzialità di cura garantite ai cittadini, privilegiando una spirale al ribasso che avrebbe come unico effetto quello di schiacciare la concorrenza”.
“Abbiamo più volte chiesto - e con noi anche altri stakeholders sia tra i pazienti che tra gli operatori sanitari - che le risorse liberate grazie alla concorrenza generata da equivalenti e biosimilari fossero interamente reinvestite nel capitolo della farmaceutica, contribuendo così a rendere sostenibile l’accesso alle terapie più innovative. Ma nel documento presentato - avverte il presidente Assogenerici - non c’è traccia di questo criterio e anzi le dichiarazioni rese pubblicamente oggi erano decisamente di segno opposto”.
“Nel corso della conferenza stampa odierna è stata più volte ribadita l’intenzione di aprire un confronto con tutti gli stakeholder, aziende comprese - conclude Hausermann - e ci auguriamo che questo confronto possa essere avviato al più presto perché sia possibile condividere e dare il giusto peso a tutti i fattori in gioco: dalla necessità di percorsi terapeutici efficienti ed economicamente sostenibili alla necessità di dare supporto e slancio alla ricerca industriale. Spero che nessuno voglia trasformare i farmaci in commodities, tradendo l’obiettivo del mantenimento dei livelli di qualità della produzione attualmente assicurata dalle normative nazionali”.
“La riunione del Consiglio europeo per la Competitività – in programma domani e dopodomani a Bruxelles – è l’occasione buona perché il Governo italiano prenda finalmente posizione in merito alla riforma del certificato supplementare di protezione (SPC) dei brevetti farmaceutici. Ci auguriamo che i rappresentanti italiani vogliano e sappiano schierarsi con decisione su una scelta che non intacca in alcun modo le tutele brevettuali ma consente alle aziende italiane di competere alla pari con gli altri protagonisti del settore off patent a livello mondiale”. A dichiararlo è Enrique Häusermann, presidente Assogenerici, sottolineando le opportunità potenzialmente offerte dalla proposta di legge varata a fine maggio dalla Commissione Ue sul "Supplementary Protection Certificate (SPC) Manufacturing Waiver”.
Un intervento in materia è da lungo tempo sollecitato dai produttori europei di generici e biosimilari, oggi gravemente penalizzati dalla normativa vigente che estende fino a ulteriori 5 anni la durata già ventennale dei brevetti farmaceutici europei per consentire ai titolari del brevetto di recuperare il tempo intercorso tra il deposito del brevetto e l’ottenimento dell’AIC dei prodotti.
Durante tutto questo periodo le aziende produttrici di farmaci generici e biosimilari non possono produrre sul territorio europeo, neanche per esportare verso quei Paesi dove i diritti brevettuali sono già scaduti. Le aziende europee sono così esposte ad una pesante concorrenza da parte delle imprese che producono nei Paesi extra-Ue, dove non esistono analoghe restrizioni e per poter competere alla pari si trovano costrette a delocalizzare gli impianti stringendo accordi vincolati con i Paesi ospiti.
L’introduzione di una reale deroga all’SPC non altererebbe in alcun modo l’equilibrio brevettuale in ambito europeo, ma la proposta legislativa finalmente prodotta dalla Commissione Ue ha tradito tutte le ragionevoli aspettative, prevedendo dei paletti che di fatto renderebbero inutilizzabile la deroga per i produttori di off patent - specie per le piccole e medie imprese che già oggi, con l’attuale normativa, restano spesso tagliate fuori dalla competizione globale non possedendo le stesse capacità di delocalizzazione delle multinazionali - garantendo un forte vantaggio ai produttori extra UE e mettendo a rischio il primato raggiunto dal nostro Paese, divenuto primo produttore di farmaci in Europa (a valore).
“È a nostro avviso evidente che le pressioni esercitate da chi ha interessi acquisiti sui policymaker europei rischiano di annacquare e vanificare un corretto tentativo di sostenere l’industria farmaceutica europea incrementando i posti di lavoro nel settore”, afferma ancora Häusemann.
Le stesse preoccupazioni sembrano essere state condivise dal Comitato per la salute del Parlamento Europeo (Committee on the Environment, Public Health and Food Safety -
ENVI) che proprio ieri ha inviato alla Commissione giuridica le proprie proposte emendative alla legge in esame.
“Gli emendamenti proposti dall’ENVI – prosegue il presidente Assogenerici – mirano a consentire alle aziende di produrre e stoccare i lotti prodotti in presenza di SPC nei propri magazzini per venderli nei paesi UE dal giorno successivo alla scadenza del brevetto (Day-1 entry) e garanti e a proteggere le informazioni commerciali riservate nel contesto delle procedura di notifica di avvio della produzione. L’ENVI non è però intervenuto sulle modalità di entrata in vigore della deroga che – nella versione proposta dalla Commissione UE - scatterebbe solo per i nuovi SPC, palesando i propri effetti tra almeno 10 anni”.
“Ci auriamo che il Governo italiano si schieri al fianco degli altri Paesi grandi produttori del settore come la Germania e la Francia sollecitando anche una data di applicazione più ragionevole di queste misure – conclude Häusermann. – Perché deve essere chiaro a tutti che se l’Europa sceglierà di lasciare campo libero alla concorrenza delle aziende cinesi, indiane o statunitensi dovrà anche prepararsi a perdere oltre un miliardo di euro di ulteriori entrate annuali derivanti dall’esportazione e decine di migliaia di nuovi posti di lavoro altamente qualificati”.